«Io non sono un traditore» dichiarò il cavaliere del Posatoio del Grifone. «Io sono un uomo di re Tommen, e anche tuo.»
Queste parole erano scandite dal rumore delle gocce di neve sciolta che cadevano dal suo mantello formando una pozza sul pavimento. Ad Approdo del Re aveva continuato a nevicare per quasi tutta la notte; fuori i cumuli arrivavano alle caviglie.
Ser Kevan Lannister si strinse nel proprio mantello. «Questo lo dici tu, ser. Le parole sono vento.»
«Lascia allora che ti dia prova della loro sincerità con la mia spada.» Lo scintillare delle torce faceva avvampare la barba e i lunghi capelli rossi di Ronnet Connington. «Mandami contro mio zio, e io ti porterò la sua testa, più quella del falso giovane drago.»
I lancieri Lannister, con i mantelli cremisi e i mezzi elmi a cresta di leone, erano allineati lungo la parete ovest della sala del trono. Le guardie Tyrell con le cappe verdi li fronteggiavano, schierati lungo la parete opposta. Il gelo nella sala del trono era palpabile. Anche se al momento la regina Cersei e la regina Margaery non c’erano, la loro presenza ammorbava l’aria, come degli spettri a un banchetto.
Dietro al tavolo dove erano seduti i cinque membri del concilio ristretto del re, il Trono di Spade incombeva come una grande belva oscura, con i rostri, gli artigli e le lame parzialmente celati dalle ombre. Kevan Lannister lo sentiva torreggiare dietro di sé, come un pizzicore al centro della schiena. Era facile immaginare il vecchio re Aerys appollaiato là sopra, sanguinante per l’ennesima ferita, lanciare sguardi feroci verso il basso.
Ma quel giorno il Trono di Spade era vuoto. Kevan non aveva ravvisato alcuna ragione perché Tommen dovesse essere presente. Meglio lasciare il ragazzo con la madre. Solamente i Sette Dèi sapevano quanto tempo avevano da trascorrere assieme prima del processo di Cersei… e magari della sua esecuzione.
Fu Mace Tyrell a parlare. «Faremo i conti con tuo zio e con quel suo presunto ragazzetto a tempo debito.» Il nuovo Primo Cavaliere del re sedeva su uno scranno di quercia scolpito a forma di una grande mano, un’assurda ostentazione che sua signoria il lord di Alto Giardino aveva esibito il giorno stesso in cui ser Kevan gli aveva concesso quel rango che tanto agognava. «Tu rimarrai qui finché non saremo pronti a marciare. Solo allora ti sarà concessa l’opportunità di dare prova della tua lealtà.»
Ser Kevan non fece obiezioni. «Scortate ser Ronnet nei suoi alloggi» ordinò. Non fu necessario specificare: “E fate in modo che ci resti”. Nonostante le sue roboanti proteste, il cavaliere del Posatoio del Grifone rimaneva un sospettato. A quanto si sapeva, i mercenari sbarcati nel Sud erano guidati da un suo consanguineo.
Mentre l’eco dei passi di Connington si attutiva, il gran maestro Pycelle scosse la testa meditabondo. «Un tempo suo zio, dal preciso punto dove poco fa si trovava il ragazzo, ha detto a re Aerys che gli avrebbe portato la testa di Robert Baratheon.»
“Ecco che cosa succede quando si diventa vecchi come Pycelle. Tutto quello che vedi o che senti ti fa tornare in mente qualcosa che hai visto o sentito quando eri giovane.” «Quanti uomini d’armi hanno scortato ser Ronnet in città?» domandò ser Kevan.
«Venti» gli rispose lord Randyll Tarly «molti dei quali facevano parte della vecchia banda di Gregor Clegane. Tuo nipote Jaime li ha dati a Connington. Scommetto per sbarazzarsene. Non erano arrivati a Maidenpool nemmeno da un giorno che uno di loro aveva già ammazzato qualcuno, e un altro era stato accusato di stupro. Ho fatto impiccare il primo e castrare il secondo. Se dipendesse da me, li manderei tutti nei guardiani della notte, Connington compreso. La Barriera è il posto giusto per quella feccia.»
«Un cane impara dal padrone» dichiarò Mace Tyrell. «I mantelli neri sono quello che fa per loro, concordo. Non tollererò uomini simili nella guardia cittadina.»
Cento dei suoi armigeri erano entrati nei mantelli dorati, ma evidentemente sua signoria intendeva evitare l’afflusso di altri uomini dell’Occidente come bilanciamento.
“Più gli concedo, più lui pretende.” Kevan Lannister stava cominciando a comprendere perché Cersei avesse sviluppato un tale risentimento nei confronti dei Tyrell. Ma quello non era il momento per provocare una discussione pubblica. Randyll Tarly e Mace Tyrell avevano portato entrambi i loro eserciti ad Approdo del Re, mentre la maggior parte della forza militare dei Lannister era rimasta nelle Terre dei Fiumi, mezza dispersa. «Gli uomini della Montagna che cavalca sono sempre stati validi guerrieri» intervenne in tono conciliante «e contro questa invasione di mercenari avremo bisogno di ogni singola spada. Se, come insistono gli informatori di Qyburn, si tratta davvero della Compagnia Dorata…»
«Chiamali pure come credi» disse Randyll Tarly. «Non sono altro che degli avventurieri.»
«Può darsi» disse ser Kevan. «Ma più a lungo ignoriamo questi avventurieri, più diventano forti. Abbiamo fatto preparare una mappa delle loro incursioni. Gran maestro?»
La mappa era meravigliosa, dipinta dalla mano di un maestro su pergamena finissima, talmente grande da coprire tutto il tavolo. «Qui.» Pycelle indicò con la mano chiazzata dagli anni. Dove la manica della tunica risaliva, si vedeva un lembo di carne pallida che pendeva dall’avambraccio. «Qui e qui. Lungo tutta la costa e sulle isole. Tarth, le Stepstones, perfino Estermont. E dagli ultimi rapporti, Connington si starebbe muovendo verso Capo Tempesta.»
«Se si tratta di Jon Connigton» obiettò Randyll Tarly.
