Conferenza degli Stati comunisti, Varsavia, 14 maggio 1955

1. Conferenza degli Stati comunisti, Varsavia, 14 maggio 1955.

In risposta all’ingresso della Repubblica Federale Tedesca nel Patto atlantico l’8 maggio 1955, i delegati degli otto Stati comunisti europei (URSS, Albania, Bulgaria, Ungheria, Polonia, Repubblica Democratica Tedesca, Romania e Cecoslovacchia) si riunirono a Varsavia per firmare il Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza, meglio noto come Patto di Varsavia, preparato a Mosca da Nikita Chruščëv. Il Patto poneva le armate degli Stati aderenti sotto un unico comando centrale, ricoperto per primo dal maresciallo sovietico Ivan Stepanovič Koniev. Oltre al significato militare, il Patto di Varsavia ne aveva anche uno politico, in forza del quale l’URSS poté intervenire in Ungheria nel 1956 e dodici anni più tardi in Cecoslovacchia per garantire, sotto la propria egida, la compattezza del blocco comunista. L’Albania fu membro del Patto di Varsavia fino al 1968, anno in cui si ritirò per protesta contro la repressione sovietica della «primavera di Praga».

Antonio Segni, presidente del Consiglio, pronuncia alla Camera il suo discorso programmatico, luglio 1955

2. Antonio Segni, presidente del Consiglio, pronuncia alla Camera il suo discorso programmatico, luglio 1955.

Subentrato al dimissionario Mario Scelba, Antonio Segni resse «uno dei più longevi [governi] del dopoguerra. Durò 679 giorni, dal luglio del ’55 al maggio del ’57. Ebbe una connotazione centrista, anche se i repubblicani, che avevano fatto deflagrare la crisi [del governo Scelba], rifiutarono di entrarvi». La compagine governativa tripartita (DC, PLI, PSDI), in cui sedevano tra gli altri Giulio Andreotti (alle Finanze), Aldo Moro (alla Giustizia) e Fernando Tambroni (agli Interni), doveva impedire ogni progetto di Amintore Fanfani di apertura a sinistra, verso i socialisti, che né Segni né la corrente conservatrice della DC (i cui principali esponenti erano Scelba e Pella) erano disposti ad accettare.

Nikita Chruščëv mentre prende la parola al XX Congresso del PCUS, Mosca, febbraio 1956.

3. Nikita Chruščëv mentre prende la parola al XX Congresso del PCUS, Mosca, febbraio 1956.

Il 17 febbraio 1956 si aprirono i lavori del XX Congresso del Partito comunista sovietico, cui presero parte 1424 delegati di 55 repubbliche. Durante una riunione riservata solo ai dirigenti, il segretario del PCUS Chruščëv presentò un rapporto nel quale denunciava i crimini perpetrati da Stalin con arresti in massa dei dissidenti, processi farsa orchestrati contro i nemici politici e deportazioni nei gulag in Siberia, nonché il «culto della personalità». Il cosiddetto «rapporto Chruščëv», pubblicato integralmente nel successivo mese di giugno dal «New York Times», ebbe un effetto traumatico sui partiti comunisti e anche in Italia «tra i compagni, anche i più fedeli, si diffuse lo sconcerto, una sensazione di parricidio e insieme di perdita della stella polare del Partito. [...] Bruno Corbi, allora deputato comunista, disse che “quando conoscemmo il rapporto Chruščëv fu come se ci crollasse il terreno sotto i piedi... Eravamo stati educati al culto di Stalin, l’Uomo buono, il Grande Padre degli oppressi, il Difensore degli umili. Ci sentimmo traditi”». Il processo di destalinizzazione iniziato da Chruščëv coincise con un nuovo corso nelle relazioni internazionali, all’insegna della normalizzazione dei rapporti con l’Occidente; inoltre verso gli USA fu seguito il principio della coesistenza pacifica. Il carattere dei rapporti tra le due superpotenze fu sancito nel settembre 1959 con il viaggio che Chruščëv compì negli Stati Uniti, dove fu ricevuto dal presidente Dwight Eisenhower.

Soldato israeliano mentre sfoglia una rivista araba in una postazione conquistata all’esercito egiziano durante la crisi di Suez, Rafah, 1° novembre 1956.

