L’ora degli spettri li aveva quasi raggiunti quando ser Gerris Drinkwater fece ritorno alla piramide, riferendo di aver trovato Fagioli, Libri e il vecchio Bill Osso in una delle bettole più malfamate di Meereen, intenti a bere vino giallo e a godersi lo spettacolo di schiavi nudi che si uccidevano a mani nude e con i denti limati.
«Fagioli ha tirato fuori una lama e ha proposto una scommessa per capire se i disertori avevano le viscere piene di melma gialla» riferì ser Gerris «così gli ho gettato un dragone e gli ho chiesto se l’oro giallo andava bene. Lui ha dato un morso alla moneta e ha domandato che cosa volevo comprare. Quando gliel’ho detto, ha fatto sparire il pugnale e mi ha chiesto se ero ubriaco o pazzo.»
«Che pensi pure quello che vuole, basta che consegni il messaggio» disse Quentyn.
«Lo farà. E scommetto che avrai il tuo incontro. Alla peggio, il Principe Straccione ti farà strappare il fegato da Meris la Bella per poi friggerlo con le cipolle. Dovremmo dare retta a Selmy. Perché quando Barristan il Valoroso dice di scappare, chi è saggio infila gli stivali e inizia a correre. Dovremmo trovare una nave diretta a Volantis finché il porto è ancora aperto.»
Al solo udire quelle parole, le guance di ser Archibald virarono al verde. «Basta navi, preferisco saltellare fino a Volantis su un piede solo.»
“Volantis” pensò Quentyn. “Poi Lys, poi casa. Ritorno da dove sono arrivato, a mani vuote. Tre uomini valorosi morti… e per che cosa?”
Sarebbe stato bello rivedere il Sangue Verde, visitare Lancia del Sole e i Giardini dell’Acqua e respirare l’aria dolce e pulita delle montagne di Yronwood, invece di tutti quei torridi, umidi, viscidi umori della Baia degli Schiavisti. Suo padre non avrebbe detto una sola parola di rimprovero, Quentyn lo sapeva, ma nel suo sguardo avrebbe comunque letto il disappunto. Sua sorella si sarebbe sentita oltraggiata, le Serpi delle Sabbie lo avrebbero sbeffeggiato con sorrisi più taglienti delle spade; quanto a lord Yronwood, il suo secondo padre, che aveva addirittura mandato suo figlio per proteggerlo…
«Non vi voglio trattenere» disse Quentyn ai suoi amici. «Mio padre ha affidato questa missione a me, non a voi. Tornate a casa, se è questo che volete, con i mezzi che preferite. Io rimango.»
Il bestione scrollò le spalle. «Allora rimaniamo anche Drink e io.»
La notte successiva, Denzo D’han si presentò alla porta del principe Quentyn a prendere degli accordi. «Lui è disposto a incontrarti domani, al mercato delle spezie. Cerca una porta con il simbolo del loto viola. Bussa due volte e di’ la parola libertà.»
«D’accordo» replicò Quentyn. «Con me ci saranno Arch e Gerris. Anche lui potrà portare due uomini. Non di più.»
«Come compiace al mio principe.» Le parole erano abbastanza cortesi, ma il tono di Denzo era intriso di perfidia, e gli occhi del poeta guerriero scintillavano di derisione. «Vieni al tramonto. E fa’ in modo di non essere seguito.»
I dorniani lasciarono la Grande Piramide un’ora prima del tramonto, con cauto anticipo qualora avessero sbagliato strada oppure avessero avuto difficoltà a trovare il loto viola. Quentyn e Gerris indossavano i cinturoni con la spada. Il bestione portava la sua mazza da guerra di traverso sulla schiena.
«Siamo ancora in tempo ad abbandonare questa follia» dichiarò Gerris mentre percorrevano un vicolo fetido, diretti verso il vecchio mercato delle spezie. Nell’aria c’era odore di piscio, e davanti a loro riecheggiava il frastuono di un carro per il trasporto dei cadaveri con le ruote rivestite di ferro. «Il vecchio Bill Osso soleva dire che Meris la Bella può far durare la morte di un uomo un intero ciclo lunare. Noi abbiamo mentito loro, Quent. Li abbiamo usati per arrivare fin qui, dopo di che siamo passati ai Corvi della Tempesta.»
«Così come ci era stato ordinato.»
«Stracci, però, non pensava che noi avremmo ubbidito sul serio» intervenne il bestione. «E gli altri suoi ragazzi, ser Orson e Dick Paglia, Hungerford, Will dei Boschi, tutta quella banda, be’, stanno ancora marcendo in qualche segreta grazie a noi. E questo, a Cenci Vecchi, non deve essere piaciuto.»