«Capo Tempesta» grugnì lord Mace Tyrell. «Non potrà mai prendere Capo Tempesta. Nemmeno se fosse Aegon il Conquistatore. Adesso è Stannis a controllare la fortezza. E quand’anche ci riuscisse, che cosa otterrebbe? E se il castello passasse da un pretendente all’altro, perché questo dovrebbe impensierirci? Una volta che l’innocenza di mia figlia sarà comprovata, lo riconquisterò.»
“Come farai a riconquistarlo, visto che nemmeno lo hai mai conquistato?” «Capisco, mio lord. Ma…»
Tyrell non lo lasciò finire. «Queste accuse contro mia figlia sono luride menzogne. Per cui torno a domandare perché dobbiamo recitare questa farsa da guitti? Che re Tommen sancisca l’innocenza di mia figlia, ser, così da porre subito fine a questa follia.»
“Se facciamo una cosa del genere, i sussurri perseguiteranno Margaery per il resto dei suoi giorni.” «Nessuno dubita dell’innocenza di tua figlia, mio lord» mentì ser Kevan «ma sua alta sacralità insiste per un processo.»
Lord Randyll sbuffò. «Che cosa siamo diventati, quindi, se sovrani e alti lord arrivano a piegarsi davanti al cinguettare dei passeri?»
«Abbiamo nemici da ogni lato, lord Tarly» gli ricordò ser Kevan. «Stannis a nord, gli uomini di ferro a ovest, i mercenari a sud. Se sfidiamo l’Alto Passero, avremo sangue che scorre anche nelle strade di Approdo del Re. Se venissimo visti andare contro gli dèi, l’unico risultato sarà quello di spingere i devoti nelle braccia di uno o dell’altro di questi usurpatori.»
Mace Tyrell rimase impassibile. «Una volta che Paxter Redwyne avrà spazzato via gli uomini di ferro dai nostri mari, i miei figli torneranno in possesso delle Isole Scudo. Le nevi avranno la meglio su Stannis, oppure ci penserà Bolton. Quanto a Connington…»
«Se si tratta di lui» ribadì lord Randyll.
«… quanto a Connington» riprese Tyrell «quali vittorie ha mai avuto perché noi lo dobbiamo temere? Avrebbe potuto porre fine alla Ribellione di Robert a Tempio di Pietra. Ha fallito. Così come ha sempre fallito anche la Compagnia Dorata. C’è chi correrà ad arruolarsi con loro, aye. Per il reame è solo un bene perdere simili stolti.»
Ser Kevan avrebbe voluto condividere quella certezza. Aveva conosciuto Jon Connington solo superficialmente: un giovane orgoglioso, il più caparbio nel branco di giovani signorotti che si erano raccolti attorno al principe Rhaegar Targaryen, tutti in competizione per diventare il suo favorito. “Arrogante, ma abile ed energico.” Questo, e la sua abilità con le armi, erano le ragioni che avevano indotto il Re Folle a nominarlo Primo Cavaliere. L’inazione del vecchio lord Merryweather aveva fatto sì che la ribellione mettesse radici e si espandesse; Aerys voleva qualcuno di giovane e vigoroso che contrastasse la gioventù e il vigore di Robert Baratheon. «Troppo presto» aveva sentenziato lord Tywin Lannister, quando la notizia della scelta del re era arrivata a Castel Granito. «Connington è troppo giovane, troppo temerario, troppo assetato di gloria.»
La Battaglia delle Campane ne era stata la riprova. Dopo quella sconfitta, ser Kevan pensava che Aerys non avesse altra scelta se non convocare ancora una volta Tywin… invece il Re Folle si era rivolto ai lord Chelsted e Rossart, un errore che pagò con la perdita della corona e della vita. “Ma tutto questo è successo tanto tempo fa. Se si tratta di Jon Connington, sarà un uomo diverso. Più vecchio, più indurito, più saggio… più pericoloso.” «Connington potrebbe avere dalla sua non solo la Compagnia Dorata. Si dice che abbia un pretendente Targaryen.»
«Un falso giovane, ecco che cos’ha» disse Randyll Tarly.
«Forse. O forse no.»
Kevan Lannister era stato presente in quella medesima sala, quando suo fratello Tywin aveva deposto i corpi dei figli del principe Rhaegar ai piedi del Trono di Spade, avvolti in mantelli cremisi. La fanciulla era riconoscibile come la principessa Rhaenys, ma il bambino… “Una poltiglia informe di ossa, sangue e cervello, qualche ciocca di capelli biondi. Nessuno di noi resse a lungo quella vista. Tywin disse che si trattava del principe Aegon, e noi lo prendemmo in parola.”
«Ci arrivano storie simili anche dall’Est. Un secondo pretendente Targaryen, di cui nessuno può mettere in discussione il sangue: Daenerys Nata dalla Tempesta.»
«Folle come suo padre» dichiarò lord Mace Tyrell.
“Quel medesimo padre che Alto Giardino e la nobile Casa Tyrell sostennero fino alla fine amara, e ben oltre.” «Potrà anche essere folle» riprese ser Kevan «ma con così tanto fumo che soffia a ovest, deve di certo esserci qualche incendio che brucia a est.»
Il gran maestro Pycelle annuì. «Draghi. Queste storie hanno raggiunto Vecchia Città. Troppe per essere trascurate. Una regina dai capelli argentei con tre draghi.»
«Dall’altro capo del mondo» disse Mace Tyrell. «Regina della Baia degli Schiavisti, aye. Che faccia pure.»
«Su questo siamo d’accordo» disse ser Kevan «ma la fanciulla è del sangue di Aegon il Conquistatore, e non penso che si accontenterà di restare a Meereen per sempre. Se dovesse approdare su queste coste e unire le sue forze a quelle di lord Connington e del suo principe, vero o fasullo… Dobbiamo distruggere Connington e il suo pretendente adesso, prima che Daenerys Nata dalla Tempesta arrivi a ovest.»
Mace Tyrell incrociò le braccia. «È precisamente quello che intendo fare, ser. Dopo i processi.»
