Il guaritore entrò nella tenda mormorando complimenti, ma gli bastò inspirare una boccata di quell’aria putrida e dare un’occhiata a Yezzan mo Qaggaz per interrompere le cortesie. «La giumenta pallida» disse a Dolcezza.
“Che sorpresa” pensò Tyrion. “Chi l’avrebbe mai detto? A parte chiunque abbia un naso… e io che ne ho solo metà.” Yezzan bruciava di febbre, immerso nei propri escrementi. La sua merda era diventata una fanghiglia marrone striata di sangue… e toccava a Yollo e a Penny ripulire le sue natiche giallastre. Anche se aiutato, il loro padrone non riusciva a mettersi in piedi; aveva bisogno di tutte le sue forze, sempre più deboli, solo per girarsi su un fianco.
«Le mie arti non saranno di giovamento qui» annunciò il guaritore. «La vita del nobile Yezzan è nelle mani degli dèi. Alleviategli il caldo, se possibile. Secondo alcuni aiuta. Portategli dell’acqua.» Le persone infettate dalla giumenta pallida avevano sempre sete, bevevano galloni di liquidi fra una scarica e l’altra. «Acqua fresca e pulita, tutta quella che riesce a bere.»
«Non quella del fiume» disse Dolcezza.
«Assolutamente no.» Dopo di che il guaritore si dileguò.
“Dobbiamo dileguarci anche noi” pensò Tyrion. Era uno schiavo, con un collare di metallo dorato e delle campanelle che tintinnavano allegramente a ogni passo. “Uno dei tesori speciali di Yezzan. Un onore che suonava come un annuncio di morte.” Yezzan zo Qaggaz amava tenersi vicino i suoi cari, così era toccato a Yollo, Penny, Dolcezza e agli altri suoi tesori occuparsi di lui quando si era ammalato.
“Povero vecchio Yezzan.” Il Lord della Sugna non era così cattivo come la media dei padroni yunkai. Almeno in questo, Dolcezza aveva avuto ragione. Servendo ai suoi banchetti notturni, Tyrion si era ben presto reso conto che Yezzan era uno dei lord yunkai più favorevoli a rispettare la pace con Meereen. Gli altri per lo più si limitavano a prendere tempo, aspettando l’arrivo degli eserciti da Volantis. Alcuni volevano attaccare subito la città, nel timore che i volantiani li derubassero della gloria e della parte più cospicua del saccheggio. Yezzan non voleva essere coinvolto in questi piani. E non avrebbe neppure acconsentito a restituire gli ostaggi meerensi lanciandoli con le catapulte, come proponeva il mercenario Barba Insanguinata.
Ma in due giorni molte cose possono cambiare. Due giorni prima Balia era arzillo e in buona salute. Due giorni prima Yezzan non aveva udito il rumore spettrale degli zoccoli della giumenta pallida. Due giorni prima le flotte di Vecchia Volantis erano due giorni più lontano. Invece adesso…
«Yezzan morirà?» chiese Penny, con quella sua vocina da “per favore, dimmi di no”.
«Tutti dobbiamo morire.»
«Intendevo per la dissenteria.»
Dolcezza lanciò a entrambi uno sguardo disperato. «Yezzan non deve morire.» L’ermafrodita accarezzò la fronte del loro gigantesco padrone, scostandogli i capelli madidi. Lo yunkai gemette, e un’altra ondata di liquido marrone gli sgorgò tra le gambe. Le lenzuola erano macchiate e maleodoranti, ma non c’era modo di spostare il malato.
«Alcuni padroni quando muoiono liberano i propri schiavi» disse Penny.
Dolcezza ridacchiò: un suono raccapricciante. «Solo i favoriti. Li liberano dalle calamità del mondo per accompagnare il loro amato padrone nella tomba e servirlo nella vita ultraterrena.»
“Dolcezza dovrebbe saperlo. La sua gola sarà quella che verrà tagliata per prima.”
Il ragazzo-capra intervenne. «L’argentea regina…»
«… è morta» concluse Dolcezza. «Dimenticala! Il drago l’ha portata al di là del fiume. È annegata nel mare d’erba dothraki.»
«Non si può annegare nell’erba» obiettò il ragazzo-capra.
«Se fossimo liberi» disse Penny «potremmo trovare la regina. O quanto meno andarla a cercare.»
“Tu sul tuo cane e io sulla mia scrofa, a inseguire un drago nel Mare Dothraki.” Tyrion si grattò la cicatrice per evitare di ridere. «Quel drago particolare ha già manifestato di gradire molto l’arrosto di maiale. E un nano arrosto è due volte più gustoso.»
«Era solo un desiderio» disse Penny pensierosa. «Potremmo andarcene. Ci sono di nuovo delle navi disponibili, ora che la guerra è finita.»
“Lo è davvero?” Tyrion tendeva a dubitarne. Erano state firmate delle pergamene, ma le guerre non venivano combattute sulle pergamene.
«Potremmo andare a Qarth» aggiunse Penny. «Mio fratello diceva sempre che laggiù le strade sono pavimentate di giada. Le mura della città sono una delle meraviglie del mondo. Quando daremo spettacolo a Qarth, oro e argento ci pioveranno addosso, vedrai.»
«Alcune delle navi al largo nella baia sono di Qarth» le ricordò Tyrion. «Lomas Passolungo ha visto le mura di quella città. I suoi libri mi bastano. Sono già andato a oriente, fin dove intendevo arrivare.»
Dolcezza tamponò la fronte di Yezzan con una pezza umida. «Yezzan deve vivere. Altrimenti moriremo tutti con lui. La giumenta pallida non si porta via tutti i cavalieri. Il padrone si riprenderà.»
