Guardando dall'alto di quella mesa, vedemmo a sud un lago abbastanza grande, d'un verde-azzurro cangiante, con gialle striature di canne secche. Era cosparso di isole e le rive eran tutte a punte e a seni. Specchi d'acqua più piccoli e bracci di fiume si vedevano a est.

Andammo a riposare poco lontano dalla tomba. L'aria s’era fatta fresca e durante la notte la temperatura scese a + 8,40. Sulla mezzanotte udimmo dei gridi laceranti che si seguivano a intervalli di un minuto. Stetti in ascolto. Non era «la vecchia sacerdotessa » che sfogava la sua ira per essere stata disturbata nel suo sonno millenario9 O una civetta o altro simile uccello di malaugurio?

Navighiamo passando continuamente da sud-ovest ad ovest, a nord, a nord-est, in un braccio di fiume che è tutto una serpentina. La corrente è buona. Per lunghi tratti si ha l’illusione di seguire un unico corso d'acqua, ma in realtà numerosissimi canali, completamente nascosti dai canneti, si staccano continua-mente da esso e lo congiungono con altri bracci ed altri laghi E' solo dall’alto dei jardang che ci si può fare un’idea di simili grovigli.

Ed ecco che il braccio su cui navighiamo, si restringe e va a finire in uno stagno. Ne usciamo attraverso un canale che ci porta in un laghetto. Qui ci si presentano due vie: scegliamo quella che va verso 25° est. L'acqua è limpida, colorata di verde, e dolce. Una leggera corrente si fa sentire. A volte siamo completamente chiusi tra due barriere di canne, al di sopra delle

quali si vedono emergere le cime dei jardang.

E' un continuo cercare in tutte le direzioni. Un altro braccio cieco ci costringe a ritornare indietro. Infiliamo un canale e usciamo in un grande specchio d'acqua le cui rive lontane si vedono tutte orlate di caline. Due frotte di anitre si levano e spariscono verso sud-ovest.

I Che magnifici pascoli per il bestiame! > esclama Sadik. Ha ragione. Dovunque è pieno di canne, che d'anno in anno fioriscono e seccano senza alcuna utilità per nessuno; e tutta quest'acqua, ove venisse usata a irrigare, potrebbe essere una fonte di ricchezza.

Verso le sette e mezzo prendiamo terra. Intorno non v è nessuna traccia di legna. Per fare il fuoco sacrifichiamo un paio delle assi dei nostri ponti.

Un po' prima di arrivar K eravamo passati davanti a un elegantissimo obelisco naturale, d’argilla, e a una serie di magnifiche mese simili nella forma a favolosi castelli. Do ordine che all'alba, prima che ci si metta in moto, i rematori vadano a esplorare i dintorni per cercare una via che ci dia meno delusioni.

La temperatura nella notte scese fino a + 5,8, ed eravamo al 9 maggio! Ci alzammo che i rematori eran già di ritorno. Acque che mostrassero traccia di corrente, da nessuna parte, ma, a nord-ovest, avevano scoperto le rovine di una casa di una certa grandezza. Chen pensò subito che si trattasse del forte Pu-ken, scoperto dall'archeologo Hwang Wen-pi, nella nostra spedizione del 1930. Verso le nove montammo su un doppio canotto e ci dirigemmo a quella sfolta. Impiegammo a giungerci una mezz’ora.

Le travi dell'edificio s’inalzavano sulla cima di una collinetta che, per tre lati, ovest, sud ed est, era circondata dall’acqua. Chen c'era già stato nella primavera del 1931, durante la spedizione al Lop-nor fatta da Horncr. Riconobbe subito il posto.

Un paio dei nostri rematori avevano già scavato una fossa N mezzo alla casa, ma non avevan trovato nulla. Proibii che continuassero, e, dopo esser rimasti un’ora, il tempo necessario per fare un disegno particolareggiato del luogo, ce ue andammo senza prender nulla, neanche un pezzo di legno per fare il fuoco. Chen -fece diverse fotografie.

La scoperta di quelle rovine ci servi per Orientarci, perché in base alla carta, a suo tempo fatta da Chen, sapevamo ora che Altmisch-bulak era a 27 km., verso nord-nord-ovest.

Alle 11,15 eravamo di nuovo in acqua verso il nostro campo che portava il numero 79. Caricammo tutto e mettemmo la rotta verso sud-ovest. Una cosa ormai era per noi certa, che le rovine erano situate su acque stagnanti e che verso nord-est non c’era nessuna via. 1 bracci che portavano Tacqui del Kum-daria al Lop-nor dovevano essere ricercati molto piu a sud.

