Tormund Veleno dei Giganti non era alto, ma gli dèi gli avevano dato ampio torace massiccio e un ventre prominente. Mance Rayder lo aveva soprannominato Tormund Soffiatore di Corno per la potenza dei suoi polmoni, ed era solito dire che la sua risata poteva far staccare valanghe di neve dalla cima delle montagne. Quando era arrabbiato, le sue urla d’ira ricordavano a Jon i barriti di un mammut.
E quel giorno Tormund Veleno dei Giganti barrì spesso e forte. Ruggì, gridò, batté il pugno sul tavolo con tale vigore da rovesciare una caraffa d’acqua. Aveva sempre a portata di mano un corno d’idromele, perciò la saliva che schizzava quando faceva le sue minacce era addolcita dal miele. Definì Jon Snow un vigliacco, un mentitore e un voltagabbana, imprecò contro di lui dandogli del sottomesso dal cuore nero, ladro e corvo che si ciba di carogna, lo accusò di voler fottere il popolo libero. Per due volte gli tirò in testa il suo corno, ma solo dopo averlo svuotato. Tormund non era il tipo da sprecare del buon idromele. Jon lo lasciò sfogare. Non alzò mai la voce né rispose con minacce alle minacce, ma neppure cedette più terreno di quello che si era prefissato.
Alla fine, quando fuori della tenda le ombre del pomeriggio si erano allungate, Tormund Veleno dei Giganti, Grande Affabulatore, Soffiatore di Corno e Distruttore del Ghiaccio, Tormund Pugno di Tuono, Marito di Orse, Re della birra di Sala Fangosa, Voce degli Dèi e Padre di Eserciti, tese la mano.
«Allora siamo d’accordo, possano gli dèi perdonarmi. So già che centinaia di madri non lo faranno.»
Jon Snow strinse la mano che gli veniva tesa. Le parole del giuramento gli risuonavano nella testa. “Sono la spada nelle tenebre. Sono la sentinella che veglia sul muro. Sono il fuoco che arde contro il freddo, la luce che porta l’alba, il corno che risveglia i dormienti, lo scudo che protegge i regni degli uomini.” E per lui un’aggiunta nuova: “Sono la scolta che ha aperto le porte e ha lasciato entrare il nemico”. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere se stava facendo la cosa giusta. Ma ormai non poteva più tornare sui suoi passi. «Siamo d’accordo» confermò.
La stretta di Tormund stritolava le ossa. In questo non era cambiato. Anche la barba era la stessa, per quanto la faccia sotto quel cespuglio di peli bianchi fosse notevolmente smagrita, e profonde rughe solcavano quelle guance rubiconde. «Mance avrebbe dovuto ucciderti quando ne ha avuto l’occasione» dichiarò Tormund, mentre faceva del proprio meglio per ridurre la mano di Jon in poltiglia. «Oro in cambio di cibo e ragazzi… un prezzo crudele. Cos’è accaduto al bravo giovanotto che conoscevo?»
“Lo hanno fatto lord comandante.” «Un accordo equo scontenta entrambe le parti, ho sentito dire. Tre giorni?»
«Se vivo abbastanza a lungo. Alcuni dei miei mi sputeranno addosso, quando sapranno le condizioni.» Tormund lasciò andare la mano di Jon. «Anche i tuoi corvi mugugneranno, se ben li conosco. E mi sa di sì. Dei tuoi neri fetenti ne ho uccisi così tanti che ho perso il conto.»
«Sarà meglio che tu non lo dica così ad alta voce, quando verrai a sud della Barriera.»
«Haaar!» Tormund rise. Neanche in quello era cambiato: rideva ancora spesso e facilmente. «Parole sagge. Non voglio che voialtri corvi mi becchiate a morte.» Diede una manata sulla schiena a Jon. «Quando tutta la mia gente sarà al sicuro dietro la tua Barriera, divideremo un po’ di carne e idromele. Fino ad allora…» Si tolse il bracciale dal braccio sinistro e lo tirò a Jon, poi fece lo stesso con quello al braccio destro. «Il tuo primo pagamento. Li ho avuti da mio padre, e lui dal suo. Adesso sono tuoi, brutto ladro nero bastardo.»
I bracciali erano d’oro vecchio, solido e pesante, con sopra incise le rune dei primi uomini. Tormund Veleno dei Giganti li portava da quando Jon lo conosceva; sembravano far parte di lui come la sua barba. «I braavosiani li fonderanno per l’oro. Sarebbe un peccato. Forse dovresti tenerli.»
«No, non voglio che si dica che Tormund Pugno di Tuono ha costretto il popolo libero a cedere i suoi tesori mentre lui si teneva i propri.» Ridacchiò. «Però mi tengo l’anello che porto intorno all’uccello. È molto più grosso di quei piccoli bracciali. Su di te sembrerebbe un collare.»
Jon non poté fare a meno di ridere. «Non cambi mai.»
«Oh, sì, invece.» Il sogghigno evaporò come la neve in estate. «Non sono più l’uomo che ero a Sala Fangosa. Ho visto troppe morti, e cose ancora peggiori. I miei figli…» Il dolore contrasse il suo viso in una smorfia. «Dormund è stato ucciso nella battaglia per la Barriera, ed era ancora un ragazzo. Un cavaliere del tuo re l’ha ammazzato: un bastardo tutto grigio, con delle falene sullo scudo. Ho visto il colpo di taglio, ma mio figlio era già morto prima che lo raggiungessi. E Torwyrd… se l’è portato via il freddo. È sempre stato gracile. Una notte si è alzato ed è morto. Ma non è stato quello il peggio: prima di sapere che era morto, si è rialzato, pallido con gli occhi azzurri. Ho dovuto provvedere io stesso a lui. È stata dura, Jon.» Lacrime gli rigarono le guance. «Non era un granché, per la verità, ma è sempre stato il mio piccolino e gli volevo bene.»
Jon gli mise una mano sulla spalla. «Mi dispiace molto.»