«I mercenari combattono per conio» dichiarò il gran maestro Pycelle. «Con abbastanza oro, potremmo persuadere la Compagnia Dorata a consegnarci lord Connington e il pretendente.»
«Aye, se avessimo dell’oro» intervenne ser Harys Swyft. «Ahimè, miei lord, i nostri forzieri contengono solo ratti e scarafaggi. Ho scritto di nuovo ai banchieri della città libera di Myr. Se accetteranno di spostare il debito della corona sulla Banca di Ferro di Braavos e di accordarci un altro prestito, forse non dovremo alzare ulteriormente le gabelle. Altrimenti…»
«Anche i magistri di Pentos prestano conio» intervenne ser Kevan. «Prova con loro.» Ben difficilmente i pentoshi sarebbero stati più d’aiuto degli strozzini di Myr, ma lo sforzo andava comunque fatto. A meno di non riuscire a trovare una nuova fonte di conio, o di persuadere la Banca di Ferro ad attendere, non avrebbe avuto altra scelta se non ripagare i debiti della corona con l’oro dei Lannister. Ser Kevan non osava ricorrere a nuove tasse, non con i Sette Regni brulicanti di rivolte. Metà dei lord del reame ormai non facevano più differenza tra gabelle e tirannia, e pur di salvare un solo conio corroso, si sarebbero subito gettati nelle braccia dell’usurpatore più vicino. «Se dovessero rifiutare, magari dovrai andare a Braavos, a negoziare di persona con la Banca di Ferro.»
Ser Harys berciò. «Devo proprio?»
«Sei o non sei il maestro del conio?» rispose lord Randyll in tono sferzante.
«Lo sono.» Il ciuffetto di peli bianchi sulla punta del mento di Swyft tremolava per l’oltraggio. «Devo forse ricordare al mio lord che queste turbolenze non dipendono da me? E che non tutti fra noi hanno avuto l’opportunità di riempirsi le casse con le razzie di Maidenpool e Roccia del Drago.»
«Mi ritengo offeso dalle tue insinuazioni, Swyft» ribatté Mace Tyrell drizzando il pelo. «Nessuna ricchezza è stata trovata alla Roccia del Drago, te lo assicuro. Gli uomini di mio figlio hanno frugato ogni angolo di quell’isola umida e tetra senza trovare né una pietra preziosa né oro. Quanto a quel favoleggiato ricettacolo di uova di drago, nessuna traccia.»
Kevan Lannister aveva visto la Roccia del Drago con i suoi occhi. Dubitava molto che Loras Tyrell avesse effettivamente frugato ogni angolo dell’ancestrale piazzaforte. Dopotutto era stata eretta dai valyriani e tutte le loro opere puzzavano di stregoneria. E ser Loras era giovane e incline a tutte le decisioni avventate tipiche della gioventù, inoltre, durante l’assalto alla fortezza era rimasto gravemente ferito. Ma non sarebbe comunque stato saggio ricordare a Tyrell che il suo figlioletto preferito aveva fallito.
«Se alla Roccia del Drago ci fosse stata della ricchezza, Stannis Baratheon l’avrebbe di certo trovata» dichiarò ser Kevan. «Andiamo avanti, miei lord. Vi ricordo che abbiamo due regine accusate di alto tradimento, qualora ve ne foste dimenticati. Mia nipote Cersei ha scelto il processo per duello, mi dice. Il suo campione sarà ser Robert Strong.»
«Il gigante silenzioso.» Lord Randyll fece una smorfia.
«Dimmi, ser, da dove arriva quell’uomo?» domandò Mace Tyrell. «Perché non l’abbiamo mai sentito nominare prima? Non parla, non mostra il suo volto, non è mai stato visto senza armatura. Sappiamo per certo che almeno è un cavaliere?»
“Non sappiamo nemmeno se è vivo.” Secondo Meryn Trant, Strong non mangiava e non beveva, e Boros Blount era arrivato a dire di non averlo mai visto usare la latrina. “E perché dovrebbe? I cadaveri non cacano.” Kevan Lannister aveva un sospetto ben preciso su chi si celasse sotto quell’armatura scintillante. Un sospetto che Mace Tyrell e Randyll Tarly sicuramente condividevano. Ma qualunque fosse la faccia di Strong, per il momento doveva rimanere nascosta sotto l’elmo. Il gigante silenzioso era l’unica speranza di sua nipote Cersei. “E preghiamo che sia davvero formidabile come appare.”
Mace Tyrell, però, era incapace di vedere oltre la minaccia della propria figlia. «Sua grazia ha elevato ser Robert alla Guardia reale» gli ricordò ser Kevan «e anche Qyburn confida in lui. Comunque sia, miei lord, per noi è essenziale che ser Robert prevalga. Se mia nipote fosse riconosciuta colpevole di tradimento, la legittimità dei suoi figli verrebbe messa in discussione. E se Tommen cessa di essere re, Margaery cessa di essere regina.» Lasciò che Tyrell ci riflettesse un momento. «Qualsiasi cosa Cersei possa avere fatto, è pur sempre una figlia di Castel Granito, sangue del mio stesso sangue. Non permetterò che muoia della morte dei traditori, però devo essere certo di averle strappato gli artigli. Tutte le sue guardie sono state congedate e sostituite dai miei uomini. Al posto delle sue precedenti cortigiane, da questo momento in poi la regina sarà assistita da una septa e da tre novizie selezionate dall’Alto Septon. Cersei non avrà più voce in capitolo nel dominio del reame né nell’educazione di Tommen. Dopo il processo, intendo rimandarla a Castel Granito, assicurandomi che là rimanga. E questo è quanto.»
