Nel tardo pomeriggio che diventa sera, con il cielo già spento, Roma d’inverno sembra volersi tirare sulle ginocchia millenarie una coperta di lana. La stessa che Leo Malinverno avrebbe usato per ripararsi dalla pioggia che aveva cominciato a cadere.
Viste dal motorino in corsa, le gocce che si sfracellavano sull’asfalto vischioso, nel riflesso dei pochi lampioni risparmiati dai tagli finanziari disposti dal sindaco della giunta di destra, assumevano le sembianze di lucciole danzanti.
Il lungotevere orlato dai giganteschi platani era intasato dalle automobili guidate da uomini e donne che agognavano l’approdo casalingo dopo una giornata di ansie. Il fiume, più in basso, faceva sentire la sua presenza maestosa, costretto in argini solo provvisoriamente adeguati alla spinta dell’acqua densa e scura.
Svicolando sulle due ruote, Malinverno si muoveva abbastanza agilmente.
A un certo punto, dovette fermarsi, colpito dal cartellone pubblicitario sulla fiancata di un autobus di linea, da cui il mezzobusto di Ascanio Restelli, in grisaglia doppiopetto e con una cravatta blu scuro a puntini bianchi, sorrideva come un consumato attore di soap opera. Sembrava rivolgersi a Malinverno. Ma era soltanto benevolenza recitata a fini elettorali.
Di fianco, sul rettangolo del manifesto, appariva la scritta: LA FORZA DELLE CERTEZZE. Una minchiata decisionista come un’altra, per irretire quella fascia di persone facili alla fascinazione per l’uomo forte di turno.
Arrivò zuppo in Questura, mentre si scatenavano tuoni e fulmini, un attimo prima che le gocce si tramutassero in schegge di grandine grosse come ciliegie. Il piantone lo riconobbe e lo fece passare portandosi la mano di taglio alla fronte, in segno di saluto.
L’ispettore Piranesi chiese a un agente di portare delle salviette di spugna per consentire al giornalista di asciugarsi alla bell’e meglio.
«Lo bevi un tè caldo?»
«Ci vuole proprio, grazie, Enrico».
«Il dottor Guerci mi ha chiesto di farti aspettare qui fino all’arrivo di Luca Valletti. In questo momento, lui è impegnato con un altro caso».
Malinverno guardò l’orologio, segnava le 19.10. «A che ora l’avete convocato?»
«Avrebbe dovuto già essere qui, ma Roma è bloccata. Come sempre, quando fanno due gocce».
«Se lo avessero eletto, ci avrebbe pensato il commendator Restelli a rimettere Roma in sesto».
«Ci credo poco. Tu che dici? Avrebbe continuato ad arricchirsi e a far arricchire i suoi protetti, invece... tu che dici?» Piranesi non gli diede la possibilità di rispondere, lasciò la stanza, chiamato a risolvere chissà quale urgenza.
Malinverno si tamponò i pantaloni e prese a sorseggiare il tè dalla tazza fumigante, tenendola con due mani. Per i piedi fradici nelle scarpe di camoscio non poteva far niente, solo sperare di non prendere un raffreddore; cosa che non avveniva, forse, da quando aveva quindici anni.
Sua madre, professoressa al liceo, gli impiastricciava il petto di Vicks Vaporub e lo costringeva a fare i suffumigi, con la faccia avvolta in un asciugamano su una pentola d’acqua bollente e il bicarbonato sciolto, che gli faceva bruciare le narici.
Si chiese se a Viola la madre avesse mai preparato i suffumigi. Volle provare a richiamarla. Il cellulare era ancora spento. Sarebbe passato a casa sua, appena si fosse liberato. Diluvio permettendo.
Dalla finestra del primo piano, alzando la testa, vide l’acqua mista a ghiaccio venir giù con la violenza del temporale. La temperatura scendeva rapidamente.
Davanti alla Questura si fermò una Audi station wagon scura, il tempo necessario a far scendere un giovane ben piazzato, con un cappello da pioggia e un impermeabile, che raggiunse di corsa il portone. Lì estrasse il cellulare e rispose a una chiamata. La conversazione durò qualche minuto, il che consentì a Malinverno di sorbire il suo tè.
Jacopo Guerci andò incontro a Luca Valletti quasi sulla porta. «Buonasera, grazie di essere venuto subito qui».
«Sì, sono appena arrivato e mi son fatto accompagnare...»
«Si accomodi, prego». Gli indicò una delle due sedie con la spalliera alta davanti alla scrivania, mentre riprendeva il suo posto.
L’ispettore Piranesi aveva sistemato Malinverno in un salottino attiguo alla stanza del vicequestore, prima di raggiungere Jacopo Guerci. La porta di comunicazione era stata lasciata socchiusa per consentire al giornalista di ascoltare quanto si sarebbero detti.
«È stato a trovare sua madre all’ospedale? Come sta?»
«Grazie, dottore, sì. Le stavo dicendo prima che ho fatto appena in tempo a passare di lì. Non ci sono buone notizie».