«No» ammise il principe Quentyn «però l’oro gli piace sempre.»
Gerris rise. «Peccato che noi non ne abbiamo. Tu ti fidi di questa pace, Quentyn? Io no. Mezza città considera un eroe l’uccisore di draghi, e l’altra mezza sputa al solo udire il suo nome.»
«Harzoo» precisò il bestione.
Quentyn aggrottò la fronte. «Si chiamava Harghaz.»
«Hizdahr, Humzum, Hagnag, che differenza fa? Per me sono tutti Harzoo. Lui non ha ucciso nessun drago. Si è solo fatto arrostire il culo, nero e croccante.»
«È stato coraggioso.» “Io avrei avuto il coraggio di affrontare quel mostro armato solo di una lancia?”
«È morto in modo coraggioso, volevi dire.»
«È morto urlando» disse Arch.
Gerris mise una mano sulla spalla di Quentyn. «Anche se la regina dovesse tornare, sarà ancora sposata.»
«Non se io dessi a re Harzoo una carezza con la mia mazza da guerra» suggerì il bestione.
«Hizdahr» lo corresse nuovamente Quentyn. «Si chiama Hizdahr.»
«Una carezza della mia mazza, e a nessuno interesserà più sapere come si chiamava.»
“Non capiscono.” I suoi amici avevano perso di vista il vero motivo per cui erano lì. “La strada passa attraverso di lei, non porta a lei. Daenerys Targaryen è solo il mezzo per raggiungere lo scopo, non lo scopo in sé.”
«”Il drago ha tre teste” mi ha detto la regina. “Le mie nozze non devono necessariamente rappresentare la fine di tutte le tue speranze” e ha aggiunto “io so perché sei qui. Per il fuoco e per il sangue.” Dentro di me scorre sangue Targaryen, lo sapete. Io posso far risalire alla mia discendenza fino…»
«In culo, la tua discendenza» lo interruppe Gerris. «Sai ai draghi quanto gliene fotte del tuo sangue, se non forse per il sapore. Non puoi domare un drago recitando una lezione di storia. Sono dei mostri, non dei maestri. Quent, è davvero questo che vuoi fare?»
«È davvero questo che devo fare. Per Dorne, per mio padre, per Cletus, Will e il maestro Kedry.»
«Ormai sono morti» replicò Gerris. «A loro non importa più.»
«Sono tutti morti» concordò Quentyn. «E per che cosa? Per portarmi qui, affinché io potessi sposare la Regina dei Draghi. Una grande avventura, la chiamava Cletus. Strade dei demoni e mari in tempesta, e alla fine la più bella donna del mondo. Una storia da raccontare ai nostri nipoti. Ma Cletus non avrà mai figli, a meno che non abbia lasciato un bastardo nella pancia di quella donzella da taverna che gli piaceva. E Will non celebrerà mai il suo matrimonio. Le loro morti meritano di avere un senso.»
Gerris indicò un cadavere accasciato contro un muro di mattoni, attorniato da una nube di scintillanti mosche verdastre. «Secondo te, la sua morte ha un senso?»
Quentyn guardò quel corpo con disgusto. «È morto di dissenteria. Stai lontano da lui.» La giumenta pallida era dentro le mura della città. Non c’era da meravigliarsi che le strade apparissero così vuote. «Gli Immacolati faranno venire un carro per i cadaveri.»
«Certo. Ma la mia domanda non era questa. Sono le vite degli uomini ad avere un senso, non le loro morti. Anch’io volevo bene a Will e a Cletus, ma questo non ce li restituirà. Stai commettendo un errore, Quent. Non puoi fidarti dei mercenari.»
«Sono uomini come tutti gli altri. Vogliono oro, gloria, potere. È solamente di questo che mi fido.» “Di questo, e del mio destino. Io sono un principe di Dorne, e il sangue dei draghi scorre nelle mie vene.”
Il sole era calato oltre le mura della città quando trovarono il loto viola, dipinto sul legno consumato dal tempo della porta di una casupola di mattoni, mescolata in mezzo ad altre all’ombra della Grande Piramide gialla e verde di Rhazdar. Quentyn bussò due volte, secondo le istruzioni. Una voce roca rispose, ringhiando qualcosa di incomprensibile nel linguaggio imbastardito della Baia degli Schiavisti, uno sgradevole misto di antico ghiscariano e alto valyriano. Il principe rispose nel medesimo linguaggio. «Libertà.»