Passammo di nuovo davanti all’obelisco che avevamo osservato la' sera precedente, ma ora a maggior distanza. Visto di lato somigliava a uno dei pilastri dei propilei del palazzo di Serse a Persepoli.

Siamo di nuovo in acque aperte, ma passiamo spesso accanto a gialli canneti, che s’alzano a interrompere la chiara superficie dell acqua verde come malachite. Procediamo verso nord-ovest e verso nord. Arriviamo a un labirinto d’isole e di canneti. Alle due abbiamo una temperatura di 22,1°. L’acqua ne misura 15,0°. Appare a babordo un isolotto con frasche e legna da ardere. Accostiamo e facciamo una buona provvista di rami di tamarisco e di altra legna. Proseguiamo quindi a nord, e verso sera prendiamo terra, su un jardang dalla cima piatta, ottima per puntarci le tende. Tolto il Iato sud-occidentale, esso scende a picco sull’acqua da ogni parte con un salto da 2 a 3 metri. Se si vuole uscire a guardar le stelle, bisogna star bene attenti dove si mettono i piedi.

Quando il campo fu in ordine, chiamai i rematori. Essi avevan visto che Yew, Kong ed Effe eran partiti, il 27 aprile, con la vettura e l’autocarro, per tentar di raggiungere Tun-hwang passando per Altmisch-buìak. Si trattava ora di sapere se fossero passati di già verso est, e si trovassero sulla via del ritorno, ed era cosa di cui si potevano occupar loro. Ne affidai pertanto , rincarico ad Apak, Hajit e Ismail, dando loro ordine di mettersi la mattina seguente in cammino e spingersi, in direzione nord-nord-ovest, fino ai piedi della montagna. Trovata la.traccia, dovevano accertare se essi erano già ritornati o no. Nel caso che ancora non fossero tornati, diedi loro una bandierina bianca e. rossa da piantar sul posto e con quella una vecchia scatola da conserva con dentro una lettera a nome di Chen e mio, in cui stava scritto che noi ci trovavamo sulle acque piti vicine, a 10 km. ad est ael pieritìiano di Loti-lati, e che, non appena avessero raggiunto il campo n. 70, mandassero la vettura a prenderci.

I nostri tre esploratori dovevano assolvere il loro compito dentro la giornata ed essere di ritorno la sera.

Chia Rivei stava per servirci la cena, quando airimprowiso si scatenò una violenta bufera di vento, che veniva da est-nordest. I coperchi delle casseruole e diversi piatti volaron via. 1 rematori raccolsero tutto e andarono a cacciarsi in un profondo avvallamento tra due jardàng. La tenda venne rafforzata con due casse, diversi Bacchi di farina e blocchi d’argilla. Taghil andò a rintanarsi in una piega del terreno.

La mattina del 10 maggio due canotti furono apparecchiati. 11 piu grande, con tre rematori, fu occupato da Chen, sull'altro salimmo due rematori ed io. Staccatici dalla riva, ci dirigemmo verso nord-nord-est, avendo la terra ferma e le mese a sinistra e il groviglio dei jardang e dei canneti a destra. 11 nostro proposito era di raggiungere il luogo dove la spedizione di Horner, alla quale, come si sa, Chen aveva preso parte, aveva avuto il campo n. 106, in modo da precisar megj.ro sulla carta la nostra posizione.

La giornata era magnifica. Una leggera brezza di nord-est increspava Tacqna che dava barbagli al sole. Il verde di essa aveva un vivace risalto contro il giallo-grigio dei jardang e il rosa delle mese.

Navighiamo per un canale di appena 20 m. con a sinistra la terra ferma e a destra le canne. Un canotto con due rematori va molto veloce. La spuma gorgoglia intorno al taglio della prua. Il mio canotto è in testa. A 15 metri dalla prua vediam passare a nuoto un cinghialotto che da terra si dirige verso il canneto. E' spaventato, sente il pericolo e nuota con quanta forza ha in corpo tra un ribollire di spume.

«Forza nei remi! » grido io. Ma i miei rematori fan solo finta di obbedirmi.

« Ha i coltelli in bocca, è pericoloso », dice Sadik.

Giusto! E intanto il verro è già all'orlo del canneto. Il giallo fogliame s’apre come una cortina, e l'animale è ben presto coi piedi all’asciutto. S’odono le canne scricchiolare al suo passaggio, e lo perdiamo di vista.

Un'antilope ci guarda ai piedi di una mesa. E' cosi immobile da parere imbalsamata. Ma un istante dopo dà un balzo e dilegua in un corridoio che è tra la mesa e una collinetta d’argilla

Tamarischi e canne emergono d’intorno. Si va come in un sogno. Immergo le braccia nude nell'acqua: lascio scorrere la mano sul lieve gioco delle onde.