4. Soldato israeliano mentre sfoglia una rivista araba in una postazione conquistata all’esercito egiziano durante la crisi di Suez, Rafah, 1° novembre 1956.

La nazionalizzazione della società che gestiva il Canale di Suez, proclamata dal presidente egiziano Gamal Abdel Nasser, fu all’origine della crisi internazionale di Suez. La decisione di Nasser per un verso aspirava ad affermare l’indipendenza economica dell’Egitto, per l’altro costituiva la risposta al rifiuto statunitense di finanziare i lavori per la costruzione della grande diga di Assuan, che avrebbe dovuto assicurare risorse energetiche al Paese. Nello stesso tempo suscitò la risentita reazione di Parigi e Londra, entrambe decise ad assicurare il flusso di petrolio di cui necessitava l’Europa attraverso Suez. A fianco delle due potenze europee si schierò Israele, deciso a riaprire il Canale alla navigazione delle sue navi e a contrastare in modo risoluto il riarmo egiziano in atto in quel periodo. Il 29 ottobre 1956, quando l’attenzione del mondo intero era rivolta alle vicende di Budapest, nella penisola del Sinai scattò l’offensiva israeliana («operazione Kadesh»), pianificata dal generale Moshe Dayan e appoggiata dagli Anglofrancesi con bombardamenti sugli aeroporti egiziani e con il lancio di forze aviotrasportate su Porto Said (5 novembre). L’attacco israeliano colse di sorpresa gli Egiziani, che dovettero ripiegare, e investì Gaza, che fu occupata. Solo gli interventi paralleli di USA e URSS, quest’ultima impegnata in contemporanea in Ungheria, imposero il cessate il fuoco voluto dall’ONU, che poté dispiegare i caschi blu nel Sinai.

Daniel Sego oltraggia la statua di Stalin dopo averla abbattut a, Budapest, 1° dicembre 1956.

5. Daniel Sego oltraggia la statua di Stalin dopo averla abbattut a, Budapest, 1° dicembre 1956.

Il processo di destalinizzazione, avviato da Chruščëv con il «rapporto segreto» presentato durante il xx Congresso del PCUS, fu all’origine di tentativi riformisti nei regimi dell’Europa orientale, in particolare in Polonia e in Ungheria, dove fecero ritorno al governo Wladislaw Gomulka e Imre Nagy, entrambi vittime delle purghe staliniane. Mentre però a Varsavia Gomulka assicurò a Chruščëv che le riforme introdotte sarebbero avvenute nella cornice socialista e che il paese avrebbe conservato i rapporti privilegiati con l’URSS, a Budapest la situazione precipitò irrimediabilmente. In Ungheria la protesta di studenti e operai contro il gruppo stalinista del Partito comunista ungherese assunse rapidamente i connotati di una vera e propria rivolta popolare in seguito all’ordine di far fuoco su una manifestazione studentesca avvenuta il 23 ottobre. Un primo intervento sovietico per riportare l’ordine fallì. Nagy, a capo di un governo di coalizione di partiti democratici, annunciò il ritiro dal Patto di Varsavia, a chiedere all’ONU il riconoscimento della neutralità e a tentare una riforma del Partito, tutti provvedimenti che non arginarono il dilagare dell’insurrezione. Il 4 novembre, durante le trattative tra delegati sovietici e ungheresi per una soluzione simile a quella polacca, l’Armata Rossa fece irruzione in Budapest e si impossessò della città, reprimendo nel sangue la resistenza. Il bilancio finale fu di oltre 20.000 morti e 190.000 fuggitivi ungheresi verso l’Occidente; 15.000 furono i deportati. Nel 29 gennaio 1957, a termine di un processo farsa, Nagy e il generale Pál Mater, che aveva coordinato la resistenza magiara, vennero impiccati.