La porta venne aperta. Gerris entrò per primo, per sicurezza, Quentyn subito dietro di lui e il bestione di retroguardia. All’interno, l’aria era invasa da fumi bluastri, il cui dolce aroma non riusciva a coprire il ben più forte olezzo di piscio, vino inacidito e carne marcescente. Lo spazio era molto più vasto di come sembrava dall’esterno, prolungandosi a destra e a sinistra nelle strutture adiacenti. Quelle che dalla strada apparivano come una dozzina di costruzioni attigue, in realtà erano un unico, grande locale.
A quell’ora, la sala era semideserta. Alcuni clienti degnarono i dorniani di sguardi annoiati, ostili o curiosi. Gli altri erano ammassati attorno alla fossa in fondo, dove due uomini nudi si affrontavano al coltello, con gli spettatori che li incitavano.
Quentyn non vide traccia degli uomini che erano venuti a incontrare. Poi, una porta che prima non aveva notato si spalancò, e comparve una vecchia, una figura rinsecchita in un tokar rosso scuro ornato da frange che terminavano in piccoli teschi d’oro. La sua pelle era bianca come il latte di cavalla, i capelli talmente radi che si vedeva il cuoio capelluto.
«Dorne» disse la vecchia. «Io Zahrina. Loto viola. Andare giù di qua e trovare loro.» Tenne la porta aperta, facendo loro cenno di entrare.
Oltrepassata la soglia, c’era una scala di legno, ripida e contorta. Questa volta il bestione scese per primo e Gerris fece da retroguardia, con il principe nel mezzo. “Uno scantinato.” Fu una discesa lunga e talmente buia che Quentyn brancolò per evitare di scivolare. Verso la fine, ser Archibald Yronwood estrasse il pugnale.
Arrivarono in una cripta di mattoni grande tre volte la taverna sovrastante. Enormi tini di legno si allineavano lungo le pareti fino a dove poteva spingersi lo sguardo del principe. Una lanterna rossa era appesa subito dopo la porta e una candela unta e nera tremolava sopra un barile rovesciato che fungeva da tavolo. Era l’unica luce che c’era.
Caggo l’Ammazzacadavere passeggiava avanti e indietro vicino alle tinozze di vino, con il suo arakh nero appeso al fianco. Meris la Bella era seduta con in grembo una balestra, i suoi occhi erano freddi e morti come due pietre grigie. Una volta che i dorniani furono entrati, Denzo D’han sbarrò la porta, e poi vi si piazzò davanti, con le braccia incrociate sul petto.
“Ce n’è uno di troppo” pensò Quentyn.
Il Principe Straccione era seduto al tavolo, stava sorseggiando una coppa di vino. Al chiarore della candela, i suoi capelli grigio argento parevano quasi dorati, ma le borse sotto agli occhi somigliavano a grosse bisacce da sella. Indossava una cappa da viandante di lana marrone, sotto cui scintillava una cotta di maglia argento. Era la promessa di un’imboscata, o semplice prudenza? “Un mercenario vecchio è un mercenario cauto.”
Quentyn si avvicinò al tavolo. «Mio lord. Sembri diverso senza il tuo mantello.»
«Senza il mio straccio?» Il pentoshi alzò le spalle. «Un indumento senza valore… eppure quegli stracci riempiono i miei nemici di paura. E sul campo di battaglia, la vista dei miei cenci agitati dal vento incita i miei uomini più di qualsiasi vessillo. E se voglio spostarmi senza essere notato, basta che me li tolga di dosso per diventare ordinario e anonimo.» Accennò alla panca di fronte a lui. «Siedi. Ho sentito dire che sei un principe. Avrei voluto saperlo prima. Qualcosa da bere? Zahrina prepara anche da mangiare. Il pane è secco e lo stufato immondo. Grasso e sale, con qualche pezzetto di carne. Cane, dice lei, ma io credo che sia più probabilmente ratto. Comunque non ti ammazzerà. Ho scoperto che bisogna diffidare solo del cibo allettante. Gli avvelenatori scelgono invariabilmente i piatti più appetitosi.»
«Hai portato tre uomini» rilevò ser Gerris, con una punta di acredine. «L’accordo era di due uomini per parte.»
«Meris non è un uomo. Meris, dolcezza, apriti la giubba e fagli vedere.»
«Non è necessario» decise Quentyn. Se le storie che aveva udito rispondevano a verità, sotto quella giubba Meris la Bella aveva solamente le cicatrici lasciate dagli uomini che le avevano mozzato i seni. «Meris è una donna, concordo. Comunque sia, non hai rispettato i termini dell’accordo.»