Era una spudorata bugia. Sarebbe stato un miracolo se Yezzan fosse sopravvissuto un altro giorno. Il Lord della Sugna era già in fin di vita per qualche terribile morbo contratto a Sothorys, pensava Tyrion. Questo non faceva che affrettare la sua fine. “Una misericordia, tutto sommato.” Ma non era la sorte che Tyrion si augurava per sé. «Il guaritore dice che ha bisogno di acqua fresca. Provvederemo noi a procurargliela.»
«Questo è bello da parte vostra.» Dolcezza pareva stordita. C’era qualcosa di più della paura che le tagliassero la gola: solo lei, fra i tesori di Yezzan, pareva davvero affezionata al suo immenso padrone.
«Penny viene con me.» Tyrion scostò la falda della tenda e spinse fuori la nana, nel caldo del mattino meerense. L’aria era afosa e opprimente, ma sempre meglio dei miasmi di sudore, merda e malattia che aleggiavano nel lussuoso padiglione di Yezzan.
«L’acqua gioverà al padrone» ripeté Penny. «L’ha detto il guaritore, quindi sarà vero. Buona acqua fresca.»
«L’acqua fresca non ha giovato a Balia.» “Povero vecchio Balia.” I soldati di Yezzan lo avevano gettato la sera prima sul carro dei cadaveri, al crepuscolo: un’altra vittima della giumenta pallida. Quando c’è gente che muore ogni ora, nessuno presta troppa attenzione a un morto in più, soprattutto quando è così disprezzato come Balia. Gli altri schiavi di Yezzan si erano rifiutati di avvicinarsi al sorvegliante una volta che erano iniziati i crampi, così era toccato a Tyrion rinfrescarlo e portargli da bere. “Vino annacquato, acqua con limone e un po’ di buona zuppa di coda di cane, con delle fettine di funghi nel brodo. Mandala giù, Balia: quella merda liquida che ti schizza dal culo deve essere rimpiazzata.” L’ultima parola che Balia disse fu: «No». Le ultime parole che udì furono: «Un Lannister ripaga sempre i propri debiti».
Tyrion aveva nascosto a Penny questa verità, ma lei doveva capire come stavano le cose col loro padrone. «Mi stupirebbe se Yezzan dovesse vivere fino a vedere l’alba.»
Penny lo prese per un braccio. «Che ne sarà di noi?»
«Yezzan ha degli eredi, dei nipoti.» Quattro erano arrivati con lui da Yunkai per comandare i suoi soldati schiavi. Uno era morto, ucciso dai mercenari Targaryen durante una sortita. Gli altri tre si sarebbero quasi certamente divisi gli schiavi del colosso giallo. Meno certo era se i nipoti condividessero la passione di Yezzan per storpi, scherzi della natura ed esseri grotteschi. «Uno di loro potrebbe ereditarci. Oppure potremmo ritornare sul palco di un banditore d’asta.»
«No.» Penny sbarrò gli occhi. «Questo no, ti prego.»
«La prospettiva non alletta neppure me.»
A qualche iarda di distanza, sei soldati schiavi di Yezzan erano accoccolati nella polvere, a lanciare gli astragali e passarsi un otre di vino. Uno di loro era il sergente chiamato Cicatrice, un bruto dal pessimo carattere, con la testa liscia come un sasso e le spalle di un bue. “E anche l’intelligenza di un bue” rammentò Tyrion.
Si diresse con la sua andatura ondeggiante verso di loro. «Cicatrice» latrò «il nobile Yezzan ha bisogno d’acqua fresca e pulita. Prendi due uomini e porta tutti i secchi che riuscite a riempire. E fate in fretta.»
I soldati interruppero il gioco. Cicatrice si alzò, aggrottò le folte sopracciglia. «Che cos’hai detto, nano? Chi ti credi di essere?»
«Sai chi sono? Yollo, uno dei tesori del nostro padrone. E adesso fa’ come ho detto.»
I soldati risero. «Muoviti, Cicatrice» sfotté uno «e cerca di sbrigarti. La scimmia di Yezzan ti ha dato un ordine.»
«Tu non dici ai soldati che cosa devono fare» replicò Cicatrice.
«Soldati?» Tyrion si finse perplesso. «Io qui vedo degli schiavi. Anche tu porti un collare come il mio.»
Cicatrice gli mollò un violento manrovescio che lo sbatté a terra e gli spaccò il labbro. «È il collare di Yezzan, non il tuo.»
Tyrion si asciugò col dorso della mano il sangue che usciva dalla ferita. Quando cercò di rialzarsi, la gamba gli cedette, e lui ricadde sulle ginocchia. Dovette ricorrere all’aiuto di Penny per rimettersi in piedi. «Dolcezza dice che il padrone deve avere dell’acqua» ripeté il nano, in tono piagnucoloso.
«Dolcezza può incularsi da sola. Ha tutto quello che gli serve, no? E comunque noi non prendiamo ordini da quello sgorbio della natura.»
“No” pensò Tyrion. Perfino tra gli schiavi c’erano lord e reietti, come aveva rapidamente imparato. L’ermafrodita era stato a lungo il preferito del padrone, trattato con indulgenza e favoritismi, e per questo gli altri schiavi del nobile Yezzan lo odiavano.
I soldati erano abituati a prendere ordini dai padroni e dai sorveglianti. Ma Balia era morto, e Yezzan era troppo malato per nominare un successore. Quanto ai tre nipoti, al primo rumore di zoccoli della giumenta pallida quegli arditi uomini liberi si erano ricordati di avere affari molto urgenti da sbrigare altrove.
«L’acqua» balbettò Tyrion, raggomitolandosi su se stesso. «Non l’acqua di fiume, ha detto il guaritore. Ma fresca, pulita acqua di pozzo.»
Cicatrice brontolò. «Andate a prenderla voi! E cercate di muovervi.»