Abbiamo navigato per circa mezz’ora. Ed ecco che il canaio finisce, chiuso a nord dalla terra ferma. Approdiamo. Chen trova facilmente il luogo dove sorgeva il campo 106 nei primi giorni del marzo del 1931, Nei pressi è una mesa. Vi salgo per fare un disegno del panorama.

Mentre sto lassù occupato nel mid lavoro, giunge di corsa All col fiato in gola a riferirmi d'aver trovato le orme fresche di due cavalieri che su grandi cavalli son passati in direzione dì nord-est. E’ convinto che cercano noi. Un momento dopo Sadik

annuncia di avere scoperto le orme di due cammelli, due cavalli, tre asini, sette pecore e un pedone.

Da tutto quel che sappiamo giungiamo alla conclusione che il nuovo fantasma che gira da quelle parti non può essere altri che l’archeologo Hwang, che non abbiam piu visto da Korla. Probabilmente è in viaggio verso la sua vecchia T’u-ken. Venimmo poi piu tardi a sapere ch’egli era sta'to a visitare un deposito di farina nascosta dal nostro gruppo di Tun-hwang presso la sorgente di Nan-chan-bulak nei Kuruk-tagh. Sera anche imbattuto in un pastore, mandato da Bergman alia nostra volta con alcune pecore, e senza tanti complimenti se n’era presa la sua parte. Questa maniera di approvvigionarsi durante il viaggio è pratica e comoda, ma può avere conseguenze disastrose per quelli che ne son vittime.

Ci rimbarchiamo e dirigiamo verso il campo. Col sole al tramonto le mese a sud-ovest formano uno scenario fantastico e irreale. Cani, leoni, draghi accoccolati, 'castelli, fortezze e tórri. Verso le 6 passiamo nell’ombra di una grande mesa. Approdiamo ed io salgo su per fare ancora un paio di disegni di quel meraviglioso paesaggio di acque verdi e di jardang e mese modellate dal vento.

Quando giungiamo al campo è quasi notte. Alle 7 s’odono dei gridi a nord. Gagarin spara un paio di colpi in aria e un fuoco viene acceso in cima a un jardang. 1 rematori rispondono ai gridi di volta in volta. Poi si fa silenzio. Alle 8,30 i tre esploratori da noi inviati la mattina si presentano al campo.

Apak racconta. Avevan camminato per 80 li, quando, più presso al monte che all’acqua, avevano trovato la traccia di due macchine, di un autocarro e di una vettura, dirette verso est. La traccia della vettura tira a sinistra di quella dell’autocarro. Il suolo era cosi duro che la traccia era appena visibile. Ma l’avevano seguita per un pezzo verso est, dove il terreno è più molle e avevano potuto accertare che le macchine erano soltanto

andate, ma non ancora tornate da Tun-hwang. Il saj era dura fino a 15 li dal campo n. 80. Avevano visto la stessa traccia di carovana ché noi avevamo scoperto presso il campo n. 106, avevano inoltre sorpreso nove cammelli selvatici, tra i quali uno enorme, che eran fuggiti verso la montagna. Avevano piantato la bandiera nella traccia e assicurata la scatola col messaggio in un cerchio di sassi.

La relazione fatta da Apak con tono di grande sicurezza appariva perfettamente credibile. Le due auto eran dunque passate tra, gli ultimi d*aprile e i primi di maggio ad est, cercando la via per Tun-hwang. Era appunto il mio sogno questo, qhe l’antica Via della seta, che per 1600 anni era stata abbandonata e che dalla Cina portava per Tun-hwang, il Lop-nor, Lou-lan e il Kum-daria a Kaschgar, potesse Gnalmente venir riattivata e aperta al traffico automobilistico.

Che Yew, Kung ed Effe non fossero ancora di ritorno pareva

a Chen e a me abbastanza strano. Forse si erano indugiati a Tun-hwang, per cercare di aver benzina ed olio da Anhsi, dove la Società Aerea tedesco-cinese Eurasia aveva uno dei suoi depositi solla via tra Sciangai e Urumci. Tuttavia la responsabilità che io avevo delle loro otto vite mi faceva tremare. Solo che Taótocarro si fosse guastato in modo da non poter essere riparato o che la riserva d'acqua fosse stata esaurita, e su di loro sperduti in quel terribile deserto, dove io nel 1901 era andato per undici giorni senza trovare una goccia d’acqua e dovè Horner e Chen l’avevano invano cercata per quattordici giorni, ci sarebbe stato piu poco da far scommesse.

