Il grifone risorto

Mandò per primi gli arcieri.

Balaq il Nero era al comando di mille archi. In gioventù, Jon Connington aveva condiviso il disprezzo che molti cavalieri nutrono nei confronti degli arcieri, ma nel tempo dell’esilio era diventato più saggio. A modo suo, una freccia era altrettanto letale di una spada, quindi nel corso della traversata aveva insistito che Harry Strickland il Senzacasa dividesse gli uomini agli ordini di Balaq in dieci compagnie di cento uomini ciascuna, da imbarcare su navi diverse.

Sei di quelle navi erano rimaste insieme fino a scaricare i loro guerrieri sulle spiagge di Capo Furore (le altre quattro erano rimaste indietro, ma prima o poi sarebbero arrivate, assicuravano i volantiani, anche se Griff ormai le dava per disperse, o approdate chissà dove), lasciando quindi la compagnia con seicento arcieri. Duecento si rivelarono sufficienti.

«Cercheranno di inviare dei corvi messaggeri» disse Griff a Balaq il Nero. «Tenete d’occhio la torre del maestro. Qui.» Indicò la mappa che aveva tracciato nel fango del loro accampamento. «Abbattete tutti gli uccelli che vedrete levarsi in volo dal castello.»

«Lo faremo» rispose l’uomo delle Isole dell’Estate.

Un terzo degli uomini di Balaq usava balestre, un altro terzo archi di corno e tendine a doppia convessità tipici dell’Oriente. Meglio di questi erano gli archi lunghi di legno di tasso impugnati dagli arcieri di sangue occidentale, e i migliori in assoluto erano i grandi archi di legno dorato molto apprezzati dallo stesso Balaq il Nero e dai suoi cinquanta arcieri delle Isole dell’Estate. Solamente un arco di ossa di drago poteva superare la gittata di uno di legno dorato. Comunque, qualsiasi arco impugnassero, tutti gli uomini di Balaq erano dei veterani esperti dalla mira infallibile, che avevano già dato prova della loro abilità in centinaia di battaglie, incursioni, schermaglie. Così fecero anche al Posatoio del Grifone.

Il castello si ergeva sulle coste di Capo Furore, sopra un massiccio sperone di roccia rosso scuro, circondato su tre lati dalle acque turbolenti del Golfo dei Naufragi. L’unica via di accesso era difesa da un corpo di guardia, dietro al quale si estendeva la lunga salita brulla che i Connington chiamavano “la gola del grifone”. Varcare la gola poteva tramutarsi in un bagno di sangue, in quanto rendeva gli attaccanti vulnerabili alle lance, alle pietre e alle frecce dei difensori attestati sui due torrioni cilindrici ai lati dei portali principali della fortezza. E una volta che gli attaccanti fossero giunti a quei portali, gli uomini all’interno potevano riversare loro dell’olio bollente sulla testa. Griff si aspettava di perdere un centinaio di uomini, forse più.

Ne perse quattro.

La vegetazione era stata lasciata crescere oltre il corpo di guardia, così Franklyn Flowers poté servirsene come copertura e portò i suoi uomini fino a una distanza di venti iarde dai portali prima di uscire allo scoperto con l’ariete che avevano costruito all’accampamento. Lo schianto del legno contro il legno strappò due uomini dal sonno e li fece accorrere sulle fortificazioni superiori. Gli arcieri di Balaq il Nero li abbatterono entrambi prima che avessero il tempo di sfregarsi via il sonno dagli occhi. Il portale risultò essere chiuso ma non sprangato; cedette al secondo colpo d’ariete. Gli uomini di ser Franklyn avevano già risalito metà della gola prima che un corno da guerra desse l’allarme dal castello vero e proprio.

Il primo corvo si alzò in volo mentre i loro grappini disegnavano un arco oltre la muraglia esterna, il secondo pochi attimi dopo. Nessuno dei due uccelli aveva percorso cento iarde prima di essere abbattuto da una freccia. Una guardia all’interno rovesciò un secchio d’olio sui primi uomini che avevano raggiunto il portale, ma non avendo avuto il tempo di scaldare l’olio, il secchio causò più danni che il suo contenuto. Il clangore delle spade echeggiava in almeno una mezza dozzina di punti diversi delle fortificazioni. Gli uomini della Compagnia Dorata si arrampicarono tra i merli e corsero lungo i camminamenti urlando «Un grifone! Un grifone!», l’antico grido di battaglia della Casa Connington, lasciò i difensori ancora più confusi.

Tutto finì nel giro di pochi minuti. Griff risalì la gola in sella a un destriero bianco, con al fianco Harry Strickland il Senzacasa. Avvicinandosi al castello, vide un terzo corvo spiccare il volo dalla torre del maestro, solo per essere abbattuto da Balaq il Nero in persona. «Non ci sono stati altri messaggi» riferì a Franklyn Flowers nello spiazzo del castello. Il successivo oggetto volante a provenire dalla torre del maestro fu il maestro. Da come sbatteva le braccia, lo si sarebbe potuto scambiare per un altro uccello.