«Noi?» Tyrion scambiò un’occhiata disperata con Penny. «L’acqua è pesante. Noi non siamo forti come voi. Possiamo… prendere il carro col mulo?»
«Prendete le vostre gambe.»
«Dovremo fare una decina di viaggi.»
«Anche un centinaio. Non m’importa niente.»
«Noi due da soli non riusciremo a portare tutta l’acqua di cui il padrone ha bisogno.»
«Allora prendete il vostro orso» suggerì Cicatrice. «Portare dei secchi è tutto ciò che di buono può fare.»
Tyrion arretrò. «Ai tuoi ordini, padrone.»
Cicatrice sogghignò. “Padrone” pensò Tyrion. “Oh, questa gli è piaciuta.” «Morgo, porta le chiavi» ordinò Cicatrice. «Tu vai a riempire quei secchi e poi torni subito qui, nano. Sai che cosa succede agli schiavi che tentano di fuggire.»
«Prendi i secchi» disse Tyrion a Penny. Seguì Morgo per tirar fuori ser Jorah Mormont dalla gabbia.
Il cavaliere non si era adattato bene alla schiavitù. Chiamato a recitare la parte dell’orso che rapisce la damigella, si era dimostrato lento e riottoso, eseguendo i suoi passi senza brio, quando peraltro si degnava di prendere parte alla pantomima. Anche se non aveva mai tentato la fuga né reagito con violenza ai carcerieri, il più delle volte ignorava i loro ordini o rispondeva mormorando delle imprecazioni. Questo suo comportamento non piaceva a Balia, che aveva manifestato il proprio malcontento confinando Mormont in una gabbia di ferro e facendolo bastonare ogni sera quando il sole calava nella Baia degli Schiavisti. Ser Jorah incassava le botte in silenzio; gli unici suoni erano le maledizioni mormorate agli schiavi che lo picchiavano e i colpi sordi dei loro bastoni contro la carne scorticata e pesta di ser Jorah.
“Quell’uomo è un guscio vuoto” pensò Tyrion la prima volta che vide bastonare il grosso cavaliere. “Avrei dovuto tenere a freno la lingua e lasciare che Zahrina lo comprasse. Forse avrebbe avuto una sorte migliore di questa.”
Mormont emerse dagli stretti confini della gabbia, piegato in due, con gli occhi neri per i pestaggi e la schiena incrostata di sangue rappreso. La sua faccia era talmente gonfia e livida da non sembrare nemmeno umana. Era nudo, a parte il perizoma, una lurida pezza gialla. «Li aiuterai a portare l’acqua» gli disse Morgo.
L’unica risposta di ser Jorah fu uno sguardo astioso. “Alcuni uomini preferirebbero morire liberi che vivere da schiavi, immagino.” Tyrion, da parte sua, non doveva risolvere quel dilemma, grazie agli dèi, ma se Mormont avesse ucciso Morgo, forse gli altri schiavi non avrebbero fatto distinzione. «Vieni» disse, prima che il cavaliere facesse qualche gesto eroico o inconsulto. Si incamminò ondeggiando, augurandosi che Mormont lo seguisse.
Per una volta gli dèi furono misericordiosi. Mormont lo seguiva.
Due secchi a Penny, due a Tyrion e quattro a ser Jorah, due per mano. Il pozzo più vicino era a sudovest della catapulta chiamata Strega, per cui s’incamminarono in quella direzione, con le campanelle dei collari che tintinnavano a ogni passo. Nessuno prestò loro alcuna attenzione. Erano soltanto degli schiavi che andavano a prendere l’acqua per il padrone. Portare un collare, in particolare un collare dorato con sopra inciso il nome di Yezzan zo Qaggaz, dava alcuni vantaggi. Il tintinnio delle campanelle proclamava il loro valore a chiunque avesse orecchi. Uno schiavo era importante solo quanto lo era il padrone: anche se aveva l’aspetto di un gigantesco lumacone giallo e puzzava di piscio, Yezzan era l’uomo più ricco della città gialla e aveva portato in guerra seicento soldati schiavi. I collari che indossavano davano loro il permesso di andare e venire come volevano all’interno dell’accampamento. “Almeno finché Yezzan sarà vivo.”
I Lord Sferraglianti avevano i loro soldati schiavi in addestramento nel campo più vicino. Lo sbatacchiare delle catene che li legava produceva un’aspra musica metallica mentre i soldati schiavi marciavano a ranghi serrati sulla sabbia e si schieravano con le loro lance lunghe. Altrove, gruppi di schiavi ammassavano cumuli di pietre e sabbia sotto mangani e scorpioni, angolandoli verso il cielo, così da difendere meglio l’accampamento qualora il drago fosse tornato. Vederli sudare e imprecare mentre spingevano i pesanti macchinari sui piani inclinati fece sorridere il Folletto. Dovunque si vedevano anche molte balestre. Un soldato su due pareva averne una in pugno, con al fianco una faretra piena di dardi.
Se qualcuno si fosse preso la briga di chiedere il suo parere, Tyrion avrebbe risposto che era inutile darsi tanto da fare. A meno che uno dei lunghi dardi di ferro degli scorpioni non avesse centrato casualmente un occhio, il mostruoso animale da compagnia della regina non sarebbe stato scalfito da quei giocattoli. “Non è così facile uccidere un drago. Con quei dardi, riuscirete solo a farlo infuriare.”
Gli occhi erano il punto più vulnerabile dei draghi. Gli occhi e il cervello dietro di essi. Non il ventre, come raccontavano certe favole: le scaglie in quella zona erano robuste quanto quelle sulla schiena e sui fianchi. E nemmeno la gola. Era follia. Tanto valeva che quegli aspiranti uccisori di draghi cercassero di domare un incendio con delle lance. “La morte esce dalla bocca del drago” aveva scritto septon Barth nella sua Storia innaturale “però non entra da quella medesima via.”