«Perché? Non è stata colpa tua. C’è sangue sulle tue mani, aye, come sulle mie. Ma non il suo.» Scosse la testa. «Ho ancora due figli robusti.»
«Tua figlia…?»
«Munda.» A quel pensiero gli tornò il sorriso. «Ha preso quel Ryk Lungapicca per marito, pensa un po’. Il ragazzo ha più uccello che cervello, se vuoi il mio parere, ma la tratta bene quanto basta. Gli ho detto che se le fa del male, gli strappo il cazzo e lo uso per fustigarlo a sangue.» Diede un’altra pacca a Jon. «È ora di tornare. Se ti trattengo più a lungo, i tuoi corvi sono capaci di pensare che ti abbiamo mangiato.»
«All’alba, allora. Tre giorni da oggi. Prima i ragazzi.»
«Ti ho sentito le prime dieci volte, corvo. Uno può pensare che fra noi non c’è fiducia.» Sputò. «Prima i ragazzi, aye. I mammut fanno il giro lungo. Tu ti accerti che il Forte Orientale li aspetti. Io mi accerto che non ci siano risse né corse alla tua maledetta porta. Saremo bravi e ordinati, come una fila di anatroccoli. E io sono la mamma anatra. Haaar!» Tormund accompagnò Jon fuori dalla tenda.
All’esterno il giorno era sereno e luminoso. Il sole era tornato a splendere dopo due settimane d’assenza, e a sud si ergeva la Barriera, bianca azzurrognola e scintillante. C’era un detto che Jon aveva sentito dagli anziani al Castello Nero: “La Barriera ha più umori di re Aerys il Folle”. Oppure: “La Barriera ha più umori di una donna”. Nelle giornate nuvolose pareva di roccia bianca. Nelle notti senza luna era nera come il carbone. Nelle bufere sembrava scolpita nella neve. Ma in giornate come quella era impossibile confonderla con qualsiasi cosa che non fosse ghiaccio. In giornate come quella scintillava vividamente come il cristallo di un septon, ogni fenditura e ogni crepaccio era delineato dalla luce del sole, mentre arcobaleni congelati danzavano e morivano dietro le increspature trasparenti. In giornate come quella la Barriera era magnifica.
Il figlio maggiore di Tormund era vicino ai cavalli, stava parlando con Cinghia. Fra il popolo libero veniva chiamato Toregg l’Alto. Anche se misurava solo un pollice più di Cinghia, superava suo padre di un piede. Hareth, il ragazzone di Città della Talpa chiamato Cavallo, se ne stava accoccolato vicino al fuoco, con la schiena rivolta agli altri due. Lui e Cinghia erano i soli che Jon aveva portato con sé a parlamentare: portarne di più avrebbe potuto essere considerato un segno di paura, e se Tormund avesse avuto intenzione di far scorrere sangue, venti uomini non sarebbero stati più utili di due. Spettro era l’unica protezione di cui Jon aveva bisogno: il meta-lupo sapeva fiutare i nemici, anche quelli che nascondevano la loro inimicizia dietro ai sorrisi.
Ma Spettro si era allontanato. Jon si sfilò un guanto, mise due dita in bocca e fischiò. «Spettro! Vieni qui.»
Dall’alto arrivò un improvviso fruscio di ali. Il corvo di Mormont svolazzò dal ramo di una vecchia quercia e venne ad appollaiarsi sulla sella di Jon. «Grano» gracchiò. «Grano, grano, grano.»
«Mi hai seguito anche tu?» esclamò Jon. Mosse la mano per scacciare il corvo, ma finì per accarezzargli le penne. Il corvo drizzò la testa per guardarlo. «Snow» mormorò, muovendo la testa con l’aria di chi la sa lunga. Poi Spettro sbucò tra due alberi, con Val al fianco.
“Sembrano andare molto d’accordo.” Val era tutta vestita di bianco: brache di lana infilate negli alti stivali di cuoio sbiancato, un mantello di pelle d’orso bianco fermato sulla spalla da una fibbia di albero-diga intagliata a forma di faccia, una lunga veste bianca con bottoni d’osso. Anche il suo alito era bianco… ma gli occhi erano azzurri, la lunga treccia aveva il colore del miele scuro, le guance erano arrossate dal freddo. Era da molto tempo che Jon Snow non vedeva un’immagine così bella.
«Stavi cercando di rubare il mio lupo?» le chiese.
«Perché no? Se ogni donna avesse un meta-lupo, gli uomini sarebbero più gentili. Anche i corvi.»
«Haaar!» rise Tormund. «Non scambiare parole con lei, lord Snow. È troppo furba per quelli come te e me. Meglio rubarla in fretta, prima che Toregg si svegli e se la prenda per primo.»
Che cosa aveva detto di Val, quel guitto di Axell Florent? “Una ragazza nubile, e non brutta a vedersi. Bei fianchi, un bel seno, adatta per partorire dei figli.” Era tutto vero, ma quella donna dei bruti era molto di più. L’aveva dimostrato trovando Tormund, quando esperti ranger dei guardiani della notte non c’erano riusciti. “Non sarà una principessa, ma sarebbe un’ottima moglie per qualsiasi lord.”
Ma quel ponte era stato bruciato tanto tempo fa, ed era stato lo stesso Jon a gettare la torcia. «Toregg se la prenda pure» annunciò. «Io ho fatto un voto.»
«A lei non interessa. Vero?»
Val portò la mano al lungo coltello d’osso che teneva appeso al fianco. «Il Lord Corvo può infilarsi di nascosto nel mio letto quando vuole. Una volta castrato, gli sarà più facile mantenere i voti.»
«Haaar!» rise ancora Tormund. «Hai sentito, Toregg? Sta’ alla larga da lei. Io ho già una figlia, non me ne serve un’altra.» Il capo dei bruti rientrò nella tenda scuotendo la testa.