Il resto rimase nel non-detto. Ormai Cersei Lannister era merce avariata. Ogni garzone di fornaio, ogni mendicante della città l’aveva vista nella sua umiliazione, ogni baldracca, ogni conciatore di pellami dal Fondo delle Pulci fino all’Ansa del Piscio aveva osservato la sua nudità, con occhi famelici che strisciavano sui suoi seni, sul suo ventre e sulle sue parti intime. Dopo un simile oltraggio, nessuna regina poteva continuare a regnare. Rivestita di oro, sete e smeraldi, Cersei era stata una regina, quanto di più vicino c’era a una dea; nuda, era solamente umana, una donna in età, con le smagliature sulla pancia e le tette che avevano cominciato ad afflosciarsi… come tutte le bisbetiche in mezzo a quella folla non avevano mancato di far notare ai loro mariti e ai loro amanti. “Meglio vivere nella vergogna che morire nell’orgoglio” disse a se stesso Kevan Lannister. «Mia nipote non commetterà nessun’altra avventatezza» promise a Mace Tyrell. «Su questo hai la mia parola, ser.»
Tyrell fece un cenno di assenso. «Come tu dici. La mia Margaery preferisce essere processata dal Credo, in modo che il tutto reame possa essere testimone della sua innocenza.»
“Se tua figlia è innocente come vorresti farci credere, per quale motivo vuoi la presenza del tuo esercito quando affronterà i suoi accusatori?” avrebbe potuto chiedergli ser Kevan. «Spero presto» disse invece, prima di rivolgersi al gran maestro Pycelle. «C’è altro?»
Il gran maestro consultò le sue carte. «Dovremmo occuparci dell’eredità di Rosby. Sono state avanzate sei pretese…»
«Possiamo occuparci di Rosby in un secondo tempo. Che altro?»
«Andrebbero fatti dei preparativi per la principessa Myrcella.»
«Ecco che cosa si ottiene a mescolarsi con i dorniani» disse Mace Tyrell. «Per la fanciulla non potrebbe essere trovata un’unione migliore?»
“Per esempio tuo figlio Willas? Lei sfigurata da un dorniano e lui storpiato da un altro?” «Indubbiamente» rispose ser Kevan «ma abbiamo già abbastanza nemici senza offendere anche Dorne. Se Doran Martell unisce le sue forze a quelle di Jon Connington in appoggio a questo ipotetico giovane drago, le cose potrebbero mettersi davvero male per tutti noi.»
«Forse potremmo persuadere i nostri amici dorniani a negoziare con Jon Connington» propose ser Harys Swyft con irritante saccenza. «Questo eviterebbe spargimento di sangue e spreco di conio.»
«Sì, certo» rispose cautamente ser Kevan. Era tempo di porre fine a quell’incontro. «Grazie a tutti voi, miei lord. Torneremo a riunirci tra cinque giorni. Dopo il processo di Cersei.»
«Come tu dici. Che il Guerriero conceda la forza alle braccia di ser Robert.» Le parole erano piene di astio, il mento di Mace Tyrell si abbassò rivolgendo al lord reggente il più frettoloso degli inchini. Ma era comunque qualcosa, e Kevan Lannister fu grato di ciò.
Randyll Tarly lasciò la sala al seguito del suo lord, e dietro di loro gli armigeri con i mantelli verdi. “Il vero pericolo è Tarly” rifletté ser Kevan guardandoli allontanarsi. “Un uomo di vedute ristrette ma dalla volontà di ferro e astuto, e anche uno dei migliori soldati che l’Altopiano abbia mai vantato. Ma come posso portarlo dalla nostra parte?”
«Lord Tyrell non nutre alcun affetto per me» piagnucolò in tono cupo il gran maestro Pycelle, una volta che il Primo Cavaliere se ne fu andato. «Quella questione del tè della luna… io non lo avrei mai sollevato, ma l’ordine mi è giunto dalla regina Madre! Se compiace al lord reggente, dormirei sonni più sereni se tu potessi concedermi alcune delle tue guardie.»
«Lord Tyrell potrebbe ritenerlo inopportuno.»
Ser Harys Swyft si tormentò il pizzetto. «Anch’io avrei bisogno di guardie. Questi sono tempi perigliosi.»
“Aye” pensò ser Kevan “e Pycelle non è l’unico membro del concilio ristretto che il Primo Cavaliere vorrebbe sostituire.” Mace Tyrell infatti aveva già un candidato pronto per la carica di lord tesoriere: suo zio, lord siniscalco di Alto Giardino, che gli uomini chiamavano Garth il Grosso. “L’ultima cosa di cui ho bisogno è un altro Tyrell nel concilio ristretto.” Kevan Lannister era già in minoranza. Ser Harys era il padre di sua moglie, e poteva fare affidamento anche su Pycelle. Tarly invece era uno degli alfieri di Alto Giardino, e anche Paxter Redwyne, lord ammiraglio e comandante della flotta, attualmente in navigazione attorno a Dorne per affrontare gli uomini di ferro di Euron Greyjoy. Una volta che Redwyne fosse rientrato ad Approdo del Re, il concilio sarebbe stato tre a tre, Lannister e Tyrell.
La settima voce sarebbe stata la nobile dorniana che ora stava scortando Myrcella a casa. “Lady Nym, che però di lady ha ben poco, se anche solo metà di quanto dice Qyburn è vero.” Figlia bastarda della Vipera Rossa, quasi famigerata quanto il padre e intenzionata a occupare lo scranno nel concilio ristretto che il principe Oberyn Martell stesso aveva occupato per così breve tempo. Ser Kevan non aveva reputato opportuno informare Mace Tyrell del suo arrivo. Sapeva che il Primo Cavaliere non ne sarebbe stato lieto. “L’uomo di cui abbiamo bisogno è Ditocorto. Petyr Baelish ha il dono di evocare i draghi dal nulla.”
«Assoldate gli uomini della Montagna che cavalca» suggerì ser Kevan. «A Ronnet il Rosso non servono più.» Dubitava che Mace Tyrell sarebbe stato così inetto da tentare di assassinare o Pycelle o Swyft, ma se le guardie li facevano sentire più al sicuro, che le avessero.
I tre lasciarono insieme la sala del trono. Fuori, la neve turbinava nel cortile esterno, come una belva in gabbia che ulula per essere liberata. «Avete mai sentito un freddo simile?» disse ser Harys.
«Il tempo per parlare» ribatté il gran maestro Pycelle «non è quando si è esposti alle intemperie.» L’anziano sapiente attraversò lentamente il cortile esterno, diretto verso i suoi alloggi.