Più avanti, due legioni arrivate da Nuova Ghis si stavano affrontando: un muro di scudi contro un muro di scudi, mentre i sergenti con mezzi elmi di ferro e cresta di crine ringhiavano ordini nel loro incomprensibile linguaggio. Osservandoli, i ghiscariani parevano più formidabili dei soldati schiavi yunkai, ma Tyrion nutriva dubbi in proposito. I legionari potevano anche essere armati e organizzati come degli Immacolati… ma gli eunuchi non conoscevano altra vita, mentre i ghiscariani erano liberi cittadini che servivano nell’esercito per tre anni.
La fila al pozzo era lunga un quarto di miglio.
C’era solo una manciata di pozzi nel raggio di un giorno di marcia da Meereen, quindi l’attesa era sempre lunga. La maggior parte dell’esercito yunkai prendeva l’acqua dal fiume Skahazadhan, ma Tyrion l’aveva ritenuta una cattiva idea anche prima del monito del guaritore. I più svegli stavano attenti a mettersi a monte delle latrine, ma erano comunque a valle della città.
Il fatto che ci fossero dei pozzi a un giorno di marcia dimostrava che Daenerys Targaryen era ancora un’ingenua riguardo agli assedi. “Avrebbe dovuto avvelenare tutti i pozzi” pensò Tyrion. “Così tutti gli yunkai sarebbero stati costretti a bere l’acqua del fiume. Sai quanto sarebbe durato allora l’assedio!” Era quello che avrebbe fatto il lord suo padre, Tyrion non aveva dubbi.
Le campanelle dei collari tintinnavano a ogni passo. “Un suono così allegro mi fa venir voglia di cavare gli occhi a qualcuno con un cucchiaio.” Griff, Papero e Haldon il Mezzo-maestro dovevano ormai essere arrivati nel continente occidentale insieme al giovane principe Targaryen. “Potrei essere con loro… invece no, dovevo farmi una puttana. Assassinare consanguinei non mi bastava, avevo bisogno di fica e vino per sigillare la mia rovina. Ed eccomi qui, dall’altro capo del mondo, con un collare da schiavo e delle campanelle dorate ad annunciare il mio arrivo. Se ballo nel modo giusto, forse riesco a suonare Le piogge di Castamere.”
Non c’era posto migliore di un pozzo per ascoltare le voci e le ultime notizie. «So bene cosa ho visto» stava dicendo un vecchio schiavo dal collare di ferro arrugginito, mentre Tyrion e Penny erano in coda «e ho visto quel drago strappare braccia e gambe, squartare in due gli uomini, bruciarli fino a lasciare solo cenere e ossa. La gente ha cominciato a correre, per allontanarsi dalla fossa da combattimento, ma io ero andato per vedere uno spettacolo, e per tutti gli dèi di Ghis l’ho visto. Ero su nelle gradinate viola, perciò sapevo che il drago non mi avrebbe attaccato.»
«La regina è montata sul dorso del drago, ed è volata via» esclamò una donna alta dalla pelle bruna.
«Ci ha provato» aggiunse il vecchio «ma non è riuscita a restare in groppa. Le balestre hanno ferito il drago, e ho sentito dire che la regina è stata colpita proprio fra le sue belle tette rosa. Dopo di che è caduta. È morta in un canale di scolo, schiacciata dalle ruote di un carro. Conosco una ragazza che conosce un uomo che l’ha vista.»
In un simile consesso, il silenzio era l’atteggiamento più saggio, ma Tyrion non riuscì a trattenersi. «Il cadavere, però, non è mai stato trovato» obiettò.
Il vecchio aggrottò la fronte. «E tu cosa ne sai?»
«Loro c’erano» disse la donna bruna. «Sono i nani del torneo, quelli che giostravano per la regina.»
Il vecchio li squadrò, come se vedesse lui e Penny solo in quel momento. «Voi siete quelli che cavalcavano i maiali.»
“La nostra fama ci precede.” Tyrion accennò un inchino, astenendosi dal puntualizzare che uno dei maiali era un cane. «La scrofa che cavalco è in realtà mia sorella. Abbiamo lo stesso naso, non te ne sei accorto? Uno stregone le ha fatto un sortilegio, ma se le dai un bacio appassionato, si trasformerà in una bella donna. Peccato che, quando l’avrai conosciuta, la vorrai baciare di nuovo per farla ritornare scrofa.»
Tutt’intorno scoppiarono delle risate. Anche il vecchio rise. «Tu, allora, l’hai vista» chiese il ragazzo con i capelli rossi dietro di loro. «Hai visto la regina. È davvero così bella come dicono?»
“Ho visto una ragazza snella con i capelli argentei, avvolta in un tokar” avrebbe potuto dire Tyrion. “Aveva il viso velato e non le sono arrivato abbastanza vicino per darle un’occhiata come si deve. Ero in bilico su una scrofa.” Daenerys Targaryen era seduta nel palco padronale, al fianco del suo re ghiscariano, ma l’attenzione di Tyrion era stata catturata dal cavaliere con l’armatura bianca e oro dietro di lei. Anche se il suo viso era nascosto, il nano avrebbe riconosciuto Barristan Selmy ovunque. “Su questo magistro Illyrio quanto meno aveva ragione” pensò. “E Selmy mi avrà riconosciuto? E in caso affermativo che cosa farà?”