«Straccione e sleale, che razza di carogna sono. Tre contro due non è un grande vantaggio, bisogna ammetterlo, ma è pur sempre qualcosa. In questo mondo, bisogna imparare a soppesare tutti i doni che gli dèi scelgono di concederci. È una lezione che ho appreso a duro prezzo. Te la regalo, in segno della mia buona fede.» Il Principe Straccione indicò nuovamente la sedia. «Siediti, e di’ quello che sei venuto a dire. Prometto che non ti farò uccidere finché non ti avrò ascoltato fino in fondo. È il minimo che possa fare per un principe mio pari. Quentyn, vero?»
«Quentyn della nobile Casa Martell.»
«Ranocchio ti si adatta di più. Non è mia abitudine bere con i bugiardi e i disertori, ma tu stuzzichi la mia curiosità.»
Quentyn si sedette. “Una parola sbagliata, e in un attimo tutto finisce in un bagno di sangue.” «Chiedo il tuo perdono per l’inganno. Le uniche navi in partenza per la Baia degli Schiavisti erano quelle che tu avevi noleggiato per andare alla guerra.»
Il Principe Straccione scrollò le spalle. «Ogni traditore ha una storia da raccontare. Non siete certamente i primi ad avermi giurato fedeltà sulle vostre spade, e ad avere preso il mio conio, per poi scappare. E tutti avevano delle motivazioni. “Il mio figlioletto è malato” oppure “Mia moglie mi fa le corna” o anche “Tutti mi costringono a succhiargli l’uccello”. L’ultimo era un ragazzo molto affascinante, ma non gli ho perdonato comunque la sua diserzione. Un altro mi ha detto che il mio rancio era talmente fetido che era scappato prima di ammalarsi, così gli ho fatto mozzare un piede, l’ho arrostito e gliel’ho fatto mangiare. Dopo di che l’ho degradato a cuciniere della compagnia. La qualità del rancio è migliorata, e una volta finito l’ingaggio, ha addirittura firmato per restare. Tu, invece… molti dei miei uomini migliori marciscono nelle segrete della regina per la tua lingua da mentitore, e dubito che saresti capace di cucinarla.»
«Io sono un principe di Dorne» rispose Quentyn. «Ho un dovere nei confronti di mio padre e del mio popolo. Esisteva un patto nuziale segreto.»
«Così ho sentito dire anch’io. E quando l’argentea regina ha visto quel pezzo di pergamena ti è caduta fra le braccia?»
«No» intervenne Meris la Bella.
«No? Ora ricordo… La tua sposa è volata via in groppa a un drago. Be’, quando torna, non dimenticare d’invitarci alle nozze. Gli uomini della mia compagnia non aspettano altro che brindare alla tua felicità, e io adoro i matrimoni occidentali. Soprattutto la parte relativa alla prima notte, ma… oh, aspetta un po’…» Il Principe Straccione si voltò verso Denzo D’han. «Denzo, non mi avevi detto che la Regina dei Draghi ha sposato un ghiscariano?»
«Un nobile di Meereen. Ricco.»
Il Principe Straccione si voltò di nuovo verso Quentyn. «Ma sarà vero? Certamente no. Che fine ha fatto il tuo patto nuziale?»
«Lei gli ha riso in faccia» disse Meris la Bella.
“Daenerys non ha mai riso.” Il resto di Meereen poteva forse considerarlo una stranezza, come quel principe delle Isole dell’Estate in esilio che re Robert Baratheon teneva ad Approdo del Re, ma la Regina dei Draghi si era sempre rivolta a lui con gentilezza.
«Siamo arrivati troppo tardi» disse Quentyn.
«Un vero peccato che tu non abbia disertato prima.» Il Principe Straccione sorseggiò del vino. «Per cui… niente matrimonio reale per il Principe Ranocchio. È per questo che sei saltellato di nuovo da me? I miei tre valorosi ragazzi dorniani hanno deciso di onorare il loro contratto?»
«No.»
«Che peccato.»
«Yurkhaz zo Yunzak è morto.»
«Notizia stantia. Io stesso l’ho visto morire. Quel vecchio scemo ha visto un drago ed è inciampato mentre cercava di scappare, dopo di che è stato calpestato da circa un migliaio dei suoi amici più cari. Senza dubbio la città gialla sarà inondata dalle lacrime. Volevi forse incontrarmi per brindare alla sua memoria?»
«No. Gli yunkai hanno scelto un nuovo comandante in capo?»