Trattato di Roma, 25 marzo 1957

6. Trattato di Roma, 25 marzo 1957.

A Roma, i delegati di sei Stati europei (in prima fila nella foto sono riconoscibili Paul-Henri Spaak e Jean Charles Snoy et d’Oppuers per il Belgio, Christian Pineau e Maurice Faure per la Francia, Konrad Adenauer e Walter Hallstein per la Germania, Antonio Segni e Gaetano Martino per l’Italia, Joseph Bech e Lambert Schaus per il Lussemburgo, Joseph Luns e Johannes Linthorst Homan per l’Olanda) firmarono i due trattati che istituivano la Comunità Economica Europea (CEE), per un mercato comune per i prodotti agricoli e industriali, e la Comunità Europea per l’Energia Atomica (EURATOM), per lo sviluppo dell’energia atomica. I due trattati contribuirono al rilancio del processo di integrazione europea dopo il fallimento della CED (Comunità Europea di Difesa) nel 1954. In Italia «non molti si resero conto, allora, delle prospettive che quell’atto formale schiudeva. E molti sbagliarono nel valutarne le conseguenze. Sbagliarono, in particolare, parecchi imprenditori [...] Era diffuso tra loro il timore che l’apertura delle frontiere, benché graduale controllata, mettesse in ginocchio l’industria italiana [...]. I timori erano infondati. L’industria italiana resse ottimamente la prova della concorrenza continentale, che l’avviò anzi verso un periodo d’espansione senza precedenti».

Conferenza dei Paesi membri della NATO a Parigi, 19 dicembre 1957

7. Conferenza dei Paesi membri della NATO a Parigi, 19 dicembre 1957.

Tra il 16 e il 19 dicembre 1957 a Parigi, nel Palais de Chaillot, si tenne il primo summit dei paesi membri della NATO (nella foto i delegati presenti, da sinistra verso destra: il belga Achille van Acker, il canadese John Dieffenbaker, il francese Félix Gaillard, il tedesco Konrad Adenauer, il danese Hans Christian Hansen, il greco Costas Karamanlis, l’islandese Hermann Jonasson, l’italiano Adone Zoli, il segretario generale Paul-Henri Spaak, il presidente onorario Joseph Bech, il lussemburghese Hommel, l’olandese Joseph Luns, il norvegese Einar Gerhardsen, il portoghese Cunha, il turco Adnan Menderes, il britannico Harold Macmillan e Dwight Eisenhower), convocato per riconsiderare la strategia difensiva che doveva assumere l’Occidente di fronte alla minaccia nucleare sovietica. In merito alla questione, venne deciso all’unanimità il dispiegamento di missili balistici a medio raggio a testata nucleare (IRBMs). Nel contempo, il Primo ministro britannico Macmillan si fece promotore di un’azione politico-diplomatica da parte della NATO che ponesse in primo piano i negoziati con l’Unione Sovietica.

Il cardinale Angelo Giuseppe Roncalli eletto pontefice, Roma, 4 novembre 1958

8. Il cardinale Angelo Giuseppe Roncalli eletto pontefice, Roma, 4 novembre 1958.

Il 28 ottobre 1958 saliva al soglio pontificio il Patriarca di Venezia, Angelo Giuseppe Roncalli. Sul nuovo pontefice, che prese il nome di Giovanni XXIII, «fu subito diagnosticato che sarebbe stato, per l’età e per i suoi atteggiamenti da buon parroco, un Papa interlocutorio, scelto perché non avrebbe avuto né il tempo né la voglia di far qualcosa, e tantomeno qualcosa di rilevante e traumatico», mentre la Curia romana cercava di individuare il candidato che riprendesse l’opera lasciata in sospeso da Pio XII. Il nuovo eletto, contrariamente a ogni previsione, avviò un processo di rinnovamento della Chiesa e di apertura verso «gli uomini di buona volontà», che si concretizzò nella proclamazione di un secondo Concilio Vaticano. Nei pochi anni di pontificato, Giovanni XXIII seguì l’evolversi delle vicende internazionali, culminate con la crisi di Cuba, e intervenne auspicando la distensione tra i due blocchi ideologici e una riorganizzazione del mondo all’insegna della giustizia; per l’impegno profuso in nome della pace ricevette il 10 maggio 1963 il premio Balzan. In secondo luogo, la sua instancabile attività pastorale lo portò a visitare carceri, ospedali, parrocchie, a promuovere la formazione di un Clero indigeno nelle missioni africane e asiatiche (al 1960 risale il primo Cardinale africano) e a impegnarsi a ricomporre l’unità cristiana, aprendo il dialogo con gli ortodossi prima, gli anglicani e i protestanti poi.