Era stato sul punto di rivelare la propria identità, così su due piedi, ma qualcosa l’aveva trattenuto; cautela, viltà, istinto, chiamalo come vuoi. Non poteva immaginare altro che ostilità da parte di Barristan il Valoroso. Selmy non aveva mai approvato la presenza di Jaime nella sua preziosa Guardia reale. Prima della ribellione, l’anziano cavaliere lo riteneva troppo giovane e poco addestrato; dopo, era noto il suo commento che lo Sterminatore di Re avrebbe dovuto scambiare il mantello bianco con uno nero. E i crimini commessi dal Folletto erano ancora peggiori. Jaime aveva ucciso un re folle. Tyrion aveva piantato un dardo di balestra nell’inguine del suo stesso padre, un uomo che ser Barristan conosceva e serviva da anni. Avrebbe potuto correre il rischio ugualmente, ma proprio in quel momento Penny gli aveva assestato un colpo sullo scudo, l’attimo se n’era andato e non si era più ripresentato.
«La regina ci ha guardato giostrare» stava dicendo Penny agli altri schiavi in fila «ma è l’unica volta che l’abbiamo vista.»
«Dovete aver visto il drago» insisté il vecchio.
“Magari.” Gli dèi non gli avevano concesso nemmeno quello. Mentre Daenerys Targaryen si alzava in volo, Balia stava rimettendo loro le catene alle caviglie, per accertarsi che non tentassero di fuggire lungo la via del ritorno. Se il sorvegliante si fosse limitato a consegnarli al mattatoio o fosse fuggito con gli altri schiavi quando il drago era calato dal cielo, i due nani se ne sarebbero potuti andare indisturbati. “O più probabilmente saremmo corsi via con un tintinnare di campanelle.”
«C’era un drago?» chiese Tyrion, con una scrollata di spalle. «Io so solo che non sono state trovate regine morte.»
Il vecchio non era convinto. «Be’, c’erano centinaia di cadaveri. Li hanno trascinati nel pozzo e li hanno bruciati, anche se metà era già carbonizzata. Forse non l’hanno riconosciuta, bruciata, insanguinata e maciullata com’era. O forse l’hanno riconosciuta, ma hanno preferito non dire niente per tenere tranquilli voi schiavi.»
«Noi schiavi?» ribatté la donna bruna. «Anche tu porti un collare.»
«Il collare di Ghazdor» si vantò il vecchio. «Lo conosco da quando è nato. Sono quasi un fratello per lui. Gli schiavi come voi, rifiuti di Astapor e di Yunkai… piagnucolate di voler essere liberi, ma io non darei mai il mio collare alla Regina dei Draghi, neanche se si offrisse di succhiarmi l’uccello per averlo. Ogni uomo ha il padrone che si merita.»
Tyrion non discusse. La cosa più insidiosa della schiavitù era la facilità con cui ci si abitua a essa. La vita della maggior parte degli schiavi non era molto diversa da quella di un servo di Castel Granito, a suo parere. Certo, alcuni padroni di schiavi e i loro sorveglianti erano brutali e crudeli, ma lo stesso valeva per molti lord dell’Occidente e i loro attendenti e fattori. La maggior parte degli yunkai trattava abbastanza bene i propri beni mobili, fintanto che questi facevano il loro dovere e non creavano guai… e quel vecchio dal collare arrugginito, con la sua fiera lealtà al suo padrone, Lord Guanciapendula, non era affatto un’eccezione.
«Ghazdor il Magnanimo?» chiese Tyrion, mellifluo. «Il nostro padrone Yezzan ha parlato spesso della sua arguzia.» In realtà i commenti di Yezzan erano stati del tipo: “Ho più intelligenza io nella mia natica sinistra che Ghazdor e i suoi fratelli messi insieme”. Tyrion ritenne prudente non riferire le parole esatte.
Mezzogiorno era arrivato e passato, prima che lui e Penny arrivassero finalmente al pozzo, dove uno schiavo scheletrico con una gamba sola attingeva l’acqua. Li guardò socchiudendo gli occhi, sospettoso. «Viene sempre Balia a prendere l’acqua di Yezzan, con quattro uomini e un carretto tirato da un mulo» disse calando il secchio nel pozzo. Si udì un debole tonfo. L’uomo con una gamba sola lasciò che il secchio si riempisse, poi cominciò a tirarlo su. Aveva le braccia bruciate dal sole e spellate, magrissime ma muscolose.
«Il mulo è morto» disse Tyrion. «E anche Balia, poveretto. Ora Yezzan è montato pure lui sulla giumenta pallida, e sei dei suoi soldati hanno la diarrea. Posso riempire anche questi altri secchi?»
«Come vuoi.» Fu la fine delle chiacchiere oziose. “È rumore di zoccoli quello che sento?” La bugia sui soldati aveva indotto l’uomo con una gamba sola a muoversi più velocemente.
S’incamminarono sulla via del ritorno, ogni nano con due secchi pieni d’acqua fino all’orlo e ser Jorah con quattro, due per mano. Il giorno diventava sempre più caldo, l’aria era spessa e umida come lana bagnata, e i secchi sembravano farsi via via più pesanti. “Una strada lunga per delle gambe corte.” L’acqua strabordava a ogni passo dai secchi, schizzando loro i piedi, mentre le campanelle scandivano un tempo di marcia. “Se avessi saputo di arrivare a questo punto, padre, forse ti avrei lasciato vivere.” Mezzo miglio più a oriente uno scuro pennacchio di fumo si alzava da una tenda incendiata. “Bruciano i morti della notte scorsa.” «Da questa parte» disse Tyrion, e con la testa fece cenno verso destra.
Penny gli lanciò un’occhiata perplessa. «Ma non è da dove siamo venuti.»
«Non ci conviene respirare quel fumo. È pieno di umori maligni.» Non era una bugia, almeno non del tutto.
In breve Penny fu esausta, per via del peso dei secchi. «Devo riposarmi un attimo.»
«Come tu desideri.» Tyrion posò i secchi a terra, grato per la sosta. Aveva i crampi alle gambe, così cercò una roccia adatta e si sedette a massaggiarsi le cosce.
«Posso farlo io» si offrì Penny.