Mentre Jon grattava Spettro dietro l’orecchio, Toregg le portò il cavallo. Val montava ancora il ronzino grigio che le aveva dato Mully quando aveva lasciato la Barriera: un animale ispido, rachitico, cieco da un occhio. Mentre lo girava verso la Barriera, Val chiese: «Come se la passa il piccolo mostro?».
«È due volte più grosso di quando te ne sei andata, e tre volte più rumoroso. Quando vuole la tetta, lo senti piangere fino dal Forte Orientale.» Jon montò in sella.
Val lo affiancò. «Allora… ti ho portato Tormund, come avevo detto. E adesso? Dovrò tornare nella mia vecchia cella?»
«La tua vecchia cella è occupata. La regina Selyse ha reclamato per sé la Torre del Re. Ricordi la Torre di Hardin?»
«Quella che pare sul punto di crollare?»
«È da un centinaio d’anni che dà quest’impressione. Ho fatto preparare il piano superiore per te, mia lady. Avrai più spazio che nella Torre del Re, anche se forse non starai altrettanto comoda. Nessuno l’ha mai chiamata il Palazzo di Hardin.»
«Da parte mia, sceglierei sempre la libertà a qualsiasi comodità.»
«Sarai libera di girare nel castello, ma purtroppo devi restare prigioniera. Ti prometto però che non sarai disturbata da ospiti indesiderati. La Torre di Hardin è sorvegliata dai miei uomini, non da quelli della regina. E Wun Wun dorme nell’ingresso.»
«Un gigante come protettore? Neppure Dalla potrebbe vantare un simile onore.»
I bruti di Tormund li guardarono passare, scrutando dalle tende e dai ripari sotto gli alberi spogli. Per ogni uomo in età da combattere Jon vide tre donne e altrettanti bambini: creature dal viso magro, con le guance incavate e lo sguardo fisso. Quando Mance Rayder aveva condotto il popolo libero verso la Barriera, i suoi seguaci avevano grandi mandrie di pecore, capre e maiali, ma adesso gli unici animali visibili erano i mammut. Senza dubbio, se non fosse stato per la fiera opposizione dei giganti, anche quelli sarebbero stati macellati. C’è molta carne sulle ossa di un mammut.
Jon vide anche segni di malattia. Questo lo rese molto inquieto. Se la gente di Tormund era ridotta alla fame e ammalata, che ne era delle migliaia che avevano seguito Madre Talpa ad Aspra Dimora? “Cotter Pyke dovrebbe raggiungerli presto. Se i venti sono stati favorevoli, la sua flotta potrebbe anzi già essere sulla via del ritorno al Forte Orientale, con tutti quelli che è riuscito a stipare a bordo.”
«Com’è andata con Tormund?» chiese Val.
«Chiedimelo fra un anno. Il difficile deve ancora venire: convincere i miei a mangiare quello che ho cucinato per loro. Temo che non piacerà a nessuno.»
«Lascia che ti aiuti.»
«L’hai già fatto. Mi hai portato Tormund.»
«Posso fare di più.»
“Perché no?” pensò Jon. “Sono tutti convinti che lei sia una principessa.” Val ne aveva l’aspetto e cavalcava come se fosse nata in sella. “Una principessa guerriera” decise Jon. “Non un’esile creatura che se ne sta in una torre, a spazzolarsi i capelli in attesa di un cavaliere che la porti in salvo.” «Devo informare la regina di questo accordo» disse Jon. «Sarò lieto di fartela conoscere, se pensi di riuscire a inginocchiarti.» Non sarebbe stato bene offendere sua grazia prima ancora che Jon aprisse bocca.
«Posso ridere mentre mi genufletto?»
«No. Questo non è un gioco, Val. Fra i nostri due popoli scorre un fiume di sangue, antico, profondo e rosso. Stannis Baratheon è uno dei pochi favorevoli all’ammissione dei bruti nel reame. E per il patto che ho appena concluso, mi occorre il sostegno della regina.»
Val ritornò seria. «Hai la mia parola, lord Snow. Al cospetto della tua regina, sarò una principessa dei bruti irreprensibile.»
“Lei non è la mia regina” avrebbe potuto replicare Jon. “Per la verità, il giorno della sua partenza non arriverà mai troppo presto per me. E se gli dèi sono misericordiosi porterà Melisandre con sé.”
Per il resto del viaggio cavalcarono in silenzio, con Spettro dietro di loro. Il corvo di Mormont li seguì fino alla porta, poi volò in alto, mentre loro smontavano. Cavallo li precedette con una torcia, per illuminare la via nel tunnel di ghiaccio.
Una piccola folla di confratelli in nero li attendeva all’uscita, quando Jon e i suoi compagni riemersero a sud della Barriera. Fra loro c’era anche Ulmer di Bosco del Re, e fu proprio l’anziano arciere a farsi avanti e parlare a nome di tutti. «Se compiace al mio lord, i ragazzi si fanno alcune domande. Sarà pace, mio lord? O sarà sangue e ferro?»
«Pace» rispose Jon Snow. «A tre giorni da oggi, Tormund Veleno dei Giganti guiderà il suo popolo oltre la Barriera. Come amici, non come nemici. Alcuni potranno anche ingrossare i nostri ranghi come confratelli. Toccherà a noi farli sentire i benvenuti. Ora torna ai tuoi compiti.» Passò a Satin le redini del cavallo. «Devo vedere la regina Selyse.» Sua grazia l’avrebbe ritenuta una mancanza di rispetto, se non fosse andato subito da lei. «Poi devo scrivere alcune lettere. Porta nei miei alloggi pergamena, penne d’oca e una boccetta dell’inchiostro dei maestri. Dopo di che convoca Marsh, Yarwyck, septon Cellador e Clydas.» Cellador sarebbe stato mezzo ubriaco e Clydas era uno scarso sostituto di un vero maestro, ma era tutto quello che aveva. “Finché non torna Sam.” «Anche gli uomini del Nord: Flint e Norrey. Cinghia, dovresti esserci anche tu.»