Gli altri si attardarono per qualche momento sui gradini della sala del trono.
«Io non ho alcuna fiducia in questi banchieri di Myr» disse ser Kevan al suocero. «È meglio che ti prepari a partire per Braavos.»
La prospettiva non allettava affatto Ser Harys. «Se proprio devo. Ma, ripeto, con questi problemi io non c’entro.»
«No, infatti. È stata Cersei a decidere di dilazionare i pagamenti alla Banca di Ferro. Vuoi forse che a Braavos ci mandi lei?»
Ser Harys spalancò gli occhi. «Ma, sua grazia…»
Ser Kevan andò in suo soccorso. «Era soltanto una battuta, e di dubbio gusto. Va’ a cercarti un fuoco caldo. Intendo fare lo stesso anch’io.»
Infilò i guanti e s’incamminò nel cortile, chino contro il vento, con il mantello che schioccava e si torceva dietro di lui.
Nel fossato asciutto che circondava il Fortino di Maegor si erano accumulati tre piedi di neve, i rostri di ferro che lo circondavano scintillavano, ricoperti di ghiaccio. L’unica via per entrare e uscire dal maniero era il ponte levatoio che superava il fossato. Alla sua estremità interna era sempre di guardia un cavaliere della Guardia reale. Quella notte era il turno di ser Meryn Trant. Con Balon Swann giù a Dorne che braccava la Stella Nera, Loras Tyrell gravemente ferito nell’assalto alla Roccia del Drago e Jaime Lannister che sembrava svanito nelle Terre dei Fiumi, ad Approdo del Re rimanevano soltanto quattro spade bianche, e ser Kevan aveva sbattuto Osmund Kettleblack (e suo fratello Osfryd) nelle segrete poche ore dopo che Cersei aveva confessato di avere avuto entrambi gli uomini per amanti. Questo lasciava solo Trant, il debole Boros Blount e il mostro muto di Qyburn, Robert Strong, a proteggere il giovane re e la famiglia reale.
“Sarò costretto a trovare delle nuove spade per la Guardia reale.” Tommen doveva avere attorno a sé sette validi cavalieri. In passato, i membri della Guardia servivano a vita, il che però non aveva impedito a Joffrey di allontanare ser Barristan Selmy per nominare al suo posto il mastino Sandor Clegane. Un precedente che però a Kevan poteva tornare utile. “Potrei dare il mantello bianco a Lancel” rifletté. “Sarebbe un onore ben maggiore di quello che potrà mai trovare nei Figli del Guerriero.”
Kevan Lannister appese il mantello incrostato di neve nel solarium, si tolse gli stivali e diede ordine ai servitori di andare a prendere altra legna per il camino. «Ci starebbe bene anche una coppa di vino speziato» disse sedendosi vicino al fuoco. «Provvedete.»
Il calore delle fiamme lo scongelò in fretta, e il vino lo riscaldò piacevolmente all’interno. Gli procurò anche una leggera sonnolenza, per cui non osò berne un’altra coppa. Aveva dei rapporti da leggere, alcune lettere da scrivere. “E devo cenare con Cersei e il re.” Dopo la marcia di pentimento, sua nipote era stata soggiogata e sottomessa, grazie agli dèi. Le novizie al suo servizio riportavano che trascorreva un terzo delle ore di veglia al fianco del figlio, un terzo in preghiera e l’altro terzo nella vasca da bagno. Faceva quattro o cinque bagni al giorno, strofinandosi con spazzole di crine di cavallo e forte sapone di lisciva, come se volesse strapparsi la pelle di dosso.
“Ma non riuscirà mai a ripulire l’onta, per quanto energicamente si strofini.” Ser Kevan ricordava bene la fanciulla che un tempo Cersei era stata, così piena di vita e di eccessi. E quando aveva raggiunto la pubertà, ah… era mai esistita una fanciulla più bella? “Se soltanto Aerys avesse accettato di maritarla a Rhaegar, quante morti avrebbero potuto essere evitate?” Cersei avrebbe dato al principe i figli che lui desiderava, leoni con gli occhi viola e i capelli argento… e con una moglie simile, Rhaegar non avrebbe guardato più di tanto Lyanna Stark. La fanciulla del Nord, come ricordava, aveva una bellezza selvaggia, ma per quanto vivida risplenda una torcia, non può mai eguagliare il sole sorgente.
Ma era inutile rimuginare su battaglie perdute e strade non imboccate. Quello era un vizio da uomini vecchi, da uomini al tramonto. Rhaegar aveva sposato Elia di Dorne, Lyanna Stark era morta, Robert Baratheon aveva preso Cersei come sua sposa, ed erano arrivati a quel punto. E quella sera ser Kevan sarebbe andato negli alloggi di Cersei, per un incontro a due.
“Non ho motivo di sentirmi in colpa” ripeteva a se stesso. “Tywin capirebbe, ne sono certo. È sua figlia che ha coperto il nostro nome di vergogna, non io. Quello che ho fatto, l’ho fatto per il bene della Casa Lannister.”
Non che suo fratello non avesse fatto lo stesso. Negli ultimi anni, dopo la dipartita della loro madre, il lord loro padre si era preso come amante l’attraente figlia di un candelaio. Non era cosa insolita per un lord vedovo avere una ragazza del volgo a scaldargli il letto… ma nel giro di poco lord Tytos aveva cominciato a far sedere la donna al proprio fianco nella sala del castello, coprendola di doni e di onori, era addirittura arrivato a chiedere la sua opinione su affari di stato. Nel giro di un anno, quella donna licenziava i servitori, dava ordini ai cavalieri di corte, addirittura parlava a nome di sua signoria il lord quando lui era indisposto. Era diventata talmente influente che a Lannisport aveva cominciato a girare voce che chi voleva farsi ascoltare doveva inginocchiarsi davanti a lei e parlare a voce alta al suo grembo… perché l’orecchio di Tytos Lannister si trovava fra le gambe della lady. Era arrivata anche a portare i gioielli della loro defunta madre.