Quella fu la fine di qualsiasi resistenza. Le guardie rimaste avevano tutte gettato le armi. E, in breve, il Posatoio del Grifone fu nuovamente suo, e Jon Connington diventò di nuovo un lord.

«Ser Franklyn» disse «setaccia la fortezza e le cucine, e rastrella tutti quelli che trovi. Malo, la stessa cosa nella torre del maestro e nell’armeria. Ser Brendel, stalle, tempio e baraccamenti. Portate tutti qui fuori nel cortile e cercate di non ammazzare nessuno che non insista a voler morire. Vogliamo conquistare le Terre della Tempesta, certo, ma non per forza con una carneficina. Controllate anche sotto l’altare della Madre: là c’è una scala che conduce a una botola segreta. E ce n’è un’altra anche sotto la torre di nordovest, che porta direttamente al mare. Nessuno deve fuggire.»

«Non accadrà, milord» promise Franklyn Flowers.

Connington li osservò correre via, poi si rivolse al Mezzo-maestro. «Haldon, tu prendi possesso dell’uccelliera. Avrò dei messaggi da inviare questa notte.»

«Speriamo che ci abbiano lasciato qualche corvo.»

Perfino Harry Senzacasa era impressionato dalla rapidità della loro vittoria. «Non pensavo che sarebbe stato così facile» ammise il capitano generale, mentre entravano nella sala grande per dare un’occhiata al Posatoio del Grifone, il trono scolpito e dorato dove cinquanta generazioni di Connington si erano sedute e avevano regnato.

«Da adesso in poi sarà più difficile. Finora li abbiamo colti di sorpresa. Questo non può durare per sempre, nemmeno se Balaq il Nero tira giù tutti i corvi messaggeri del reame.»

Strickland studiò gli arazzi sbiaditi alle pareti, le finestre ad arco con i loro tasselli di vetro rosso e bianco a losanghe, le rastrelliere di lance, spade e mazze da guerra. «Che vengano pure. Questo posto può resistere a eserciti venti volte più numerosi del nostro, almeno finché avremo vettovaglie sufficienti. E dicevi che c’è una via per arrivare al mare?»

«Sotto di noi. Un’insenatura nascosta sotto lo sperone roccioso, che affiora solo con la bassa marea.»

Ma Connington non aveva la minima intenzione di lasciare “che venissero pure”. Il Posatoio del Grifone era solido ma piccolo e, finché fossero rimasti arroccati là, anche loro sarebbero stati piccoli. Ma c’era un altro castello poco lontano, molto più grande e inaccessibile. “Prendi quel castello, e l’intero reame vacillerà.”

«Devi scusarmi, capitano generale. Il lord mio padre è sepolto sotto il tempio, e sono passati troppi anni dall’ultima volta che ho pregato per lui.»

«Certo, mio lord.»

Ma quando si furono separati, Jon Connington non andò verso il tempio. I suoi passi lo condussero sul tetto della torre est, la più alta del Posatoio del Grifone. Mentre saliva, ricordò le altre volte che era stato lì in passato: un centinaio in compagnia del lord suo padre, al quale piaceva ammirare le foreste, il mare e le rocce, e sapere che tutto quello che vedeva apparteneva alla Casa Connington, e una volta (una soltanto!) con Rhaegar Targaryen. Il principe Rhaegar era di ritorno da Dorne, e lui e il suo seguito si erano fermati lì per due settimane. “Era così giovane a quel tempo, e io più giovane ancora. Due ragazzi, sia lui sia io.” Al banchetto di benvenuto, il principe aveva preso la sua arpa dalle corde d’argento e aveva suonato per loro. “Un canto d’amore e di morte” ricordava Jon Connington “e quando il principe posò l’arpa, tutte le donne nella sala piangevano.” Gli uomini no, ovviamente. Soprattutto non il lord suo padre, il cui unico amore era la propria terra. Lord Armond Connington trascorse l’intera serata cercando di convincere il principe a schierarsi con lui in una disputa con lord Morrigen.

La porta del tetto della torre era così dura, che evidentemente nessuno doveva aprirla da anni. Dovette prenderla a spallate. Ma quando Jon Connington uscì sulle fortificazioni più elevate, il paesaggio era ipnotico esattamente come lui se lo ricordava: lo sperone con le rocce scolpite dal vento e i rostri frastagliati, il mare sotto che ruggiva e schiumava ai piedi del castello come una belva inquieta, infinite leghe di cielo e di nubi, il bosco con i suoi colori autunnali. «Le terre di tuo padre sono magnifiche» gli aveva detto il principe Rhaegar, esattamente nel punto in cui Jon si trovava in quel momento. «Un giorno saranno mie» aveva risposto il ragazzo di allora. “Come se quelle parole avessero potuto impressionare un principe che era erede dell’intero reame, da Arbor alla Barriera.”