Stephen Ferry, Fidel Castro ed Ernesto Che Guevara, 1° gennaio 1959

9. Stephen Ferry, Fidel Castro ed Ernesto Che Guevara, 1° gennaio 1959.

Protettorato americano, fin dall’inizio del XX secolo Cuba visse economicamente alle dipendenze degli USA. La sua vita politica intanto era scossa da un’alternarsi di dittature, culminate in quella assoluta di Fulgencio Batista, che intervenne con la forza per stroncare una rivolta scoppiata il 26 luglio 1953 e capeggiata da Fidel Castro. Quest’ultimo, amnistiato, si rifugiò con il fratello in Messico e il 2 dicembre 1956 fece ritorno nell’isola con Ernesto «Che» Guevara per coordinare gruppi di oppositori al regime. Rimasti con soli dodici compagni, Castro e il Che trovarono rifugio nella Sierra Maestra e da lì estesero il movimento, che trovò un crescente appoggio tra i giovani cubani. Il 1° gennaio 1959 Batista fu infine costretto a lasciare l’isola, in cui si instaurò un regime rivoluzionario: Castro ne fu l’ispiratore, concentrando ben presto il potere nelle proprie mani. La riforma agraria, che prevedeva il divieto di possedere più di 40 ettari di terreno, e la nazionalizzazione delle raffinerie di zucchero e di petrolio, fino ad allora controllate in gran parte dagli Stati Uniti, deteriorarono i rapporti tra Stati Uniti e Cuba. Gli USA ruppero le relazioni diplomatiche, boicottarono lo zucchero cubano e accolsero i dissidenti cubani; Castro rispose con la confisca dei beni appartenenti a cittadini nordamericani e cercò e ottenne l’alleanza con l’URSS, culminata nel 1962 con il tentativo di installare missili nucleari sovietici nell’isola. Il Che, terminata la lotta contro Batista e assolti importanti incarichi per conto di Castro, nel 1965 decise di attuare una guerra insurrezionale in America latina contro i regimi dittatoriali appoggiati dagli americani. Morì nel 1967 in uno scontro a fuoco in Bolivia, e la sua figura divenne simbolo della rivoluzione universale.

Yuri A. Gagarin si prepara al lancio nello spazio, Baikonour, 12 aprile 1961

10. Yuri A. Gagarin si prepara al lancio nello spazio, Baikonour, 12 aprile 1961.

Il confronto tra USA e URSS interessò in modo sempre più crescente lo spazio: il 1957, anno del lancio del satellite artificiale sovietico Sputnik, segnò una vera e propria corsa per conquistarlo. In questa prima fase i sovietici godettero di una relativa superiorità tecnologica che permise loro di lanciare il 12 aprile 1961 la Vostok 1 con a bordo il cosmonauta Yuri A. Gagarin, il quale compì – primo uomo nella storia dell’umanità – un’orbita ellittica attorno alla Terra, rimanendo in volo per 1 ora e 48 minuti. Dalla sua navicella spaziale Gagarin ebbe modo di ammirare lo spettacolo offerto dalla Terra che – comunicò alla base – «è blu». L’anno seguente fu la volta dell’americano John Glenn; l’esito felice della missione indusse gli USA a pianificare il programma Apollo, che il 21 luglio 1969 permise loro di mettere piede sulla superficie lunare.

Conferenza dei Paesi membri dell’EFTA, Ginevra, 29 luglio 1961

11. Conferenza dei Paesi membri dell’EFTA, Ginevra, 29 luglio 1961.

Il 4 gennaio 1960 a Stoccolma nasceva l’EFTA (European Free Trade Association, Associazione Europea di Libero Scambio), trattato sottoscritto da sette Stati europei: Austria, Danimarca, Inghilterra, Norvegia, Portogallo, Svezia e Svizzera. Il successivo 4 maggio entrava in vigore la Convenzione di Stoccolma che stabiliva gli organi deputati a governare l’organizzazione (un Consiglio e un Segretariato), la sua sede principale (Ginevra, ma con rappresentanze a Bruxelles e nel Lussemburgo) e le finalità: promuovere il libero scambio e la collaborazione tra i Paesi membri prima dell’OECE (Organizzazione europea per la cooperazione economica) e poi dell’OCSE (Organizzazione di cooperazione e di sviluppo economico), e porsi come alternativa alla CEE. Nel 1961 vi aderì la Finlandia; più tardi fu la volta dell’Islanda (1970) e del Liechtenstein (1991).