Fino al giorno in cui il cuore del lord loro padre non era scoppiato, mentre lui saliva la ripida scala che portava al suo letto, così era andata. Tutti gli approfittatori che le si erano proclamati amici e avevano cercato i suoi favori l’avevano abbandonata nel giro di un attimo, quando Tywin l’aveva fatta spogliare nuda e l’aveva fatta sfilare lungo i moli di Lannisport, come una comune baldracca. Anche se nessuno la toccò, quella marcia segnò la fine del suo potere. Ma di certo Tywin non si sarebbe mai immaginato che un identico destino sarebbe toccato anche a sua figlia.
«Bisognava farlo» mugugnò ser Kevan, bevendo l’ultimo goccio di vino. Sua alta sacralità doveva ricevere soddisfazione. Tommen aveva bisogno di avere il Credo dalla sua nelle future battaglie. Quanto a Cersei… la bambina dorata, crescendo, era diventata una donna vanesia, stolta e rapace. Se le fosse stato concesso di regnare, avrebbe rovinato Tommen così come aveva rovinato Joffrey, prima di lui.
Fuori, il vento stava aumentando e artigliava le imposte della stanza. Ser Kevan si alzò. Era tempo di affrontare la leonessa nella sua tana. “Le abbiamo strappato gli artigli. Jaime, però…” No, non avrebbe rimuginato su questo.
Indossò un vecchio farsetto usurato, nel caso sua nipote avesse intenzione di gettargli un’altra coppa di vino in faccia, ma lasciò il cinturone della spada appeso allo schienale dello scranno. Solo ai cavalieri della Guardia reale era permesso di portare la spada alla presenza di Tommen.
Quando ser Kevan entrò negli appartamenti reali, ser Boros Blount era di servizio presso il re ragazzino e sua madre. Blount indossava scaglie smaltate, mantello bianco e mezzo elmo. Non aveva un bell’aspetto. Ultimamente, Boros era molto gonfio di ventre e in faccia, e aveva un colorito malsano. Era appoggiato al muro alle sue spalle, come se restare in piedi gli richiedesse un grandissimo sforzo.
La cena fu servita da tre novizie, fanciulle ben pulite di alto lignaggio tra i dodici e i sedici anni di età. Con le loro morbide tonache di lana bianca, sembravano una più innocente ed eterea dell’altra, tuttavia l’Alto Septon aveva insistito che nessuna ragazza passasse più di sette giorni presso la regina, in modo che Cersei non la potesse corrompere. Si occupavano del guardaroba della sovrana, le preparavano il bagno, le versavano il vino, cambiavano le lenzuola al mattino. Ogni notte, una di loro condivideva il suo letto, per assicurarsi che la regina non avesse altro tipo di compagnia. Le altre due dormivano in una stanza attigua, assieme alla septa che sorvegliava tutte loro.
Una fanciulla alta e cavallina, dalla faccia butterata, scortò ser Kevan alla presenza del re. Quando lui entrò, Cersei si alzò e lo baciò delicatamente sulla guancia.
«Caro zio, che bello che tu possa cenare con noi.»
La regina vestiva modestamente come qualsiasi matrona, con un abito marrone scuro abbottonato fino al mento e un mantello verde con il cappuccio che le copriva la testa rasata. “Prima della marcia penitenziale, si sarebbe vantata della sua calvizie esibendola sotto una corona d’oro.”
«Vieni, siediti» aggiunse Cersei. «Gradisci del vino?»
«Una coppa» rispose lui, ancora guardingo.
Una novizia lentigginosa versò a entrambi del vino caldo speziato.
«Tommen mi dice che lord Tyrell intende ricostruire la Torre del Primo Cavaliere» disse Cersei.
Ser Kevan annuì. «La nuova torre sarà alta il doppio di quella che tu desti alle fiamme, sì.»
Cersei fece una risata gutturale. «Lunghe lance, alte torri… che lord Tyrell stia alludendo a qualcosa?»
Quelle parole fecero sorridere ser Kevan. “È un bene che Cersei sappia ancora ridere.” Quando le domandò se aveva tutto quello che le occorreva, la regina rispose: «Sono servita bene. Le fanciulle sono dolci e le brave septa si assicurano che io reciti le preghiere. Ma una volta che la mia innocenza sarà stata provata, sarei compiaciuta se potessi riavere Taena Merryweather quale dama di compagnia. Potrebbe portare suo figlio a corte. Tommen ha bisogno di avere attorno a sé altri bambini, amici di nobile lignaggio».
Era una richiesta tutto sommato modesta. Ser Kevan non vide ragione per non accoglierla. Avrebbe potuto occuparsi lui stesso del piccolo Merryweather, mentre lady Taena accompagnava Cersei a Castel Granito. «La manderò a prendere dopo il processo» promise.
La cena iniziò con una zuppa di manzo e orzo, seguita da uno spiedo di quaglie e una punta di filetto arrosto lunga quasi tre piedi, serviti con rape, funghi e una gran quantità di pane caldo e burro. Ser Boros assaggiava ogni piatto che veniva servito al re. Un compito umiliante per un cavaliere della Guardia reale, ma forse in quei giorni era l’unica cosa che Blount era in grado di fare… e saggia, considerato il modo in cui era morto suo fratello Joffrey.
Il re sembrava felice come ser Kevan non lo vedeva da tempo. Dalla zuppa fino al dolce, continuò a parlare delle imprese dei suoi gattini, cui dava da mangiare piccoli bocconi presi dal piatto regale.
«Il gattaccio cattivo la notte scorsa era fuori dalla mia finestra» disse a un certo punto a ser Kevan «ma ser Balzo gli ha soffiato e quello è scappato su per i tetti.»
«Il gattaccio cattivo?» ser Kevan era divertito. “Che ragazzino dolce.”
«Un vecchio randagio nero con un orecchio lacerato» spiegò Cersei. «Sporco e con un caratteraccio. Una volta ha graffiato la mano di Joffrey.» La regina fece una smorfia. «I gatti tengono a bada i topi, lo so, ma quello… è noto che aggredisce i corvi nell’uccelliera.»