Il Posatoio del Grifone era effettivamente stato suo, a un certo punto, anche se solo per pochi anni. Da quella fortezza, Jon Connington aveva dominato un vasto territorio esteso per molte leghe a ovest, nord e sud, proprio come suo padre e il padre di suo padre prima di lui. Ma suo padre e il padre di suo padre quelle stesse terre non le avevano mai perdute. Lui sì. “Sono salito troppo in alto, ho amato troppo intensamente, ho osato troppo. Ho cercato di afferrare una stella, ma mi sono sporto troppo in avanti e sono caduto.”

Dopo la Battaglia delle Campane, quando Aerys Targaryen lo aveva spogliato dei suoi titoli e lo aveva mandato in esilio in uno dei suoi deliri di ingratitudine e di sospetto, le terre e il titolo di lord erano comunque rimasti in Casa Connington, passando a suo cugino ser Ronald, l’uomo che Jon aveva nominato castellano quando era andato ad Approdo del Re per stare al fianco del principe Rhaegar. Dopo la guerra, Robert Baratheon aveva portato a compimento la distruzione dei grifoni. Al cugino Ronald era stato concesso di tenere il castello e la testa, ma aveva perso il titolo di lord, rimanendo in seguito solamente il cavaliere del Posatoio del Grifone, e nove decimi delle terre tolte alla Casa Connington erano quindi state spartite fra i lord vicini che avevano appoggiato la pretesa di Robert al trono.

Ronald Connington era morto da anni. Si diceva che suo figlio Ronnet, attuale cavaliere del Posatoio del Grifone, fosse ancora in guerra nelle Terre dei Fiumi. Il che andava benissimo. Jon Connington sapeva per esperienza che gli uomini erano disposti a combattere per le cose che ritenevano proprie, anche per quelle di cui si erano impossessati con il furto. Non desiderava affatto celebrare il proprio ritorno assassinando qualcuno del suo stesso sangue. Il padre di Ronnet il Rosso aveva subito approfittato della caduta del lord suo cugino, era vero, ma all’epoca suo figlio era solo un bambino. Jon Connington non aveva neppure odiato il defunto Ronald quanto avrebbe potuto. La colpa, in fondo, era sua.

Aveva perso tutto a Tempio di Pietra, con la sua arroganza.

Robert Baratheon si stava nascondendo da qualche parte in città, solo e ferito. Jon Connington lo sapeva, così come sapeva che la testa di Robert in cima a una picca avrebbe posto fine alla ribellione, ovunque. Ma era giovane e pieno d’orgoglio. Come non esserlo? Re Aerys lo aveva nominato Primo Cavaliere e gli aveva affidato il comando di un esercito, e lui voleva dimostrare di essere degno di quella fiducia, dell’affetto di Rhaegar. Avrebbe ucciso il ribelle, procurandosi così un posto in tutte le storie dei Sette Regni.

Così calò su Tempio di Pietra, isolò la città e cominciò a passarla al setaccio. I suoi cavalieri andarono casa per casa, sfondarono ogni porta, perlustrarono tutti gli scantinati. Mandò addirittura degli uomini a strisciare nelle fogne. Eppure, in qualche modo Robert continuava a sfuggirgli. La popolazione lo nascondeva. Lo facevano spostare di continuo da una botola segreta all’altra, sempre un passo avanti rispetto agli uomini del re. L’intera città era un covo di traditori. Alla fine avevano individuato l’usurpatore nascosto in un bordello. Che razza di re era mai quello, che cercava rifugio dietro le gonne delle puttane? Tuttavia, mentre era in corso quella caccia all’uomo, Eddard Stark e Hoster Tully avevano marciato sulla città alla testa di un esercito ribelle. Suonarono le campane e ci fu battaglia, e Robert Baratheon emerse dal bordello con l’acciaio in pugno, e stava quasi per sgozzare Jon sui gradini dell’antico tempio che dava il nome alla città.

Negli anni successivi, Jon Connington continuò a ripetersi che non era stata colpa sua, che aveva fatto tutto il possibile. I suoi soldati avevano frugato ogni buco, ogni catapecchia, lui aveva offerto perdoni e ricompense, aveva preso degli ostaggi e li aveva appesi dentro alle gabbie dei corvi, e giurò che non avrebbero avuto né acqua né cibo finché Robert non gli fosse stato consegnato. Tutto invano. «Neppure Tywin Lannister stesso avrebbe potuto fare di più» aveva ripetuto una notte a Cuore Nero, durante il suo primo anno di esilio.