«Io so dove sono le contratture.» Per quanto gli fosse simpatica, continuava a sentirsi a disagio quando lei lo toccava. Si rivolse a ser Jorah. «Ancora qualche bastonata e sarai più brutto di me, Mormont. Dimmi, in te è ancora rimasto un po’ di spirito battagliero?»
Il grosso cavaliere alzò gli occhi pesti e lo guardò come si può guardare uno scarafaggio. «Quanto basta per torcerti il collo, Folletto.»
«Bene.» Tyrion riprese i suoi secchi. «Da questa parte, allora.»
Penny aggrottò la fronte. «No, a sinistra.» Indicò con il dito. «Là c’è la Strega.»
«E quella è la Sorella Crudele.» Tyrion fece un cenno nella direzione opposta. «Fidati di me» aggiunse. «La mia strada è più corta.» Si avviò, facendo tintinnare le sue campanelle. Sapeva che Penny l’avrebbe seguito.
A volte invidiava la ragazza per tutti i suoi bei sogni. Gli ricordava Sansa Stark, la moglie bambina che aveva sposato e perduto. Malgrado gli orrori patiti, Penny rimaneva fiduciosa. “Dovrebbe sapere come va il mondo. Ha più anni di Sansa. Eppure si comporta come se l’avesse dimenticato, come se fosse di nobili natali e di bell’aspetto, anziché una schiava in un grottesco serraglio.” Di notte Tyrion la sentiva spesso pregare. “Parole sprecate. Se ci sono degli dèi in ascolto, sono dèi mostruosi che ci tormentano per il loro divertimento. Chi altri creerebbe un mondo così, pieno di schiavitù, sangue e sofferenze? Chi altri ci plasmerebbe in questo modo?” A volte avrebbe voluto prenderla a schiaffi, scuoterla, gridarle in faccia qualcosa per strapparla dai suoi sogni. “Nessuno ci salverà” avrebbe voluto gridarle. “Il peggio deve ancora arrivare.” Eppure, per qualche motivo, non riusciva mai a pronunciare quelle parole. Invece di darle un sonoro ceffone su quella brutta faccia per toglierle i paraocchi, si ritrovava a stringerle una spalla o ad abbracciarla. “Ogni carezza è una menzogna. Le ho rifilato così tante monete false che pensa quasi di essere ricca.”
Non le aveva detto la verità neanche sulla Fossa di Daznak.
“I leoni: stavano per farci attaccare dai leoni.” Sarebbe stata un’ironia raffinata. Forse lui avrebbe avuto il tempo per una breve, amara risata, prima di essere sbranato.
Nessuno gli aveva rivelato quale fine era stata predisposta per loro, non a parole, ma non era stato difficile indovinarlo, giù fra i mattoni della Fossa di Daznak, nel mondo nascosto sotto gli spalti, nel tenebroso dominio dei lottatori e dei servi che li accudivano, da vivi e da morti; i cuochi che davano loro da mangiare, i mercanti di ferro che li armavano, i cerusici che li salassavano, li rasavano e ne ricucivano le ferite, le puttane che li sollazzavano prima e dopo i combattimenti, gli addetti che con ganci e catene trascinavano via dalla sabbia i cadaveri degli sconfitti.
La faccia di Balia aveva fatto sorgere in Tyrion il primo sospetto. Dopo lo spettacolo, lui e Penny erano tornati nel sotterraneo illuminato dalle torce dove i gladiatori si riunivano prima e dopo i combattimenti. Alcuni stavano seduti ad affilare le armi; altri facevano sacrifici a strane divinità, o s’intontivano col latte di papavero prima di andare incontro alla morte. Quelli che avevano combattuto e vinto giocavano a dadi in un angolo, ridendo come può fare solo chi ha appena affrontato la morte ed è sopravvissuto.
Balia stava dando delle monete d’argento a un uomo per una scommessa perduta, quando scorse Penny che teneva Scrocchio al guinzaglio. Il lampo di confusione nei suoi occhi durò solo un istante, ma a Tyrion era bastato per capire. “Balia non s’aspettava che ritornassimo.” Aveva guardato le facce degli altri. “Nessuno di loro s’aspettava di vederci tornare. Saremmo dovuti morire là fuori.” Aveva aggiunto l’ultimo tassello quando udì un addestratore di animali lamentarsi ad alta voce col maestro della fossa. «I leoni sono affamati. Sono due giorni che non mangiano. Mi era stato detto di non nutrirli, e così ho fatto. La regina dovrebbe pagarmi la carne.»
«Vaglielo a dire la prossima volta che tiene corte» replicò il maestro della fossa.
Anche allora, Penny non aveva sospettato niente. Quando parlava della fossa, la sua principale preoccupazione era che molti non avevano riso. “Se fossero stati liberati i leoni, si sarebbero fatti delle belle risate” fu sul punto di dirle Tyrion. Invece le strinse affettuosamente una spalla.
Penny si fermò di colpo. «Stiamo andando dalla parte sbagliata.»
«Nient’affatto.» Tyrion posò i secchi a terra. I manici gli avevano inciso dei solchi profondi nelle dita. «Quelle laggiù sono le tende che stiamo cercando.»
«I Secondi Figli?» esclamò ser Jorah, con uno strano sorriso. «Se pensi di trovare aiuto là, non conosci Ben Plumm il Marrone.»
«Oh, sì. Plumm e io abbiamo fatto cinque partite a cyvasse. Ben il Marrone è scaltro, tenace, non stupido… ma cauto. Gli piace lasciare che il suo avversario corra dei rischi, mentre lui aspetta e mantiene aperte le possibilità, reagendo alla battaglia via via che prende forma.»
«Battaglia? Quale battaglia?» Penny fece un passo indietro. «Dobbiamo tornare dal nostro padrone, ha bisogno d’acqua fresca. Se ci mettiamo troppo, saremo frustati. E Carina Porcellina e Scrocchio sono ancora là.»