«Chiederò ai miei derattizzatori di mettere delle trappole anche per lui.» Ser Kevan non ricordava di aver mai visto la nipote così tranquilla, sottomessa e riservata. È un bene, suppose. Ma al contempo si rattristò. “Il fuoco che aveva dentro si è spento, quel fuoco che un tempo ardeva così vivido.”
«Non hai chiesto di tuo fratello» osservò ser Kevan, mentre aspettavano i dolci alla crema. I dolci alla crema erano i preferiti del re.
Cersei sollevò il mento, i suoi occhi verdi brillavano alla luce delle candele. «Jaime? Hai sue notizie?»
«Nessuna. Cersei, forse è bene che ti prepari a…»
«Se fosse morto lo saprei. Siamo venuti insieme in questo mondo, zio. Jaime non se ne andrebbe senza di me.» La regina bevve un sorso di vino. «Tyrion può andarsene quando vuole. Suppongo che tu non abbia notizie nemmeno di lui.»
«No, nessuno negli ultimi tempi ha cercato di venderci una testa di nano mozzata.»
Cersei annuì. «Zio, posso chiederti una cosa?»
«Tutto quello che vuoi.»
«Tua moglie… intendi portarla a corte?»
«No.» Dorna era un’anima gentile, mai a proprio agio se non a casa sua, tra amici e parenti. Era stata un’ottima madre per i loro figli, sognava di avere dei nipoti, pregava sette volte al giorno, adorava il ricamo e i fiori. Ad Approdo del Re sarebbe stata felice quanto uno dei gattini di Tommen in un nido di vipere.
«La lady mia moglie non ama viaggiare. Il suo posto è Lannisport.»
«Saggia è la donna che sa qual è il suo posto.»
La frase non piacque a ser Kevan. «Spiega che cosa intendi dire.»
«Pensavo di averlo fatto.» Cersei presentò la coppa. La ragazza lentigginosa tornò a riempirgliela. A quel punto arrivarono i dolci alla crema, e la conversazione passò ad argomenti più leggeri. Solamente dopo che Tommen e i suoi gattini furono accompagnati da ser Boros nella stanza da letto reale, zio e nipote parlarono del processo alla regina.
«I fratelli di Osney non se ne staranno buoni e tranquilli a guardarlo morire» lo avvertì Cersei.
«Né me lo aspetterei. Li ho fatti arrestare entrambi.»
Cersei sembrò spiazzata. «E per quale crimine?»
«Fornicazione con la regina. Sua alta sacralità dice che tu hai confessato di averli accolti entrambi nel tuo letto… O te ne eri dimenticata?»
Cersei arrossì. «No. Che cosa intendi fare di loro?»
«La Barriera, se ammettono la loro colpa. Se invece negano, potranno affrontare ser Robert. Uomini del genere non avrebbero mai dovuto arrivare così in alto.»
Cersei chinò il capo. «Io… ho fallito nel giudicarli.»
Ser Kevan avrebbe potuto aggiungere altro, ma apparve la novizia con i capelli scuri e le guance rotonde, dicendo: «Mio lord, mia lady, mi dispiace interrompervi, ma c’è di sotto un ragazzo. Il gran maestro Pycelle chiede la cortesia della presenza del lord reggente… immediatamente».
“Ali oscure, oscure parole” pensò ser Kevan. “Che Capo Tempesta sia caduta? O forse nuove da Bolton nel Nord?”
«Potrebbero essere notizie di Jaime» disse la regina.
Esisteva un solo modo per scoprirlo. Ser Kevan si alzò. «Ti prego di perdonarmi.» Prima di andarsene, mise un ginocchio a terra e baciò la mano della nipote. Se il suo gigante silenzioso fosse stato sconfitto, quello poteva essere l’ultimo bacio che riceveva.
Il messaggero era un ragazzo di otto o nove anni, talmente avvolto di pellicce da sembrare un cucciolo di orso. Trant lo aveva fatto aspettare fuori, sul ponte levatoio, invece di lasciarlo entrare nel Fortino di Maegor.
«Trovati un bel fuoco caldo, figliolo» gli disse ser Kevan, piazzandogli un soldo in mano. «Conosco la strada per arrivare all’uccelliera.»
Aveva finalmente smesso di nevicare. Dietro a un velo di nubi sfilacciate, fluttuava la luna piena, grassa e bianca come una palla di neve. Le stelle scintillavano, fredde e lontane. Mentre ser Kevan attraversava il cortile interno, il castello sembrava un luogo alieno, dove a ogni fortilizio e torrione erano spuntate zanne di ghiaccio e tutti i percorsi conosciuti erano svaniti sotto una coltre bianca. All’improvviso, una stalattite lunga quanto una lancia andò a schiantarsi vicino ai suoi piedi. “Autunno ad Approdo del Re” rimuginò. “Chissà come sarà, su alla Barriera.”
La porta venne aperta da una servetta, una ragazzina scarna con una tunica bordata di pelliccia troppo grande per lei. Ser Kevan batté gli stivali sul pavimento, liberandoli dalle incrostazioni di neve, si tolse il mantello e glielo lanciò.
«Il gran maestro mi sta aspettando» annunciò.
La ragazzina annuì, silenziosa e solenne, indicando i gradini.
Gli alloggi di Pycelle si trovavano sotto l’uccelliera: una serie di ampi locali stracolmi di ripiani di legno per erbe e pozioni, e di scaffalature cariche di volumi e rotoli di pergamena. Ser Kevan li aveva sempre trovati esageratamente caldi. Non quella sera. Appena oltrepassata la soglia, il gelo era palpabile. Ceneri nere e braci morenti erano tutto quello che rimaneva nel camino. Qualche candela qua e là proiettava aloni di luce fioca.
Il resto era avvolto dalle ombre… tranne vicino alla finestra aperta, dove una nuvola di cristalli di ghiaccio scintillava ai raggi della luna, turbinando nel vento. Sul davanzale era appollaiato un corvo stremato, pallido, enorme, con il piumaggio arruffato. Era il corvo più gigantesco che Kevan Lannister avesse mai visto. Più grande di tutti i falconi da caccia di Castel Granito, più grande del più grande dei gufi. La neve soffiata dal vento gli danzava intorno e la luna lo colorava d’argento.