«È qui che ti sbagli» aveva risposto Myles Toyne. «Lord Tywin non si sarebbe preso la briga di cercare. Avrebbe bruciato la città con tutti i suoi abitanti. Uomini e fanciulli, infanti che ancora venivano allattati, nobili cavalieri e sacri septon, porci e puttane, ratti e ribelli, li avrebbe bruciati tutti. E una volta che i fuochi si fossero estinti, e non fosse rimasto altro che ceneri e braci, avrebbe mandato i suoi uomini a cercare le ossa di Robert Baratheon. E in seguito, quando gli Stark e i Tully fossero arrivati con il loro esercito, avrebbe offerto a entrambi il perdono reale, e loro avrebbero accettato, tornandosene a casa con la coda tra le gambe.»

“Non aveva torto” rifletté Jon Connington, appoggiandosi alle fortificazioni dei suoi antenati. “Io volevo la gloria di uccidere Robert in singolar tenzone, e non volevo essere definito un macellaio. Così Robert mi è sfuggito, e poi ha sconfitto Rhaegar sul Tridente.”

«Ho deluso il padre» disse Jon Connington ad alta voce «ma non deluderò il figlio.»

Quando fu sceso dal torrione, i suoi uomini avevano raggruppato la guarnigione e gli abitanti superstiti nello spiazzo del castello. Se anche Ronnet il Rosso era effettivamente da qualche parte nel Nord con Jaime Lannister, il Posatoio del Grifone era tutt’altro che sguarnito di grifoni. Tra i prigionieri c’erano Raymund, fratello minore di Ronnet, la sorella Alynne e il figlio naturale di lui, un ragazzino fiero dai capelli rossi, che veniva chiamato Ronald Storm. Tutti loro si sarebbero rivelati utili ostaggi, se e quando Ronnet il Rosso fosse tornato a riprendersi il castello che suo padre aveva rubato. Connington ordinò di confinarli nella torre ovest, sotto sorveglianza. La fanciulla allora cominciò a piangere e il ragazzo bastardo cercò di mordere il lanciere più vicino.

«Basta, tutti e due» urlò Jon. «Non vi verrà fatto alcun male, a meno che Ronnet il Rosso non si comporti da stolto.»

Solo pochi dei prigionieri avevano servito all’epoca in cui Jon Connington era stato lord del castello: un vecchio sergente, cieco da un occhio; un paio di lavandaie; uno stalliere che durante la Ribellione di Robert era ancora un ragazzino; un cuoco, diventato enormemente grasso; l’armiere della fortezza. Nel corso della traversata, Griff si era lasciato crescere la barba, per la prima volta da molti anni, ed era rimasto lui stesso sorpreso nel vederla spuntare per lo più rossa, anche se qua e là il fuoco era disseminato di cenere. Avvolto in una lunga tunica rossa e bianca, con i due grifoni gemelli rampanti della sua casata ricamati sul petto che si affrontano, Jon Connington pareva una versione più vecchia e più seria di quel giovane lord che era stato amico e compagno d’armi del principe Rhaegar… ma gli uomini e le donne del Posatoio del Grifone continuavano comunque a considerarlo un estraneo.

«Alcuni di voi mi conoscono» disse ai prigionieri. «Gli altri mi conosceranno. Io sono il vostro lord di diritto, tornato dall’esilio. I miei nemici vi hanno detto che ero morto. È falso, come potete vedere. Servitemi fedelmente come avete servito mio cugino, e a nessuno di voi verrà fatto alcun male.»

Li fece venire avanti, uno per volta, chiese a ognuno il proprio nome, poi li fece inginocchiare e fece loro giurare fedeltà. Tutto procedette speditamente. I soldati della guarnigione – solo quattro erano sopravvissuti all’attacco: il vecchio sergente e tre ragazzi – deposero le spade ai suoi piedi. Nessuno esitò. Nessuno morì.

Quella notte, nella sala grande, i vincitori festeggiarono con carni arrostite e pesce appena pescato, il tutto annaffiato dai robusti vini rossi delle cantine del castello. Jon Connington dominava la scena dal Posatoio del Grifone, condividendo il tavolo sulla piattaforma con Harry Strickland, Balaq il Nero, Franklyn Flowers e i tre giovani grifoni che avevano preso prigionieri. I ragazzi erano sangue del suo sangue e Jon voleva cercare di fare la loro conoscenza, ma quando il piccolo bastardo annunciò: «Mio padre ti ucciderà», Jon decise che quanto già sapeva era sufficiente, ordinò che venissero portati in cella e si congedò.

Haldon il Mezzo-maestro non era presente al banchetto. Lord Jon lo trovò nella torre del maestro, chino su una pila di pergamene, con tante mappe disseminate attorno a lui.

«Speri di scoprire dove si trova il resto della compagnia?» gli chiese Connington.