«Hobb sta cucinando uno sformato di cipolle» disse Satin. «Devo chiedere che ti raggiungano per cena?»
Jon rifletté. «No, di’ loro che ci vediamo in cima alla Barriera al tramonto.» Si voltò verso Val. «Mia lady. Seguimi, se ti compiace.»
«Il corvo comanda, la prigioniera deve ubbidire.» Il suo tono era scherzoso. «Questa vostra regina dev’essere molto feroce, se agli uomini adulti cedono le gambe quando la incontrano. Avrei forse dovuto indossare una maglia di ferro invece di lana e pelliccia? Questi abiti sono di Dalla, non vorrei macchiarli di sangue.»
«Se le parole facessero scorrere il sangue, avresti motivo di temere. Penso che le tue vesti siano al sicuro, mia lady.»
Si diressero verso la Torre del Re lungo camminamenti appena spalati fra cumuli di neve sporca. «Ho sentito dire che la tua regina ha una grande barba scura.»
Jon non riuscì a trattenere un sorriso. «Solo dei baffi. Molto radi. Puoi contare i peli.»
«Che delusione.»
Per quanto dicesse di volersi impadronire del suo seggio, Selyse Baratheon non pareva avere molta fretta di abbandonare le comodità del Castello Nero per le ombre del Forte della Notte. Aveva ovviamente delle guardie: quattro uomini alla porta, due all’esterno sugli scalini, due all’interno accanto al braciere. Erano comandati da ser Patrek della Montagna del Re, vestito con i suoi abiti da cavaliere, bianchi, blu e argento, con una spruzzata di stelle a cinque punte sul mantello. Quando fu presentato a Val, piegò il ginocchio per baciarle il guanto. «Sei ancora più bella di quanto mi sia stato riferito, principessa» dichiarò. «La regina mi ha parlato a lungo della tua avvenenza.»
«Strano, dal momento che non mi ha mai visto» rispose Val. Diede a ser Patrek un buffetto sulla testa. «Ora, su, in piedi, ser Genuflesso. Su, su.» Pareva che stesse parlando a un cane.
Jon riuscì a stento a non ridere. Con faccia di pietra, disse al cavaliere che chiedevano udienza alla regina. Ser Patrek mandò subito un armigero di corsa su per le scale a chiedere se sua grazia li poteva ricevere. «Il lupo, però, resta qui» precisò il cavaliere.
Jon se lo aspettava. Il meta-lupo metteva ansia alla regina Selyse, quasi quanto Wun Weg Wun Dar Wun. «Spettro, sta’ qui!»
Trovarono sua grazia intenta a ricamare accanto al fuoco, mentre il giullare danzava su una musica che solo lui sentiva, facendo tintinnare le campanelle legate alle corna del cappello.
«Il corvo, il corvo» gridò Macchia, quando vide Jon. «Sotto il mare i corvi sono bianchi come la neve, io lo so, io lo so, oh oh oh.»
La principessa Shireen era rannicchiata su uno scranno vicino alla finestra, con il cappuccio abbassato per nascondere gli effetti del morbo grigio che le sfiguravano il viso.
Non c’era segno di lady Melisandre. Jon ne fu contento. Prima o poi avrebbe dovuto affrontare anche la sacerdotessa rossa, ma preferiva non avvenisse in presenza della regina. «Vostra grazia» e piegò il ginocchio. Val lo imitò.
La regina Selyse mise da parte il cucito. «Alzatevi pure.»
«Se compiace a vostra grazia, posso presentarti lady Val? Sua sorella Dalla era…»
«… la madre di quel bambino che strilla di continuo e ci tiene svegli la notte. So chi è, lord Snow.» Arricciò il naso. «Sei fortunato che sia tornata prima dell’arrivo del re mio marito, altrimenti le cose per te si sarebbero messe male, molto male.»
«Sei la principessa dei bruti?» chiese Shireen a Val.
«Alcuni mi chiamano così» replicò Val. «Mia sorella era la moglie di Mance Rayder, il Re oltre la Barriera. È morta nel dargli un figlio.»
«Anch’io sono una principessa» dichiarò Shireen «ma non ho mai avuto una sorella. Un tempo avevo un cugino, prima che salpasse a bordo di una nave. Era solo un bastardo, ma mi era simpatico.»
«Shireen, sono certa che il lord comandante non è venuto per sentir parlare dei figli illegittimi di Robert» disse sua madre. «Macchia, da bravo, accompagna la principessa nella sua stanza.»
Le campanelle sul berretto del giullare tintinnarono. «Via, via» cantò il buffone. «Vieni via con me sotto il mare, via, via.» Prese per mano la piccola principessa e saltellando la portò fuori della stanza.
«Vostra grazia» esordì Jon «il capo del popolo libero ha accettato le mie condizioni.»
La regina Selyse rispose con un quasi impercettibile cenno d’assenso. «È sempre stato desiderio del lord mio marito offrire ricovero a questi popoli selvaggi. Purché si attengano alla pace del re e alle leggi del re, sono benvenuti nel nostro reame.» Sporse le labbra. «Mi dicono che hanno con loro altri giganti.»
Rispose Val. «Quasi duecento, vostra grazia. E più di ottanta mammut.»
La regina rabbrividì. «Creature spaventose.» Jon non avrebbe saputo dire, se si riferiva ai mammut oppure ai giganti. «Anche se quelle bestie potrebbero essere utili al lord mio marito nelle sue battaglie.»
«È possibile, vostra grazia» disse Jon «ma i mammut sono troppo grossi per passare dalla nostra porta.»
«La porta non può essere allargata?»
«Non… non sarebbe saggio, ritengo.»
Selyse arricciò il naso. «Se lo dici tu. Senza dubbio sei pratico di queste cose. Dove intendi sistemare i bruti? Di certo Città della Talpa non è abbastanza grande per contenere… Quanti sono?»
«Quattromila, vostra grazia. Ci aiuteranno a presidiare i nostri castelli abbandonati, il modo migliore per difendere la Barriera.»