“Non d’argento. Questo corvo è bianco.”
I corvi bianchi della Cittadella non portavano messaggi, come i loro cugini scuri. Quando spiccavano il volo da Vecchia Città, era per un unico scopo: annunciare un cambio di stagione.
«Inverno» disse ser Kevan. La parola formò una bruma bianca nell’aria. Ser Kevan si allontanò dalla finestra.
Poi qualcosa lo colpì in mezzo al petto, fra le costole, duro come il pugno di un ciclope. Gli tolse il respiro e lo scaraventò indietro. Il corvo bianco si alzò in volo, le sue ali pallide gli batterono attorno al capo. Ser Kevan Lannister in parte si sedette e in parte cadde sul sedile sotto la finestra. “Che cosa… Chi…”
Il dardo di balestra gli era affondato nel petto fin quasi all’impennaggio. “No, no, no… è così che è morto mio fratello.” Il sangue colava attorno all’asta.
«Pycelle…» mormorò confuso «aiutami…»
Poi vide. Il gran maestro Pycelle era seduto al suo tavolo, con la testa adagiata sul grosso tomo davanti a sé, rilegato in cuoio. “Dorme” pensò ser Kevan… finché, guardando meglio, vide il profondo squarcio rosso sul cranio macchiato del vecchio e la pozza di sangue sotto la sua testa, che tingeva le pagine del libro. Attorno alla candela c’erano frammenti d’osso e di cervello, isole in un mare di cera liquefatta.
“Voleva delle guardie” pensò ser Kevan. “Avrei dovuto dargliele.” E se Cersei avesse avuto ragione? Era tutta opera di suo nipote?
«Tyrion?» chiamò ser Kevan. «Dove?…»
«Lontano» rispose una voce in parte familiare.
Era in una zona d’ombra vicino a degli scaffali, grassoccio, con la faccia pallida, le spalle rotonde, impugnava la balestra con morbide mani incipriate. Delle pantofole di seta gli fasciavano i piedi.
«Varys?»
L’eunuco posò la balestra. «Ser Kevan. Perdonami, se puoi. Non provo odio per te. Non è per cattiveria. È per il regno. Per i bambini.»
“Anch’io ho figli. Ho una moglie. Oh, Dorna…” Fu sopraffatto dal dolore. Chiuse gli occhi, li riaprì. «Ci sono… ci sono centinaia di uomini Lannister armati in questo castello.»
«Ma nessuno in questa stanza, fortunatamente. Ciò mi causa sofferenza, mio lord. Non meriti di morire da solo in una notte così fredda e buia. Ci sono molti come te, uomini buoni al servizio di cause cattive… ma tu stavi per distruggere tutto il lavoro compiuto dalla regina: riconciliare Alto Giardino e Castel Granito, legare il Credo al tuo piccolo re, unificare i Sette Regni sotto il dominio di Tommen. Così…»
Una folata di vento invase la stanza. Ser Kevan fu scosso da un forte tremito.
«Hai freddo, mio lord?» chiese Varys. «Perdonami. Il gran maestro morendo ha lordato se stesso, e il tanfo era così abominevole che ho temuto di soffocare.»
Ser Kevan cercò di alzarsi, ma le forze lo avevano abbandonato. Non sentiva più le gambe.
«Ho pensato che la balestra fosse l’arma più adeguata. Hai condiviso talmente tanto con lord Tywin, perché non anche questo? Tua nipote penserà che sono stati i Tyrell ad assassinarti, magari con la connivenza del Folletto. I Tyrell sospetteranno di lei. E qualcuno, da qualche parte, troverà il modo per incolpare i dorniani. Dubbio, divisione, sfiducia divoreranno la terra sotto i piedi del tuo re ragazzino, questo mentre Aegon leverà il suo vessillo su Capo Tempesta, e i lord del reame si raduneranno attorno a lui.»
«Aegon?» Per un momento non capì. Poi ricordò. Un infante avvolto in un mantello cremisi, la stoffa intrisa del suo sangue, delle sue cervella. Un infante irriconoscibile. «È morto. È morto.»
«Non è morto.» La voce dell’eunuco sembrava più profonda. «È qui. Aegon Targaryen è stato forgiato per governare prima ancora che cominciasse a camminare. È stato addestrato all’uso delle armi, come si confà a un futuro cavaliere, ma questa non è stata la fine della sua educazione. Egli sa leggere e scrivere, parla diverse lingue, ha studiato storia, legge e poesia. Una septa lo ha istruito ai misteri del Credo da quando è stato abbastanza grande per comprenderli. È vissuto fra i pescatori, ha lavorato con le mani, ha nuotato nei fiumi, cucito le reti e imparato a lavarsi i vestiti, se necessario. Sa pescare e cucinare, e suturare una ferita, sa che cosa significa avere fame, essere braccato, avere paura. A Tommen è stato insegnato che essere re è un suo diritto. Aegon ha imparato che essere re è un suo dovere, che un re deve mettere il popolo al primo posto, che deve vivere e governare per lui.»
Kevan Lannister cercò di urlare… alle sue guardie, a sua moglie, a suo fratello… ma le parole non uscirono. Un rivolo di sangue gli gocciolò dalla bocca. Il corpo sussultò violentemente.
«Sono dolente» Varys si torse le mani. «Tu stai soffrendo, lo so, eppure io resto qui, come una vecchia sciocca. È tempo di porre fine a tutto questo.»
L’eunuco protese le labbra ed emise un debole fischio.
Ser Kevan era freddo come ghiaccio, e ogni respiro affannoso gli procurava una nuova fitta di dolore. Percepì qualcosa che si muoveva, udì un leggero fruscio di pantofole sulla pietra.
Da una zona d’ombra emerse un bambino. Un ragazzino pallido con addosso una tunica sbrindellata, di non più di nove, forse dieci anni. Un altro ragazzino si alzò da dietro lo scranno del gran maestro. C’era anche la ragazzina che gli aveva aperto la porta. Erano tutti attorno a lui, una mezza dozzina di bambini con il viso pallido e gli occhi oscuri, maschi e femmine.
E nelle loro mani, i pugnali.