Diecimila uomini d’armi erano salpati da Volon Therys, con tutte le loro armi, tutti i loro elefanti e i loro cavalli. A quanto si sapeva, neppure la metà era approdata sul continente occidentale nel punto di sbarco previsto, o nelle vicinanze, un tratto di costa deserto al margine del Bosco delle Piogge… terre che Jon Connington conosceva bene, perché un tempo erano state sue.

Fino a pochi anni prima, non avrebbe mai osato tentare uno sbarco a Capo Furore: i lord della Tempesta erano troppo fieramente leali alla Casa Baratheon e a re Robert. Ma adesso che sia Robert sia suo fratello Renly erano stati assassinati, tutto era cambiato. Stannis era troppo freddo e brutale per ispirare quel tipo di lealtà, anche se non fosse stato dall’altro capo del mondo e le Terre della Tempesta avevano poche ragioni per amare la Casa Lannister. “Alcuni dei lord più anziani si ricorderanno ancora di me, e i loro figli avranno udito storie che mi riguardano. E tutti loro avranno sentito parlare di Rhaegar, e del suo figlioletto, la cui testa è stata sfracellata contro un freddo muro di pietra.”

Fortunatamente, il vascello su cui lui si trovava era stato uno dei primi a giungere a destinazione. Poi si era trattato solo di decidere dove accamparsi, radunare gli uomini quando arrivavano a terra e muoversi in fretta, prima che i signorotti locali avessero sentore del pericolo. E lì la Compagnia Dorata aveva dato prova della propria tempra. Non ci fu traccia del caos che inevitabilmente avrebbe intralciato la marcia di un esercito raccogliticcio, composto da cavalieri locali e armigeri a loro fedeli. I guerrieri della Compagnia Dorata erano i discendenti di Acreacciaio, e per loro la disciplina era come il latte materno.

«Domani, a quest’ora, dobbiamo aver preso altri tre castelli» disse. Le forze con cui avevano conquistato il Posatoio del Grifone costituiva un quarto di quelle a loro disposizione; ser Trystan Rivers si era nel frattempo messo in marcia per Nido dei Corvi, sede della Casa Morrigen, e Laswell Peake per Castello della Pioggia, la fortezza dei Wylde, ognuno di loro con una forza militare di entità comparabile. Il resto degli uomini era rimasto all’accampamento per difendere il punto di sbarco e il loro giovane principe, sotto il comando dell’ufficiale pagatore della compagnia di Volantis, Gorys Edoryen. La speranza era che il loro numero continuasse ad aumentare; ogni giorno arrivavano altre navi. «Abbiamo ancora troppo pochi cavalli.»

«E neanche un elefante» gli ricordò il Mezzo-maestro. Nessuno dei grandi cargo che trasportavano gli elefanti era ancora apparso. L’ultima volta che li avevano avvistati era stato a Lys, prima che la tempesta disperdesse metà della flotta.

«I cavalli, in Occidente, li possiamo trovare. Gli elefanti…»

«… non sono fondamentali» dichiarò Connington. Quelle grandi bestie sarebbero state utili in una guerra di posizione, certo, ma ci sarebbe voluto del tempo prima che riacquistassero le forze per affrontare il nemico sul campo.

«Queste pergamene ti hanno rivelato qualcosa di utile?»

«Oh, di tutto e di più, mio lord.» Haldon gli rivolse un debole sorriso. «I Lannister sono molto bravi nel farsi dei nemici, ma sembrano trovare più difficile conservarsi gli amici. A giudicare da quello che leggo qui, la loro alleanza con i Tyrell sta vacillando. La regina Cersei e la regina Margaery lottano per il piccolo re come due cagne per un osso di pollo, e sono entrambe accusate di tradimento e fornicazione. Mace Tyrell ha tolto l’assedio a Capo Tempesta per tornare a marciare su Approdo del Re e salvare sua figlia, lasciando solamente una forza simbolica per bloccare gli uomini di Stannis dentro la fortezza.»

Connington si sedette. «Dimmi di più.»

«A nord, i Lannister fanno conto sui Bolton e nelle Terre dei Fiumi sui Frey: due case ampiamente rinomate per tradimenti e crudeltà. Lord Stannis Baratheon rimane in aperta ribellione e anche gli uomini di ferro hanno eletto un loro re. Nessuno sembra mai citare la Valle, il che mi fa dedurre che gli Arryn non abbiano preso parte a questi conflitti.»

«E Dorne?» La Valle di Arryn era lontana, Dorne era vicina.

«Il figlio più giovane del principe Doran è stato promesso sposo alla principessa Myrcella, il che suggerirebbe che i dorniani si siano schierati con la Casa Lannister, ma hanno un esercito sulla Strada delle Ossa e un altro al Passo del Principe, in attesa…»

«In attesa…» Connington corrugò la fronte. «Di che cosa?» Senza Daenerys e i suoi draghi, Dorne rimaneva centrale per la loro strategia. «Scrivi a Lancia del Sole. Doran Martell deve sapere che il figlio di sua sorella è ancora vivo, ed è tornato per reclamare il trono di suo padre.»