«Mi è stato spiegato che quei castelli sono in rovina. Luoghi tetri, vuoti e freddi, poco più che dei cumuli di macerie. Al Forte Orientale abbiamo sentito parlare di ratti e di ragni.»
“Il freddo ormai avrà ucciso i ragni” pensò Jon “e i ratti possono essere un’utile fonte di carne, quando sarà arrivato l’inverno.” «Tutto vero, vostra grazia, ma anche le rovine offrono un certo riparo. E la Barriera starà fra loro e gli Estranei.»
«Vedo che hai ponderato tutto con cura, lord Snow. Sono certa che re Stannis sarà compiaciuto, quando farà il suo ritorno trionfale dalla battaglia.»
“Ammesso che ritorni.”
«Ovviamente» proseguì la regina «i bruti dovranno per prima cosa riconoscere Stannis come loro re, e R’hllor come loro dio.»
“Ed eccoci, a faccia a faccia nell’angusto budello.” «Vostra grazia, chiedo perdono. Non erano questi i termini che abbiamo concordato.»
L’espressione della regina s’indurì. «È un grave errore.» La vaga traccia di calore nella sua voce, se mai c’era stata, svanì di colpo.
«Il popolo libero non si genuflette» disse Val.
«Allora bisognerà costringerlo» dichiarò la regina.
«Provaci, vostra grazia, e alla prima occasione ci solleveremo» promise Val. «Con le armi in pugno.»
La regina strinse le labbra, il suo mento tremolò. «Sei un’insolente. Immagino che ce lo si debba aspettare da una donna dei bruti. Dobbiamo trovarti un marito che ti insegni la cortesia.» La regina spostò il suo sguardo su Jon. «Non approvo, lord comandante. E non approverà neppure il lord mio marito. Non posso impedirti di aprire quella porta, come entrambi sappiamo fin troppo bene, ma quando il re tornerà dalla battaglia ti garantisco che ne risponderai. Forse potresti ripensarci.»
«Vostra grazia» disse Jon e piegò di nuovo il ginocchio. Questa volta Val non lo imitò. «Sono dolente che le mie azioni ti abbiano contrariato. Ho agito nel modo che ritenevo migliore. Ho il tuo permesso di ritirarmi?»
«Ce l’hai. Immediatamente.»
Una volta fuori e ben lontano dagli uomini della regina, Val diede sfogo alla propria collera. «Hai mentito sulla sua barba. Quella ha più peli sul mento che io fra le gambe. E la figlia… la sua faccia…»
«Il morbo grigio.»
«Noi la chiamiamo la morte grigia.»
«Nei bambini non è sempre mortale.»
«A nord della Barriera, sì. La cicuta è un rimedio certo, ma vanno bene anche un guanciale o una lama. Se avessi messo al mondo io quella povera sventurata, le avrei concesso da tempo il dono della misericordia.»
Quella era una Val che Jon non aveva mai conosciuto prima. «La principessa Shireen è l’unica figlia della regina.»
«Compiango entrambe. La bambina è impura.»
«Se Stannis dovesse vincere la sua guerra, Shireen sarà l’erede del Trono di Spade.»
«Allora compiango i vostri Sette Regni.»
«I maestri dicono che il morbo grigio non è…»
«I maestri possono dire quello che vogliono. Chiedi a una strega dei boschi, se vuoi conoscere la verità. La morte grigia rimane silente, per poi risvegliarsi. La bambina è impura!»
«Sembra una brava fanciulla. Non puoi sapere…»
«Sì, invece. Tu non sai niente, Jon Snow.» Val gli afferrò il braccio. «Voglio che il mostro venga portato via di qui. Lui e le sue nutrici. Non posso lasciarli nella stessa torre con la ragazzina morta.»
Jon scostò la sua mano. «Non è morta!»
«Sì, invece. Sua madre non lo vede. E a quanto pare neppure tu. Tuttavia la morte è qui.» Si allontanò da lui, si fermò, tornò indietro. «Ti ho portato Tormund Veleno dei Giganti. Portami il mio mostro.»
«Appena posso, lo farò.»
«Portamelo. Sei in debito con me, Jon Snow.»
Jon la guardò allontanarsi. “Si sbaglia. Deve sbagliarsi. Il morbo grigio non è così mortale come lei dice, non nei bambini.”
Spettro era sparito di nuovo. Il sole era basso a occidente. “Una tazza di vino caldo speziato mi farebbe bene in questo momento. Due, meglio ancora.” Ma avrebbe dovuto aspettare. Aveva dei nemici da affrontare. Nemici della peggior specie: i confratelli in nero.
Trovò Cinghia che lo aspettava accanto alla gabbia dell’argano. Salirono insieme. Più salivano, più il vento aumentava. A cinquanta piedi d’altezza, la pesante gabbia cominciò a dondolare a ogni raffica. Ogni tanto sfregava contro la Barriera, provocando piccole frane di ghiaccio che cadendo scintillavano alla luce del sole. Superarono le torri del castello. A quattrocento piedi, il vento mordeva e tirava il mantello nero di Jon, facendolo sbattere rumorosamente contro le sbarre di ferro. A settecento, lo tagliava da parte a parte come una lama. “La Barriera è mia” si ripeté Jon mentre gli addetti all’argano tiravano su la gabbia “almeno per altri due giorni.”
Jon saltò giù sul ghiaccio, ringraziò gli uomini dell’argano e rivolse un cenno di saluto ai due lancieri di guardia. Entrambi avevano i cappucci di lana abbassati sulla fronte, per cui si vedevano solo gli occhi, ma Jon riconobbe Ty dall’aggrovigliata fune di capelli neri e unti che gli ricadeva sulla schiena, e Owen dalla salsiccia infilata nel fodero sul fianco. Li avrebbe riconosciuti comunque anche solo dalla postura. «Un bravo lord deve conoscere i propri uomini» disse una volta suo padre a lui e Robb, ancora a Grande Inverno.