«Le è riuscito di parlare con i medici?»
«Fuori dalla sala operatoria, brevemente». Valletti aveva le braccia conserte e le gambe accavallate. «Hanno estratto il proiettile dal polmone destro e non sanno ancora se riusciranno a salvarglielo».
«Si è svegliata?»
Valletti sorrise in modo amaro, mosse la testa in segno di diniego.
«Le hanno detto qual è la prognosi?»
«No. Per ora è in coma farmacologico. Non hanno potuto ridurre l’ematoma intracranico, se ho capito bene perché è in una zona delicata del cervello...»
Piranesi annuiva.
«Capisco» disse Guerci.
Da dove si trovava, seduto su una sedia con l’orecchio proteso a quanto si dicevano nella stanza, Malinverno vedeva un giovane uomo, forse appena trentenne: abito di pessimo taglio, camicia bianca e cravatta dal nodo abnorme. Lineamenti delicati, involgariti dall’abbronzatura artificiale e dal naso voluminoso. Aveva le orecchie a sventola, parzialmente nascoste dai capelli mossi; e questa era la particolarità che più rimaneva impressa di Luca Valletti.
«Cercheremo di parlare anche noi coi medici...» il vicequestore guardò Piranesi per registrarne l’assenso, «e le daremo maggiori ragguagli».
«Lei è gentile, la ringrazio tanto».
«Facciamolo presto, anche domattina, ispettore. Immagino che la notte servirà ai medici per capire qualcosa del decorso post operatorio».
«Certo, dottore».
«Non me l’hanno neanche fatta vedere...»
«Signor Valletti, posso capire quale dolore stia provando. Le faccio le mie condoglianze per suo padre».
Quello annuì e si strinse viepiù nelle braccia. «Spero solo che non abbia sofferto».
Malinverno notò che il suo italiano non aveva accenti. Il tipo aveva lavorato per dirozzarsi e, se si eccettuavano certi vezzi da agente immobiliare, il risultato era percepibile.
«Questo potrà dircelo solo il medico legale, dopo l’autopsia. Anche se ho chiesto una corsia preferenziale, ora non so dirle quando sarà eseguita».
«Bene. Voglio ancora sperare che mia madre si riprenda...» La sua voce ebbe una lievissima incrinatura. «Così potremo dare insieme l’addio a papà. Dovrò organizzare tutto».
Jacopo Guerci non smetteva di fissarlo, con le mani intrecciate sul piano della scrivania. Immobile.
«Lei è figlio unico, Valletti?»
«Mia sorella Sandrina... Sandra...» si corresse, «vive a Rieti, ha sposato un bancario di lì. Arriverà a Roma stasera, l’ho chiamata appena ho saputo. Il tempo di sistemare i due figli piccoli e viene». Era più una rassicurazione per se stesso che altro.
«So che lei arriva dall’aeroporto e che il giardiniere l’ha raggiunta telefonicamente all’estero per avvisarla di quanto era successo».
Luca Valletti era altrove, perso nei suoi pensieri. Piranesi si sporse per toccargli un ginocchio.
«Come mai era fuori dall’Italia, Valletti, posso chiederglielo?» Il vicequestore alzò un po’ il tono.
«Su incarico del commendatore, per lavoro» rispose laconico.
«A Marsiglia?»
«Vedo che Dario Ussi le ha detto molto...»
«Le dispiace? Qualche problema?»
«Nessun problema, commissario...»
«Vicequestore, prego». Piranesi si affrettò a correggerlo.
«Scusi, vicequestore... Nessun problema, vorrei solo capire se mi state interrogando, e forse dovrei chiedere di farmi assistere dal mio avvocato».
Malinverno vide Guerci assumere un’altra espressione, un rapido fastidio lo aveva attraversato. «Cosa teme, signor Valletti? Stiamo solo facendo una chiacchierata informale nell’ambito di un’indagine per due omicidi». Ci ragionò un istante, prima di aggiungere: «O forse tre».
Valletti accusò il colpo basso, e lo incassò.
«Le ho chiesto, allora, se è stato a Marsiglia e se viene da lì».
Guardò per qualche secondo Guerci e poi Piranesi, quindi Luca Valletti si girò verso la porta accostata dietro cui si nascondeva Malinverno. Il giornalista pensò che avesse percepito qualcosa e arretrò la sedia di qualche centimetro, purtroppo lasciando cadere in terra la penna che aveva in tasca. Imprecò in silenzio.
«Vengo da Marsiglia, sì, dottor Guerci». Si passò un dito più volte sotto al naso.
«E cosa è andato a fare?»
«Posso telefonare al mio legale?»
Piranesi non si trattenne: «Il vicequestore le ha appena spiegato che la nostra è una chiacchierata informale, dal momento che non è stata formulata nessuna accusa nei suoi confronti».
«Non ancora» aggiunse Guerci, maligno.
Valletti si risolse a rispondere. «Ero all’estero da tre giorni, di cosa vorreste accusarmi?»