«Come tu dici, mio lord.» Il Mezzo-mestro diede un’occhiata a un’altra pergamena. «Il tempismo del nostro sbarco non avrebbe potuto essere migliore. Abbiamo potenziali amici e alleati ovunque volgiamo lo sguardo.»

«Ma nessun drago» disse Jon Connington «quindi per portare questi alleati dalla nostra parte, dobbiamo offrire loro qualcosa.»

«Oro e terre sono gli incentivi tradizionali.»

«Se soltanto li avessimo. Le promesse di oro e terre potrebbero andare bene per alcuni, ma Strickland e i suoi uomini si aspettano di poter scegliere i terreni e i castelli migliori, vale a dire quelli che erano stati tolti ai loro antenati quando questi furono costretti all’esilio. No.»

«Il mio lord ha però una ricompensa da offrire.» Haldon il Mezzo-maestro la indicò. «La mano del principe Aegon. Un’alleanza nuziale, per portare alcune delle grandi casate sotto i nostri vessilli.»

“Una sposa per il nostro radioso principe.” Jon Connington ricordava molto bene le nozze del principe Rhaegar. “Elia non è mai stata degna di lui. Era fragile e malaticcia fin dall’inizio, e il parto l’ha ulteriormente indebolita.” Dopo aver dato alla luce la principessa Rhaenys, aveva dovuto stare a letto per sei mesi, e la nascita del principe Aegon l’aveva portata a un passo dalla tomba. I maestri dissero poi al principe Rhaegar che non sarebbe stata in grado di avere altri figli.

«Daenerys Targaryen potrebbe ancora fare ritorno a casa, un giorno» Connington disse al Mezzo-maestro. «Aegon deve quindi essere libero di sposare lei.»

«Il mio lord sa ciò che è più giusto» rispose Haldon. «In questo caso, potremmo considerare di offrire ai nostri potenziali amici una ricompensa inferiore.»

«Qual è il tuo suggerimento?»

«Tu, mio lord. Non sei sposato. Un grande lord, ancora virile e senza eredi, a parte quei cugini che sono stati appena esautorati, discendente di un’antica casata, con un magnifico castello e vaste terre fertili che senza dubbio verranno restituite e forse ampliate da un grande re riconoscente, quando avremo trionfato. Hai fama di essere un guerriero, e quale Primo Cavaliere del re Aegon parlerai in sua vece e dominerai l’intero reame in suo nome. Penso che molti lord ambiziosi non vedranno l’ora di promettere le loro figlie in sposa a un uomo così. Forse, anche il principe di Dorne.»

La risposta di Jon Connington fu un lungo sguardo glaciale. Certe volte il Mezzo-maestro lo irritava quanto quell’infame nanerottolo. “La morte grigia sta lentamente risalendo il mio braccio. Nessuno lo deve sapere, tanto meno mia moglie.” Si alzò in piedi. «Prepara la lettera per il principe Doran.»

«Come il mio lord comanda.»

Quella notte Jon Connington dormì negli appartamenti del lord, nel letto che un tempo era stato di suo padre, sotto un baldacchino polveroso di velluto rosso e bianco. Si svegliò all’alba, con il suono della pioggia che cadeva martellante e il timido bussare di un servitore, ansioso di sapere che cosa il suo nuovo lord desiderava per colazione.

«Uova bollite, pane fritto e fagioli. E una caraffa di vino. Il peggiore che c’è in cantina.»

«Il… peggiore, milord?»

«Mi hai sentito.»

Quando gli vennero portati cibo e vino, Jon Connington sbarrò la porta, svuotò la caraffa in una bacinella e vi immerse la mano. Impacchi e bagni d’aceto erano i trattamenti che lady Lemore aveva prescritto al nano, quando temeva che fosse stato infettato dal morbo grigio, ma chiedere ogni mattina una caraffa d’aceto sarebbe stato sospetto. Il vino era quindi l’unica alternativa, però era inutile sprecare le annate migliori. Le unghie di tutte le dita erano diventate nere, tranne il pollice. Nel dito medio, il grigio era avanzato fino alla seconda falange. “Dovrei mozzarle” pensò “ma come potrei giustificare le dita mancanti?” Non osava rivelare di avere contratto il morbo grigio. Per quanto potesse sembrare strano, uomini pronti ad andare in battaglia e a rischiare la vita per salvare un compagno ferito, avrebbero abbandonato immediatamente quello stesso compagno se avessero saputo che era affetto dal morbo grigio. “Avrei dovuto lasciare annegare quel maledetto nano.”