Berlino divisa prima della costruzione del Mur o, 30 ottobre 1961

12. Berlino divisa prima della costruzione del Muro, 30 ottobre 1961.

Per arrestare il flusso continuo di cittadini della Repubblica Democratica Tedesca (RDT) nel settore occidentale di Berlino, controllato dagli anglofranco-americani, Mosca accettò la proposta formulata dal governo della RDT: chiudere ogni passaggio verso Ovest. Nella notte tra il 12 e il 13 agosto agenti di polizia e soldati della RDT posizionarono i reticolati a delimitare le due zone berlinesi, fatta eccezione per la stazione di Friedrichstrasse, da dove transitavano i tedeschi residenti a Berlino Ovest. Circa 50.000 berlinesi dell’Est che lavoravano nel settore occidentale si videro costretti a rinunciare al loro impiego. Nei giorni seguenti venne rafforzata la barriera e successivamente fu iniziata l’erezione di un muro di cemento, difeso da filo spinato, campi minati e controllato da guardie armate (Volkspolizei) con l’ordine di sparare a vista su chiunque tentasse di passare nel settore occidentale. La prima vittima del Muro di Berlino fu Paul Fechters, ucciso il 17 agosto 1962; ma nonostante i rigidi controlli della RDT, diverse migliaia di berlinesi riuscirono a guadagnare Berlino Ovest tra la seconda metà degli anni Sessanta e il 1989. Con il Muro, la divisione fisica dell’Europa e della Germania in due blocchi contrapposti divenne un dato di fatto.

Hank Walker, Concilio Vaticano II nella Basilica di San Pietro, Roma, 11 ottobre 1962

13. Hank Walker, Concilio Vaticano II nella Basilica di San Pietro, Roma, 11 ottobre 1962.

Annunciato il 25 gennaio 1959, «il Concilio Vaticano II, ventunesimo nella storia della Chiesa, fu inaugurato la mattina dell’11 ottobre 1962, presenti duemilacinquecento Cardinali e Vescovi, e inoltre gli osservatori delle “Chiese separate”: ortodossi, anglicani, metodisti, luterani [...]. La lingua ufficiale del Concilio fu, per volontà di Giovanni XXIII [...], il latino. Nel suo discorso d’apertura il Papa disse che con il Concilio la cattolicità doveva adeguarsi al mondo che la circondava» e che la Chiesa doveva tornare a dialogare, a confrontarsi con la società e il mondo senza arroccarsi su posizioni difensive. I lavori, che durarono fino al dicembre 1965, costituirono inoltre l’occasione per una Chiesa eurocentrica di conoscere nuove realtà rappresentate dalle Chiese dell’America latina e quelle d’Africa, che fino a quel momento non avevano avuto nessun peso e ora chiedevano d’essere ascoltate. Alla conclusione dei lavori fu revocata, nel quadro dell’unità cristiana, la scomunica verso gli ortodossi, seguita dalla rappacificazione con gli ebrei. Sul piano dottrinario e del rinnovamento i padri conciliari ampliarono i poteri dei Vescovi, aprirono alla partecipazione laica alla vita della Chiesa (intesa quest’ultima non tanto come organizzazione gerarchica bensì come popolo di Dio), sottolinearono il carattere intimistico della fede, il principio della libertà religiosa, la centralità della Bibbia nella liturgia.