«Dolcezza farà in modo che qualcuno se ne prenda cura» mentì Tyrion. Più probabilmente Cicatrice e i suoi amici avrebbero presto banchettato con prosciutto, pancetta e un saporito stufato di cane, ma non era necessario che Penny lo sapesse. «Balia è morto e Yezzan è agonizzante. Sarà buio prima che qualcuno si accorga della nostra assenza. Non avremo mai un’occasione migliore di questa.»
«No! Lo sai che cosa fanno quando prendono gli schiavi che tentano di fuggire. Lo sai benissimo. Ti prego, non ci permetteranno mai di lasciare l’accampamento.»
«Noi non lo vogliamo lasciare.» Tyrion riprese i secchi e si avviò a passo spedito, senza guardarsi indietro. Mormont gli si affiancò. Dopo un momento sentì Penny che si affrettava a seguirli, giù per un pendio sabbioso, verso il cerchio di tende sbrindellate.
La prima sentinella comparve mentre si avvicinavano alle linee dei cavalli: uno snello lanciere che la barba rossiccia si contraddistingueva come un tyroshi. «Chi va là? E che cosa avete in quei secchi?»
«Acqua» rispose Tyrion «se ti compiace.»
«Della birra mi compiacerebbe di più.» La punta di una lancia solleticò la schiena di Tyrion; una seconda sentinella era spuntata dietro di loro. Tyrion udì nella sua voce l’inflessione di Approdo del Re. “Feccia del Fondo delle Pulci.” «Ti sei per caso perso, nano?» intimò la sentinella.
«Siamo qui per entrare nella vostra compagnia.»
A Penny scivolò un secchio, che si rovesciò. Metà dell’acqua andò perduta, prima che lei riuscisse a raddrizzarlo.
«Abbiamo già abbastanza guitti nella compagnia» rispose il tyroshi. «Perché dovremmo prenderne altri tre?» Con la punta della lancia toccò il collare di Tyrion, facendo tintinnare le campanelle dorate. «Quello che vedo è dunque uno schiavo in fuga. Tre schiavi in fuga. Di chi è questo collare?»
«Della Balena Gialla.» A parlare era stato un terzo uomo, attirato dalle loro voci: un tipo con la mascella non rasata e i denti macchiati di rosso dalle foglie amare. “Un sergente” capì Tyrion, dalla deferenza degli altri due. Aveva un uncino al posto della mano destra. “L’ignobile ombra bastarda di Bronn, o io sono Baelor il Benedetto.” «Questi sono i nani che Ben aveva cercato di comprare all’asta» disse il sergente ai due lancieri, socchiudendo gli occhi «ma quello grosso… meglio portare anche lui. Tutti e tre.»
Il tyroshi fece segno con la lancia. Tyrion si spostò. L’altro mercenario – uno sbarbatello, poco più che ragazzino, con una rada peluria sulle guance e i capelli color paglia sporca – sollevò Penny e se la mise sottobraccio. «Oh, il mio ha le tette» disse ridendo. Infilò la mano sotto la tunica di Penny, per accertarsene.
«Tu portala e basta» ordinò, brusco, il sergente.
Lo sbarbatello si mise Penny in spalla. Tyrion avanzò con la rapidità che gli permettevano le sue gambette rachitiche. Sapeva dove stavano andando: nella grande tenda sul lato opposto della fossa del fuoco, con le pareti dipinte strappate e sbiadite da anni di sole e di pioggia. Alcuni mercenari si girarono a guardarli passare, una baldracca del seguito ridacchiò, ma nessuno cercò di intervenire.
All’interno della tenda trovarono degli sgabelli da campo e un tavolo con cavalletti, una rastrelliera di lance e alabarde, un pavimento coperto di tappeti consunti di una mezza dozzina di colori contrastanti, e tre ufficiali. Uno era snello ed elegante, con la barba a punta, una lama da bravaccio e un farsetto rosa a spacchi. Un altro era grasso e pelato, con macchie d’inchiostro sulle dita e una penna d’oca in mano.
Il terzo era l’uomo che Tyrion stava cercando. Si inchinò. «Capitano.»
«Li abbiamo sorpresi mentre cercavano di introdursi nel campo.» Lo sbarbatello scaricò Penny sul tappeto.
«Fuggiaschi» dichiarò il tyroshi. «Con dei secchi.»
«Dei secchi?» ripeté Ben Plumm stupito. E visto che nessuno osava dare spiegazioni, aggiunse: «Tornate alle vostre mansioni, ragazzi. E non una parola su questa storia, con nessuno». Quando se ne furono andati, sorrise a Tyrion. «Sei venuto per un’altra partita a cyvasse, Yollo?»
«Se proprio insisti. Mi piace batterti. Sento dire che sei due volte un voltagabbana, Plumm. Un uomo con il mio stesso sentire.»
Il sorriso di Ben il Marrone si smorzò prima di arrivare agli occhi. Studiò Tyrion come se si fosse trattato di una serpe parlante. «Perché sei qui?»
«Per avverare i tuoi sogni. Avevi tentato di comprarci all’asta, poi di vincerci a cyvasse. Neppure quando avevo ancora il naso ero così avvenente da provocare una simile passione… tranne in chi conoscesse per caso il mio vero valore. Be’, eccomi qui, a tua disposizione. Adesso mostrati amico, chiama il fabbro e facci togliere questi collari. Sono stufo di tintinnare quando piscio.»
«Non voglio guai col tuo nobile padrone.»
«Yezzan ha problemi ben più urgenti di cui occuparsi, che tre schiavi scomparsi. Sta cavalcando la giumenta pallida. E perché mai dovrebbero pensare di venirci a cercare qui? Hai abbastanza spade da scoraggiare chiunque voglia curiosare in giro. Un piccolo rischio per un grosso guadagno.»