Più tardi quel giorno, infilati di nuovo tunica e guanti, Connington fece un’ispezione del castello e mandò a dire a Harry Strickland il Senzacasa e ai suoi capitani di raggiungerlo per un consiglio di guerra. Si radunarono in nove nel solarium: Connington e Strickland, Haldon il Mezzo-maestro, Balaq il Nero, ser Franklyn Flowers, Malo Jayn, ser Brendel Byrne, Dick Cole e Lymond Pease. Il Mezzo-maestro portava buone nuove. «Abbiamo ricevuto notizie da Marq Mandrake. I volantiani lo hanno fatto sbarcare in un luogo che poi è risultato essere Estermont, con circa cinquecento uomini. Ha preso Pietraverde.»

Estermont era un’isola al largo di Capo Furore, non era mai stato uno dei loro obiettivi.

«Quegli stramaledetti volantiani sono così ansiosi di sbarazzarsi di noi, da scaricarci sulla prima costa che capita a tiro» protestò Franklyn Flowers. «Scommetto che abbiamo uomini disseminati su metà delle dannate Stepstones.»

«Insieme ai miei elefanti» aggiunse Harry Strickland il Senzacasa, in tono mesto. Sentiva la loro mancanza.

«Mandrake non ha con sé degli arcieri» intervenne Lymond Pease. «Sappiamo se Pietraverde ha inviato dei corvi messaggeri, prima di cadere?»

«Immagino di sì» intervenne Jon Connington «ma quali messaggi avrebbero potuto portare? Al massimo, un confuso resoconto di predoni provenienti dal mare.» Ancora prima di salpare da Volon Therys, aveva dato ordine ai capitani di non innalzare alcun vessillo in questi primi attacchi: né il drago a tre teste del principe Aegon Targaryen né i suoi grifoni né i teschi e gli stendardi d’oro della compagnia. «Lasciamo che i Lannister pensino a Stannis Baratheon, ai pirati delle Stepstones, a fuorilegge usciti dalle foreste o a chiunque altro. Se le notizie che arrivano ad Approdo del Re sono confuse e contraddittorie, tanto meglio. Più il Trono di Spade sarà lento a reagire, più tempo impiegheranno a raccogliere le forze e trovare degli alleati. A Estermont devono esserci delle navi: è un’isola. Haldon, manda un messaggio a Mandrake di lasciare lì una guarnigione e di trasferire il resto dei suoi uomini a Capo Furore, con tutti i prigionieri di nobile lignaggio che ha catturato.»

«Come tu comandi, mio lord. In effetti, la Casa Estermont ha legami di sangue con entrambi i re. Ottimi ostaggi.»

«Ottimi ostaggi» ripeté Harry il Senzacasa, tutto contento.

«È anche tempo di mandare a prendere il principe Aegon» annunciò lord Jon. «Sarà più al sicuro qui, all’interno delle mura del Posatoio del Grifone, che non all’accampamento.»

«Invierò una staffetta a cavallo» rispose Franklyn Flowers «ma ti dico già che a quel ragazzo l’idea di stare al sicuro non piacerà tanto. Lui vuole essere al centro dell’azione.»

“Tutti lo volevamo, alla sua età” pensò lord Jon, rammentando il passato.

«È arrivato il tempo d’innalzare il suo vessillo?» chiese Pease.

«Non ancora. Lasciamo che Approdo del Re continui a pensare che questi attacchi sono solo di un lord tornato dall’esilio con alcune spade mercenarie per reclamare il suo diritto di nascita. Una storia vecchia e risaputa. Arriverò anche a scrivere a re Tommen, dicendo questo e chiedendo il perdono reale e la restituzione delle mie terre e dei miei titoli. Questo darà loro qualcosa su cui rimuginare, almeno per un po’. E mentre si arrovellano, noi invieremo messaggi segreti ai nostri possibili amici nelle Terre della Tempesta e sull’Altopiano. E a Dorne.» Quello era il punto cruciale. I lord minori potevano schierarsi con loro per timore di ritorsioni o nella speranza di profitti, ma soltanto il principe di Dorne aveva le forze per sconfiggere la Casa Lannister e i suoi alleati. «Prima di tutti, dobbiamo avere dalla nostra Doran Martell.»

«Ci sono scarse possibilità che ciò accada» esclamò Strickland. «Il dorniano ha paura della sua stessa ombra. Non è propriamente un temerario.»

“E nemmeno tu.” «Il principe Doran è un uomo cauto, questo è vero. Non si unirà a noi finché non sarà convinto della vittoria finale. Quindi, l’unico modo per persuaderlo è dargli una dimostrazione della nostra forza.»