Jon raggiunse l’orlo della Barriera, guardò in basso il terreno di morte dove l’esercito di Mance Rayder era stato annientato. Si domandò dove fosse ora Mance. “Ti ha trovato, sorellina? O eri solo uno stratagemma che ha usato affinché lo lasciassi andare?”
Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che aveva visto Arya. Che aspetto aveva adesso? L’avrebbe riconosciuta? “Arya Sempre-tra-i-piedi. Sempre con la faccia sporca.” Chissà se aveva ancora Ago, la piccola spada che Jon aveva fatto forgiare da Mikken per lei. «Colpisci con la parte appuntita» le aveva detto. Un buon consiglio per la sua notte di nozze, se solo metà di quello che aveva udito di Ramsay Snow era vero. “Riportala a casa, Mance. Ho salvato tuo figlio da Melisandre, e adesso sto per salvare quattromila anime del tuo popolo libero. Mi sei debitore di quella ragazzina.”
Nella Foresta Stregata, a nord, le ombre del pomeriggio strisciavano fra gli alberi. Il cielo a ovest era un tripudio di rosso, ma a est stavano sorgendo le prime stelle. Jon Snow contrasse le dita della mano della spada, ricordando tutto quello che aveva perduto. “Sam, caro sciocco ciccione, mi hai tirato uno scherzo crudele facendomi lord comandante. Un lord comandante non ha amici.”
«Lord Snow?» disse Cinghia. «La gabbia sta salendo.»
«La sento.» disse Jon tornando verso il ciglio.
I primi ad arrivare furono i capoclan Flint e Norrey, vestiti di pelliccia e di ferro. Norrey sembrava una vecchia volpe: raggrinzito e di corporatura sottile, ma con gli occhi furbi e vivaci. Torghen Flint era più basso di mezza testa, ma doveva pesare almeno il doppio: un uomo robusto e rude, con le mani nodose, dalle nocche rosse, grandi come prosciutti, che s’appoggiava pesantemente a un bastone di prugnolo mentre zoppicava sul ghiaccio. Poi scese Bowen Marsh, infagottato in una pelle d’orso. Dopo di lui, Othell Yarwyck. Poi il septon Cellador, mezzo ubriaco.
«Seguitemi» disse loro Jon. Si incamminarono verso occidente lungo la Barriera, su sentieri ricoperti di ghiaia, incontro al tramonto. Quando furono a cinquanta iarde dalla baracca riscaldata, Jon disse: «Voi tutti sapete il motivo per cui vi ho convocato. Tre giorni da oggi, all’alba, il portale nord si aprirà per consentire a Tormund e alla sua gente di attraversare la Barriera. Ci sono molti preparativi da fare».
Le sue parole caddero nel silenzio. Poi Othell Yarwyck disse: «Lord comandante, ci saranno migliaia…».
«… di bruti ridotti pelle e ossa, stanchi, affamati, lontani da casa.» Jon indicò i fuochi dei loro accampamenti. «Sono là. Quattromila, dice Tormund.»
«Tremila, direi, a giudicare dai fuochi» valutò Bowen Marsh. Conti e misure erano la sua vita. «Più del doppio di quelli che sono ad Aspra Dimora con la strega dei boschi, pare. E ser Denys scrive di grandi accampamenti anche sulle montagne oltre la Torre delle Ombre…»
Jon non lo smentì. «Tormund dice che il Piagnone voleva tentare di nuovo il Ponte dei Teschi.»
Il Vecchio Melograno si toccò la cicatrice. Se l’era procurata difendendo il Ponte dei Teschi l’ultima volta che il Piagnone aveva tentato di attraversare la Gola. «Di certo il lord comandante non intenderà far passare anche quel… quel demonio.»
«Non volentieri» replicò Jon. Non aveva dimenticato le teste che il Piagnone gli aveva lasciato, con delle caverne sanguinolente al posto degli occhi. “Jack Bulwer il Nero, Hal il Peloso, Garth Piumagrigia. Non posso vendicarli, ma non dimentico i loro nomi.” «Ma sì, mio lord, anche lui. Non possiamo scegliere a nostro piacimento fra il popolo libero, dicendo lui sì e lui no. Pace significa pace per tutti.»
Norrey si raschiò la gola e sputò. «Tanto vale fare la pace con i lupi e i corvi che si cibano di carogne.»
«Nelle mie segrete c’è molta pace» borbottò il vecchio Flint. «Dai il Piagnone a me.»
«Quanti ranger ha ucciso?» insisté Othell Yarwyck. «Quante donne ha stuprato, ucciso o rapito?»
«Tre della mia famiglia» disse il vecchio Flint. «E a quelle che non uccide, cava via gli occhi.»
«Quando un uomo prende il nero, i suoi crimini vengono cancellati» ricordò loro Jon. «Se vogliamo che il popolo libero combatta al nostro fianco, dobbiamo perdonare i loro crimini passati come faremmo con i nostri.»
«Il Piagnone non pronuncerà mai il voto» continuò Yarwyck. «Non indosserà mai il mantello nero. Anche gli altri predoni non si fidano di lui.»
«Non devi fidarti di un uomo per servirti di lui.» “Altrimenti come farei con tutti voi?” «Abbiamo bisogno sia del Piagnone sia di altri come lui. Chi conosce le terre selvagge meglio di un bruto? Chi conosce i nostri nemici meglio di chi li ha combattuti?»
«Il Piagnone conosce solo lo stupro e l’assassinio» replicò Yarwyck.
«Una volta attraversata la Barriera, i bruti saranno tre volte più numerosi di noi» rilevò Bowen Marsh. «E parlo solo della banda di Tormund. Aggiungi gli uomini del Piagnone e quelli ad Aspra Dimora, e avranno forze sufficienti per far fuori i guardiani in una notte.»
«I numeri da soli non vincono una guerra. Non li avete ancora visti. Metà sono dei morti in piedi.»
«Preferirei fossero dei morti in terra» disse Yarwyck. «Se questo compiace al mio lord.»