I nostri timori erano completamente giustificati, ma, come capimmo dopo il nostro ritorno dal Lop-nor, anche inutili. Il gruppo di Yew e Kung aveva «incontrato nella zona montana fino ad Altmisch-bulak tali difficoltà di terreno, che alle « 60 sorgenti > (che è quel che precisamente Altmisch-bulak vuol dire) non erano arrivati se non il 13 maggio. V’erano arrivati da sud-ovest, ma lo stesso giorno, avevano dovuto riprendere la via del ritorno verso il campo-base n. 70, costrettivi, come già ho accennato, dal fatto che la maggior parte della loro provvista d’olio era stata consumata.

In base a ciò, come essi non furono nei dintorni di Altmisch-bulak prima del 13 maggio, era impossibile che i nostri tre eroi Apak, Hajit e Ismail, avessero il 10 maggio veduto alcuna traccia delle loro macchine. Tutto il loro racconto, come Chen ed io mettemmo in chiaro, una volta conosciute le cose, era stato inventato dal principio alla fine. Anche il pittoresco particolare dei nove cammelli selvatici era probabilmente un parto della loro fantasia. L’unico ingrediente vero eran le tràcce della carovana presso la riva, di cui noi avevamo avuto contemporanea notizia. Presso la riva erano stati certo, ma non un passo piu-in là.

Ci si può immaginare quel ch’essi avevano combinato. Erano

giunti ai termine delie acquei quando il sole era già in alto | cominciava a far caldo. Ivi giunti, s'erano fatto un ragionamento di questa specie: « Che gusto c’è, in nome dell’eterno Allah, ad andare e venire per un'intera giornata in questo orrendo deserto? Ci fermiamo qui sulla riva, beviamo di questa dolce acqua fresca e ci mettiamo a dormire. Poi diremo al Tura (che vuol dir < Signore ») che abbiamo trovato la traccia. La bandiera e la scatola le buttiamo via. Il Tura non ne saprà e non ne potrà saper nulla, e noi ci godiam la mancia per la buonanotizia. Quando il sole cala torniamo al campo del Tura e faremo la nostra relazione ».

E cosi fecero. Quando io, poi, venni a sapere che le macchine eran passate tre giorni dopo, li feci venire davanti a me, li chiamai manigoldi, imbroglioni e dissi che io avevo deciso di dar loro un premio e che essi in tal modo l’avevan perduto. Mi ascoltarono in silenzio a capo chino. Finita la predica, se ne tornarono senza una parola, come cani bastonati, al fuoco e si buttarono giu a giacere accanto ad esso. Tali sono i Turchi Orientali. Gente di cui ci si possa completamente fidare, tra loro ce n’è poca. Forse sono state la guerra, la vita di rapina, le spogliazioni operate dai Tungani. nelle loro continue invasioni, e la mancanza d’ogni sicurezza che hanno demoralizzato e corrotto quelle popolazióni di contadini una volta oneste e ospitali. In tal caso bisogna sperare che le loro buone qualità ritornino e riabbiano il sopravvento non appena il Turchestan Orientale avrà di nuovo pace e ordine.

Fatta eccezione degli altri gruppi della nostra spedizione e di qualche pastore lungo il Kum-daria, gli unici che fossero in tutta la regione del Lop-nor eravamo Chen, Gagarin, io,, e i nostri dieci rematori! Gli abitati piò vicini erano: Singher a nord-ovest, dove abitava il fratello di Abdu Rehim, a 141 km. dal nostro campo; Miran a sud-sud-ovest, a 192 km.; Tikenlik a 212 km., a ovest-sud-ovest; Ciarkhlik a sud-ovest, a 260 km.;

Turfan a nord, a 262 km.; Hami a nord-est, a 376 km.; Tun-hwang a est-sud-est, a 420 km.; e a 442 km. a sud-est Bulinghìr-nor. Si collegllino tutti questi luoghi con una linea, su una carta, e si avrà l’area di circa 200.000 kmq., nel cuore stesso dell'Asia Centrale, dove di uomini, in ultima analisi, non c'era altri che noi, un'area che è quasi la metà della Svezia. L’Asia ha su una superficie di 44 milioni di kmq. poco piu di mille milioni di abitanti, 23 abitanti circa per kmq. La fascia di deserto sulla quale ci trovavamo, era 1/220 di tutta l'Asia, ed era abitato da un centinaio di persone circa. Se tutto il continente avesse la stessa popolazione, si andrebbe a 22.000 persone, press'a poco la popolazione di Karlstad.

Della nostra spedizione il gruppo, più ad est era il nostro, e il nostro, campo n. 80 era il campo-base da cui dovevamo raggiugere il Lop-nor, il Lago Errante.