«Se Peake e Rivers hanno successo, controlleremo la maggior parte di Capo Furore» argomentò Strickland. «Quattro castelli in quattro giorni, un ottimo inizio, ma abbiamo ancora solo metà della nostra forza militare. Dobbiamo aspettare il resto dei miei uomini. Ci mancano anche i cavalli, e gli elefanti. Aspettiamo, dico io. Raduniamo i nostri uomini, convinciamo alcuni lord minori a schierarsi con noi, lasciamo che Lysono Maar mandi in giro le sue spie a scoprire tutto quello che possiamo scoprire sui nostri nemici.»

Connington lanciò un’occhiata glaciale al grassoccio capitano generale. “Quest’uomo non è Cuore Nero né Acreacciaio né Maelys. Se lui potesse, aspetterebbe finché i Sette Inferi non saranno congelati pur di evitare qualche altra vescica.” «Non abbiamo attraversato mezzo mondo per stare ad aspettare. La tattica migliore per noi è colpire con decisione e rapidità, prima che Approdo del Re sappia chi siamo. Intendo prendere Capo Tempesta. Una fortezza pressoché impenetrabile, e ultima testa di ponte di Stannis Baratheon nel Sud. Presa quella, avremo una solida base di appoggio, dove poterci rifugiare in caso di necessità, e conquistarla sarà la riprova della nostra forza.»

I capitani della Compagnia Dorata si scambiarono alcuni sguardi. «Se Capo Tempesta è ancora in mano a uomini leali a Stannis» obiettò Brendel Byrne «sarà a lui che la toglieremo, non ai Lannister. Perché invece non fare causa comune con lui contro i Lannister?»

«Stannis è fratello di Robert, della stessa genia che ha portato la Casa Targaryen alla rovina» gli ricordò Jon Connington. «Inoltre, Stannis si trova a mille leghe di distanza, assieme alle misere forze che comanda. Ci vorrebbero sei mesi solo per raggiungerlo, e ha poco o niente da offrirci.»

«Se Capo Tempesta è così impenetrabile, come pensi di prenderla?» chiese Malo.

«Con l’inganno.»

Harry Strickland non era d’accordo. «Meglio aspettare.»

«E noi aspetteremo.» Jon Connington si alzò. «Dieci giorni. Non di più. È il tempo necessario per prepararci. La mattina dell’undicesimo giorno, partiremo per Capo Tempesta.»

Il principe del drago li raggiunse quattro giorni più tardi, alla testa di una colonna di cento uomini a cavallo, con tre elefanti che arrancavano di retroguardia. Con lui c’era lady Lemore, avvolta nelle sue tuniche bianche da septa. Davanti a loro, ser Rolly Duckfield, con la cappa bianca come la neve che fluttuava alle sue spalle.

“Un uomo affidabile, e fedele” pensò Connington guardando Papero smontare di sella “ma non per questo degno di far parte della Guardia reale.” Aveva cercato di dissuadere il principe dal conferire la cappa a Duckfield, sottolineando che sarebbe stato meglio riservare quell’onore a guerrieri con una maggiore reputazione, la cui fedeltà avrebbe aggiunto lustro alla loro causa, e ai figli più giovani di alti lord, di cui necessitavano l’appoggio nella lotta che li aspettava, ma il ragazzo non aveva voluto saperne. «Papero sarebbe pronto a morire per me, se necessario» aveva risposto «e questa è l’unica cosa che chiedo alla Guardia reale. Anche lo Sterminatore di Re era un guerriero di grande reputazione, e figlio di un alto lord.»

“Quanto meno sono riuscito a convincerlo a lasciare vacanti gli altri sei posti, altrimenti Papero si ritroverebbe con sei paperotti che lo seguono, uno più ciecamente inadeguato dell’altro.” «Scortate sua grazia nel mio solarium» ordinò Connington. «Subito.»

Tuttavia, il principe Aegon Targaryen non era certo malleabile come lo era stato Griff il Giovane. Ci volle quasi un’ora prima che facesse finalmente la sua comparsa nel solarium, con Papero al suo fianco. «Lord Connington» esordì «il tuo castello mi piace.»

“Le terre di tuo padre sono magnifiche, aveva detto Rhaegar. I suoi capelli argento ondeggiavano al vento e i suoi occhi erano di un viola profondo, più scuri di quelli di questo ragazzo.” «Anche a me, vostra grazia. Prego, accomodati. Ser Rolly, non abbiamo più bisogno della tua presenza, per ora.»

«No, io voglio che Papero rimanga.» Il principe si sedette. «Abbiamo parlato con Strickland e Flowers. Ci hanno detto di questo attacco a Capo Tempesta che stai preparando.»

Jon Connington non lasciò trapelare la sua collera. «E Harry il Senzacasa ha cercato di convincerti a rinviarlo?»

«In effetti, ci ha provato» rispose il principe «ma io non intendo ascoltarlo. Harry è solo una vecchia zitella, vero? Hai pienamente ragione, mio lord. Voglio che l’attacco venga compiuto… con un’unica variante. Voglio essere io a comandarlo.»