«Il concilio dei padroni non ha ancora raggiunto un accordo. Yezzan zo Qaggaz aveva l’appoggio della maggioranza, ma adesso anche lui ha tirato le cuoia. I Saggi Padroni si stanno avvicendando a turno al comando supremo. Oggi il nostro condottiero è uno dei tuoi amici, il Conquistatore Sbronzo. Domani ci sarà Lord Guanciapendula.»
«Il Coniglio» precisò Meris. «Guanciapendula era ieri.»
«Mi correggo e ti ringrazio, dolcezza. I nostri amici yunkai sono stati così cortesi da fornirci un calendario. Devo sforzarmi di essere più assiduo nel consultarlo.»
«Ma tu eri stato assoldato da Yurkhaz zo Yunzak.»
«Esatto. Aveva firmato il contratto con noi a nome della sua città.»
«Meereen e Yunkai hanno fatto pace. L’assedio è stato tolto, gli eserciti dispersi. Non ci sarà nessuna battaglia, nessun massacro, nessuna città da saccheggiare e depredare.»
«Il mondo è pieno di delusioni.»
«Per quanto tempo ancora pensi che gli yunkai continueranno a pagare l’ingaggio per quattro compagnie libere?»
Il Principe Straccione bevve un altro sorso di vino. «Una domanda difficile. Ma noi uomini delle compagnie libere mercenarie viviamo così. Una guerra finisce, un’altra inizia. Fortunatamente, c’è sempre qualcuno che combatte qualcun altro da qualche parte. Forse qui. Anche adesso, mentre noi sorseggiamo del vino, Barba Insanguinata sta facendo pressioni sui nostri amici yunkai perché portino un’altra testa mozzata al re Hizdahr. Liberti e schiavisti si guatano le gole a vicenda e affilano le lame, i Figli dell’Arpia complottano nelle loro piramidi, la giumenta pallida continua a mietere indifferentemente schiavi e lord, i nostri amici della città gialla scrutano il mare, e da qualche parte nelle praterie un drago assapora le tenere carni di Daenerys Targaryen. Chi domina Meereen questa notte? Chi la governerà domani?» Il guerriero pentoshi alzò le spalle. «Di una cosa sono certo: qualcuno avrà bisogno delle nostre spade.»
«Io ho bisogno delle vostre spade. Dorne è pronta a ingaggiarvi.»
Il Principe Straccione lanciò uno sguardo a Meris la Bella. «Al nostro Principe Ranocchio non manca certo l’audacia. Devo rinfrescargli la memoria? Mio caro principe, l’ultimo contratto che abbiamo firmato tu l’hai usato per pulirti il tuo bel culetto rosa.»
«Qualsiasi somma gli yunkai ti paghino, io offro il doppio.»
«E pagherai in oro alla firma del contratto?»
«Pagherò una parte quando arriveremo a Volantis, il resto quando sarò di ritorno a Lancia del Sole. Avevo con me dell’oro quando ci siamo imbarcati, ma poiché una volta arruolati sarebbe stato difficile nasconderlo, l’ho affidato alle banche. Posso mostrarti i documenti.»
«Ah, dei documenti. Ma noi verremmo pagati il doppio.»
«Con il doppio dei documenti» disse Meris la Bella.
«Avrete il resto a Dorne» insisté Quentyn. «Mio padre è uomo d’onore. Se appongo il mio sigillo su un accordo, lui lo rispetterà. Hai la mia parola su questo.»
Il Principe Straccione finì il vino, rovesciò la coppa e la posò sul tavolo in mezzo a loro. «Quindi, vediamo se ho capito bene. Un comprovato bugiardo e spergiuro vuole stipulare un contratto con noi, con una promessa di pagamento. E per quali servizi, mi domando? La mia Compagnia del Vento deve forse vincere gli yunkai e saccheggiare la città gialla? Sconfiggere un khalasar dothraki in campo aperto? Scortarti a casa da tuo padre? Oppure vorresti che ti portassimo la regina Daenerys pronta e disponibile nel tuo talamo? Dimmi la verità, Principe Ranocchio, che cosa vuoi da me e dai miei uomini?»
«Mi serve il vostro aiuto per rubare un drago.»
Caggo l’Ammazzacadavere ridacchiò. Meris la Bella increspò le labbra in un mezzo sorriso. Denzo D’han fischiò.
Il Principe Straccione si limitò a lasciarsi andare un po’ all’indietro sullo sgabello. «Il doppio non basta per i draghi, principino» disse. «Anche un ranocchio dovrebbe saperlo. I draghi costano cari. E gli uomini che pagano con delle promesse dovrebbero avere quanto meno il buonsenso di promettere di più.»
«Se vuoi ti offro il triplo…»
«Quello che voglio» dichiarò il Principe Straccione «è Pentos.»