«Non mi compiace affatto.» La voce di Jon era fredda come il vento che flagellava i loro mantelli. «Ci sono dei bambini in quell’accampamento, centinaia di bambini, migliaia. E anche donne.»
«Mogli di lancia.»
«Alcune. Oltre a madri e nonne, vedove e fanciulle… Davvero li condanneresti tutti a morte, mio lord?»
«I confratelli non dovrebbero litigare fra loro» intervenne septon Cellador. «Inginocchiamoci e preghiamo la Vecchia di illuminarci la via della saggezza.»
«Lord Snow» disse Norrey «dove intendi mettere tutti quei bruti? Non nelle mie terre, voglio sperare.»
«Aye» dichiarò il vecchio Flint. «Tu li vuoi nel Dono, ed è questa la tua follia, ma fa’ in modo che non sconfinino, altrimenti ti manderò indietro le loro teste. L’inverno è vicino, non voglio altre bocche da sfamare.»
«I bruti rimarranno sulla Barriera» li rassicurò Jon. «Per la maggior parte staranno nei fortilizi abbandonati.» La confraternita adesso aveva guarnigioni a Segno di Ghiaccio, Lungo Tumulo, Radura degli Zibellini, Guardia Grigia e Lago Profondo, tutti con presidi insufficienti, ma c’erano ancora dieci fortilizi vuoti e abbandonati. «Uomini con mogli e figli, orfane e orfani tutti sotto i dieci anni, donne anziane, madri vedove, donne che non sono interessate a combattere. Le mogli di lancia saranno mandate a Lungo Tumulo per unirsi alle loro sorelle, gli uomini scapoli negli altri fortilizi che abbiamo riaperto. Chi prenderà il nero, rimarrà qui o verrà assegnato al Forte Orientale o alla Torre delle Ombre. Tormund si stabilirà a Scudo di Quercia, così da averlo a portata di mano.»
Bowen Marsh sospirò. «Se non ci uccidono con la spada, lo faranno con le loro bocche. Di grazia, in quale modo il lord comandante propone di nutrire Tormund e le sue migliaia di anime?»
Jon aveva previsto quella domanda. «Attraverso il Forte Orientale. Faremo arrivare per nave tutto il cibo necessario. Dalle Terre dei Fiumi e dalle Terre della Tempesta, dalla Valle di Arryn, da Dorne e dall’Altopiano, anche dalle città libere al di là del Mare Stretto.»
«E quel cibo… come sarà pagato, se posso chiedere?»
“In oro, dalla Banca di Ferro di Braavos” avrebbe potuto rispondere Jon. Invece disse: «Ho concordato che il popolo libero potrà tenersi le loro pelli e pellicce: ne avranno bisogno per scaldarsi quando arriverà l’inverno. Ma dovranno cedere qualsiasi altro bene di valore: oro, argento, ambra, gemme grezze, statuette preziose. Spediremo tutto al di là del Mare Stretto e lo venderemo nelle città libere».
«Con la ricchezza dei bruti» disse Norrey «ci comprerai uno staio d’orzo, forse due.»
«Lord comandante, perché non chiedi ai bruti di cedere anche le armi?» chiese Clydas.
Cinghia scoppiò a ridere. «Voi volete che il popolo libero combatta al vostro fianco contro il nemico comune. Ma come facciamo senza armi? Volete che prendiamo i non-morti a palle di neve? O ci darete dei bastoni per colpirli?»
“La maggior parte dei bruti è armata poco più che con dei bastoni” pensò Jon. Randelli, asce di pietra, mazze, lance con la punta indurita sul fuoco, coltelli di osso, di pietra e di vetro di drago, scudi di vimini, corazze d’osso, cuoio bollito. I thenn lavoravano il bronzo e i predoni come il Piagnone usavano acciaio rubato e spade di ferro portate via a qualche cadavere… ma anche quelle spesso erano vecchie, ammaccate da anni d’uso intenso e punteggiate di ruggine.
«Tormund Veleno dei Giganti non disarmerà mai il suo popolo» disse Jon. «Non è il Piagnone, ma non è neppure un codardo. Se glielo avessi chiesto, si sarebbe arrivati al sangue.»
Norrey si tormentò la barba. «Metti pure i bruti in quei fortilizi in rovina, lord Snow, ma come li costringerai a restarci? Che cosa impedirà loro di migrare a sud, verso terre più belle e più calde?»
«Le nostre terre» precisò il vecchio Flint.
«Tormund mi ha dato la sua parola. Starà con noi fino a primavera. Il Piagnone e gli altri capitani dovranno fare lo stesso giuramento, altrimenti non li lasceremo passare.»
Il vecchio Flint scosse la testa. «Ci tradiranno.»
«La parola del Piagnone non ha alcun valore» aggiunse Othell Yarwyck.
«Sono dei selvaggi senza dio» sentenziò septon Cellador. «Perfino nel Sud l’infedeltà dei bruti è famosa.»
Cinghia incrociò le braccia. «E la battaglia là sotto? Io ero dalla parte opposta, ricordi? Adesso porto anch’io il nero e addestro i vostri ragazzi a combattere. Alcuni potrebbero chiamarmi voltagabbana. Può darsi… ma non sono più selvaggio di voi corvi. Anche noi abbiamo degli dèi, gli stessi che hanno a Grande Inverno.»
«Gli dèi del Nord, fin da prima che fosse eretta la Barriera» confermò Jon. «È su quegli dèi che Tormund ha giurato. E manterrà la parola. Lo conosco, come conoscevo Mance Rayder. Ho marciato per qualche tempo con loro, come forse ricorderete.»
«Io non l’ho dimenticato» disse il lord attendente.
“No” pensò Jon “non pensavo che l’avessi fatto.”
«Anche Mance Rayder ha pronunciato un giuramento» proseguì Bowen Marsh. «Ha giurato di non portare corone, di non prendere moglie e di non generare figli. Poi ha voltato gabbana. Ha fatto tutte quelle cose e ha guidato un temibile esercito contro il reame. E sono i superstiti di quel medesimo esercito che ora aspettano al di là della Barriera.»