Carlo Bavagnoli, Il pontefice Paolo VI, Roma, 1° luglio 1963

14. Carlo Bavagnoli, Il pontefice Paolo VI, Roma, 1° luglio 1963.

L’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, salito al soglio pontificio il 21 giugno 1963 con il nome di Paolo VI al termine di un breve Conclave, «affrontò la sua missione di Papa [...] sentendo gravare su di sé il peso del passato e il peso del futuro». Si sforzò di portare la Chiesa a confrontarsi con le problematiche contemporanee; intraprese numerosi viaggi che lo portarono in Palestina (1964), a Bombay (1964), a New York (1965), a Fatima (1967), in Turchia (1967), in Colombia (1968), a Ginevra (1969), in Uganda (1969), Estremo Oriente (1970). Da innovatore pose mano a una riforma nella Curia con l’introduzione dei limiti d’età per Cardinali e Vescovi, decretò la sostituzione del latino con le lingue parlate dai fedeli nella celebrazione della messa e ridusse il numero delle Congregazioni romane; nel contempo però si oppose all’abolizione del celibato e difese l’infallibilità papale. Verso la società prese posizione contro il controllo delle nascite, il divorzio e l’aborto, ma non mancò di intervenire sulla giustizia sociale con l’enciclica Populorum progressio. Sul piano internazionale condannò l’uso della violenza per risolvere i problemi nel Terzo Mondo e la guerra in Vietnam e in Mozambico.

Assassinio del presidente americano John F. Kennedy a Dallas, 22 novembre 1963

15. Assassinio del presidente americano John F. Kennedy a Dallas, 22 novembre 1963.

Senatore democratico del Massachusetts, il quarantatreenne John F. Kennedy fu eletto Presidente nel novembre 1960 con una manciata di voti di scarto sul rivale Richard Nixon grazie allo slogan della «nuova frontiera», che faceva sperare in un’assicurazione sulle malattie per gli anziani, in una riforma legislativa in materia d’immigrazione, nell’istituzione di un ministero ad hoc per lo sviluppo del territorio, nel contributo del governo federale per la pubblica istruzione, nella difesa dei diritti civili. Sul piano pratico, restarono promesse inattuate, per l’agguerrita opposizione al Congresso che vide i democratici del Sud a fianco dei repubblicani. Sul versante internazionale, Kennedy perseguì una politica di armamento missilistico nucleare in funzione anticomunista: sostenne la sfida con l’URSS circa l’installazione di missili sovietici a Cuba, seguita da un accordo bilaterale che contribuì al disgelo nella guerra fredda e alla creazione di una linea diretta Washington-Mosca per facilitare le comunicazioni tra le due superpotenze in momenti di crisi. Nel contempo non rinunciò a contrastare l’espansione comunista nel Sudest asiatico, dove impegnò gli USA nel conflitto vietnamita. A porre fine all’esperienza kennediana fu l’attentato mortale del 22 novembre 1963 a Dallas, a opera di Lee Harvey Oswald.

Il Primo ministro Aldo Moro con i membri del suo governo, Roma, 7 dicembre 1963

16. Il Primo ministro Aldo Moro con i membri del suo governo, Roma, 7 dicembre 1963.

Nell’anno segnato dalla tragedia del Vajont e dall’assassinio del presidente statunitense Kennedy nasceva il primo governo Moro, che ripropose un esecutivo di centrosinistra dopo il recente fallimento dell’operazione di Fanfani che aveva ottenuto l’appoggio esterno dei socialisti. L’esperimento di Moro riuscì grazie anche all’affermarsi di una maggioranza nel PSI, capeggiata da Pietro Nenni, pronta questa volta a «partecipare [...] a un governo “borghese”». Accanto ad Aldo Moro (DC, presidente del Consiglio) figuravano Pietro Nenni (PSI, vicepresidente), Giuseppe Saragat (PSDI, agli Esteri), Oronzo Reale (PRI, alla Giustizia), Giulio Andreotti (DC, alla Difesa), Paolo Emilio Taviani (DC, agli Interni), Emilio Colombo (DC, al Tesoro), Antonio Giolitti (PSI, al Bilancio), Luigi Gui (DC, alla Pubblica istruzione), Roberto Tremelloni (PSDI, alle Finanze). Varato ai primi di dicembre «il governo si trascinò, tra fermenti sociali e inquietudini interne dei Partiti, fino al 25 giugno 1964, quando fu messo in minoranza alla Camera su una questione minore: l’approvazione del paragrafo 88 che, nel bilancio della Pubblica istruzione, assegnava maggiori fondi alla scuola privata».