Il damerino con il farsetto rosa sibilò: «Hanno portato fra noi la malattia. Fin dentro le nostre tende». Si rivolse a Ben Plumm. «Devo tagliare loro la testa, capitano? Il resto lo possiamo buttare in una latrina.» Estrasse la spada, una sottile lama da bravaccio, con l’elsa ornata di gemme.
«Sta’ attento, con la mia testa» disse Tyrion. «Non ti conviene avere addosso schizzi del mio sangue. Il sangue diffonde il morbo. E poi ti toccherebbe bollire le nostre vesti o bruciarle.»
«Ho in mente di bruciarle con te ancora dentro, Yollo.»
«Quello non è il mio vero nome, come sai. Lo sapevi fin dal primo momento in cui mi hai messo gli occhi addosso.»
«Può darsi.»
«Anch’io ti conosco, mio lord» continuò Tyrion. «Sei meno viola e più marrone dei Plumm in patria, ma se il tuo nome non è posticcio, sei un occidentale, per sangue se non per nascita. I Plumm hanno giurato fedeltà a Castel Granito, e si dà il caso che io conosca un po’ della loro storia. Il tuo ramo è spuntato da un sasso tirato nel Mare Stretto, non c’è dubbio. Il figlio minore di Viserys Plumm, scommetto. I draghi della regina ti trovavano simpatico, vero?»
Il mercenario parve divertito da quelle parole. «Chi te l’ha detto?»
«Nessuno. La maggior parte delle storie che si sentono sui draghi sono biada per gli stolti. Draghi che parlano, draghi che accumulano oro e gemme, draghi con quattro zampe e il ventre grosso come elefanti, draghi che giocano agli indovinelli con le sfingi… tutte sciocchezze. Ma nei vecchi libri ci sono anche alcune verità. Non solo so che i draghi della regina ti sono affezionati, ma so anche per quale motivo.»
«Mia madre diceva che mio padre aveva una goccia di sangue del drago.»
«Due gocce. O un cazzo lungo sei piedi. Conosci la storia? Io, sì. Ora, tu sei un Plumm astuto, perciò sai che la mia testa vale una nomina a lord… in Occidente, dall’altro capo del mondo. Il tempo di arrivare là, e rimarrebbero solo ossa e larve. La mia cara sorella negherebbe che la testa è mia, rifiutandosi di darti la giusta ricompensa. Sai com’è, con le regine: sono fiche volubili, tutte quante. E Cersei più delle altre.»
Ben il Marrone si grattò la barba. «Allora potrei consegnarti vivo che ti dimeni. Oppure infilare la tua testa dentro una giara e metterla in salamoia.»
«Oppure puoi passare dalla mia parte. Sarebbe la mossa più saggia.» Tyrion sogghignò. «Sono nato per secondo. Questa compagnia mercenaria è nel mio destino.»
«I Secondi Figli non hanno posto per i guitti» disse il bravaccio in rosa, sprezzante. «A noi servono combattenti.»
«Ve ne ho portato uno» replicò Tyrion, e con il pollice indicò Mormont.
«Quella bestia?» rise il bravaccio. «Un orrido bruto, ma le cicatrici da sole non fanno un Secondo Figlio.»
Tyrion roteò gli occhi di colore diverso. «Lord Plumm, chi sono questi due tuoi amici? Quello rosa è irritante.»
Il bravaccio arricciò il labbro, mentre l’altro con la penna d’oca ridacchiò all’insolenza. Ma fu ser Jorah Mormont a pronunciare i loro nomi. «Calamaio è l’ufficiale pagatore della compagnia. Il pavone si fa chiamare Kasporio l’Astuto, anche se Kasporio il Fighetta sarebbe più appropriato. Un brutto tipo.»
Forse la faccia di Mormont era irriconoscibile per i lividi, ma la sua voce non era cambiata. Kasporio gli lanciò un’occhiata di sorpresa, mentre le rughe intorno agli occhi di Plumm s’increspavano per il divertimento. «Jorah Mormont? Sei proprio tu? Meno arrogante di quando sei scappato via, però. Dobbiamo ancora chiamarti ser?»
Ser Jorah contorse in un ghigno grottesco le labbra maciullate. «Dammi una spada e potrai chiamarmi come più ti aggrada, Ben.»
Kasporio arretrò. «Tu… lei ti mandò via…»
«Sono tornato. Forse sono uno stupido.»
“Uno stupido innamorato.” Tyrion si schiarì la voce. «Potrete parlare dei vecchi tempi andati più tardi… dopo che avrò finito di spiegare perché la mia testa vi sarebbe più utile che mi restasse sulle spalle. Scoprirai, lord Plumm, che posso essere molto generoso con i miei amici. Se non ci credi, chiedi a Bronn. Chiedi a Shagga, il figlio di Dolf. Chiedi a Timett, il figlio di Timett.»
«E chi sarebbero?» chiese l’uomo chiamato Calamaio.
«Bravi uomini che impegnarono per me la loro spada e prosperarono molto per quel servizio.» Scrollò le spalle. «Be’, in effetti ho mentito usando l’aggettivo “bravi”. Sono dei bastardi sanguinari, come tutti voi.»
«Può darsi» disse Ben Plumm il Marrone. «Ma può anche darsi che tu ti sia inventato qualche nome. Shagga, hai detto? Non è un nome da donna?»
«Le sue tette sono grandi a sufficienza. La prossima volta che lo vedo, gli do un’occhiata nelle brache per sicurezza. Quello là è un tavolo da cyvasse? Preparalo, che facciamo una partita. Prima però, una coppa di vino. Ho la gola asciutta come un vecchio osso e vedo che mi toccherà parlare a lungo.»