«Superstiti malconci.»
«Una spada malconcia può essere forgiata nuovamente. Una spada malconcia può uccidere.»
«Il popolo libero non ha né leggi né lord» disse Jon «però ama i propri figli. Questo lo riconoscete?»
«Non ci interessano i loro figli. Noi temiamo i padri, non i figli.»
«Anch’io. Per questo ho insistito per avere degli ostaggi.» “Non sono lo sciocco credulone che pensate… e non sono neppure mezzo bruto, qualsiasi cosa voi crediate.” «Cento ragazzi fra gli otto e i sedici anni. Un figlio di ciascuno dei loro capi e capitani, e gli altri scelti a sorte. I ragazzi faranno da paggi e da scudieri, liberando i nostri uomini da quei servizi. Alcuni di quei ragazzi, un giorno, potrebbero decidere di prendere il nero. Non sarebbe la prima volta. Gli altri resteranno in ostaggio della lealtà dei genitori.»
I due uomini del Nord si scambiarono un’occhiata. «Ostaggi» rifletté Norrey. «Tormund ha accettato?»
“O accettava o guardava il suo popolo morire” pensò Jon. «L’ha chiamato il mio prezzo di sangue. Ma lo pagherà».
«Aye, e perché no?» Il vecchio Flint batté il bastone sul ghiaccio. «Li abbiamo sempre chiamati “protetti”, quando Grande Inverno ci chiedeva dei ragazzi, ma erano degli ostaggi e non veniva loro fatto alcun male.»
«A parte quelli i cui genitori scontentavano i re di Grande Inverno» esclamò Norrey. «Quelli tornavano a casa più bassi di una testa. Perciò dimmi, ragazzo… se questi tuoi amici bruti si dimostreranno infedeli, avrai il fegato di fare ciò che va fatto?»
“Chiedilo a Janos Slynt.” «Tormund Veleno dei Giganti sa che non deve mettermi alla prova. Ai tuoi occhi posso magari sembrare un ragazzo immaturo, lord Norrey, ma sono sempre figlio di Eddard Stark.»
Ma nemmeno questo calmò il lord attendente. «Dici che quei ragazzi serviranno come scudieri. Di certo il lord comandante non intende che saranno addestrati alle armi, vero?»
Jon s’infuriò. «No, mio lord, intendo metterli a cucire sottotuniche di pizzo. È ovvio che saranno addestrati alle armi. Zangoleranno il burro, taglieranno la legna, puliranno le stalle, svuoteranno i vasi da notte, consegneranno messaggi… e nel frattempo si alleneranno con lancia, spada e arco lungo.»
Marsh diventò ancora più paonazzo. «Il lord comandante deve perdonare la mia franchezza, ma non ho un modo più delicato per dirlo. Ciò che proponi è niente meno che tradimento. Per ottomila anni gli uomini dei guardiani della notte hanno presidiato la Barriera e si sono battuti contro quei bruti. Ora tu intendi lasciarli passare, ospitarli nei nostri fortilizi, nutrirli, vestirli e insegnare loro a combattere. Lord Snow, devo ricordartelo? Hai pronunciato un giuramento!»
«So che cosa ho giurato.» Jon ripeté il voto che aveva fatto: «“Sono la spada nelle tenebre. Sono la sentinella che veglia sul muro. Sono il fuoco che arde contro il freddo, la luce che porta l’alba, il corno che risveglia i dormienti.” Sono le stesse parole che hai detto tu quando hai preso i voti?».
«Sì, come il lord comandante sa bene.»
«Sei proprio sicuro che io non abbia tralasciato qualcosa? La frase riguardante il re, le sue leggi e come dobbiamo difendere ogni piede di questa terra e restare attaccati a ogni fortilizio in rovina? Come dice quella parte?» Jon attese una risposta, che non arrivò. «“Sono lo scudo che protegge i regni degli uomini.” Così recita il testo. Perciò dimmi, mio lord: che cosa sono quei bruti, se non degli uomini?»
Bowen Marsh aprì la bocca. Non uscì alcun suono. Un rossore gli risalì lentamente il collo.
Jon Snow voltò la faccia altrove. L’ultima luce del sole aveva cominciato a sbiadire. Vide le fenditure lungo la Barriera passare dal rosso al grigio al nero, da torrenti di fuoco a fiumi di ghiaccio nero. In basso, lady Melisandre stava per accendere il fuoco della notte e salmodiare: «Signore della Luce, difendici, perché la notte è oscura e piena di terrori».
«L’inverno sta arrivando» disse infine Jon, rompendo un silenzio imbarazzato «e con esso i non-morti. La Barriera è dove li fermiamo. La Barriera è stata eretta per fermarli… ma devono esserci uomini a sufficienza. Questa discussione è terminata. Abbiamo molto da fare prima di aprire quel portale. Tormund e il suo popolo dovranno essere nutriti, vestiti e ospitati. Alcuni sono ammalati, e andranno curati. Quello toccherà te, Clydas. Salvane più che puoi.»
Clydas batté le palpebre sugli occhi di un fioco colore rosa. «Farò del mio meglio, Jon. Mio lord, volevo dire.»
«Avremo bisogno di ogni carro e carretto disponibile per trasportare il popolo libero nelle nuove dimore. Othell, a questo provvederai tu.»
Yarwyck fece una smorfia. «Aye, lord comandante.»
«Lord Bowen, tu raccoglierai i tributi. Oro, argento, ambra, collari, bracciali e collanine. Smistali, contali e fa’ in modo che arrivino sani e salvi al Forte Orientale.»
«Sì, lord Snow» disse Bowen Marsh.
“Melisandre diceva ghiaccio” pensò Jon Snow “e pugnali nel buio. Rosso sangue congelato e acciaio snudato.” Contrasse la mano della spada. Si stava alzando nuovamente il vento.