«Valletti, non mi faccia perdere la pazienza. Nessuna accusa» Jacopo Guerci portò la sigaretta elettronica alla bocca e diede una svapata. «L’ho ringraziata di essere venuto e può immaginare che dovendo scoprire chi ha ucciso Ascanio Restelli e suo padre Nazzareno, ferendo contestualmente sua madre, sia nostro dovere fare tutte le domande necessarie a capire. Non la accusiamo di nulla, proprio per questo dovrebbe essere collaborativo al massimo».
«È anche nel suo interesse» aggiunse l’ispettore.
Valletti prese a giocherellare con l’anello d’oro, facendolo ruotare sull’anulare sinistro: «Capirà, signor vicequestore, che tuttavia non so se sono autorizzato a parlare degli affari dei Restelli e della Agave Costruzioni».
«Non glielo abbiamo chiesto, non nel dettaglio, ma la sua reticenza, le dirò, mi fa venire voglia di andare più a fondo. È andato su incarico di Ascanio o di Fabio Massimo Restelli a Marsiglia?»
«Ascanio. Io lavoro... lavoravo con lui. Con il figlio ho sempre avuto poco da spartire».
«Cattivi rapporti?»
«No, anzi. Siamo cresciuti assieme. Ci siamo divertiti assieme nel parco della villa. Abbiamo costruito capanne, porte da calcio, vivevamo come selvaggi in una foresta. Così ci appariva, il giardino... colpivamo gli scoiattoli o i passeri con le fionde per fingere di doverli cucinare e mangiare. Accendevamo anche il fuoco... i nostri genitori ci hanno dato un sacco di botte. Gli animaletti poi li sotterravamo in punti strategici con immaginarie mappe del tesoro per avere l’illusione di ritrovarle con le ossa dei pirati...»
«Poi cosa è successo?»
«Non saprei dirglielo. Fabio Massimo andò a studiare all’estero, per qualche anno non ci siamo più visti».
«Vuol dire che padre e figlio avevano interessi separati?» Piranesi non s’era trattenuto.
A Guerci non dispiacque, almeno a quanto diede a vedere.
«Il commendatore ormai si occupava poco della Agave» continuò a parlare rivolto a Guerci, senza smettere di gettare occhiate di sfuggita alla porta accostata.
Chissà chi immaginava dovesse entrare da lì: il nervosismo che montava faceva brutti scherzi, ne dedusse Malinverno.
Valletti proseguì. «Aveva incarichi di figura, certo partecipava ad alcune decisioni importanti, incontrandosi con l’ingegnere...»
«Fabio Massimo Restelli è ingegnere?»
«Eh, sì. Il commendatore alla fine è riuscito a farlo laureare, convincendolo ad andare a studiare negli Stati Uniti. Anche se lui non avrebbe voluto...» s’interruppe, rendendosi conto di aver esagerato con le informazioni.
«Mi sembra di percepire del fastidio nella sua voce».
«Il commendatore lo considerava, parole sue, ‘testone e fannullone’».
«E lei come lo giudica?»
Valletti si ricompose: «Sarà, dottor Guerci, che io per studiare ho dovuto lottare con mio padre. E per completare il corso di laurea mi son messo a lavorare. Le tasse e i libri costavano e i miei non guadagnavano molto...»
«Il vecchio Restelli era poco munifico?»
«Un bell’eufemismo... Avendo inoltre la casa in comodato, i loro stipendi, dei miei genitori voglio dire, erano anche più bassi delle mansioni richieste e svolte».
«E perché tolleravano questo trattamento?»
«Per loro era normale. Non immaginavano neppure cosa avrebbero potuto avere altrove, non si ponevano il problema... ma ora, se mia madre starà meglio, voglio regalarle tutt’altra vita».
«In che consisteva il suo lavoro per il vecchio Restelli?»
«Potrei dire che ero il suo segretario, sapendo con ciò di non rendere l’idea. Se doveva fare un viaggio glielo organizzavo io, la casa di Roma e le altre case, di qualsiasi cosa necessitassero, personale di servizio o manutentori, erano affar mio».
«Era il braccio destro di Ascanio Restelli, insomma?»
«Se vuole, sì, ero il suo braccio destro... e in certi casi tutte e due le braccia».
«Quando c’era da sporcarsi le mani?»
Valletti masticò male, Guerci non volle insistere. «Fabio Massimo, l’ingegner Restelli, aveva un ruolo nella candidatura del padre?»
«Non mi risulta, no, non l’aveva».
«Su chi contava, oltre a lei, il commendatore?»
Valletti si prese qualche istante, poi snocciolò: «Direi Nanni Buscemi, sua vecchissima conoscenza, Vittorio Conversi e Diego Maresca».
«Cosa li legava? Perché si fidava di loro?»
«Non so se si fidasse... Di preciso non saprei, come potrei...»
«Ha assistito ai loro incontri?»
«Quando i tre che le ho nominato venivano alla villa, spesso negli ultimi mesi, o si vedevano altrove, non seguivo per intero le loro conversazioni. Non mi era richiesto».
«Come definirebbe l’atteggiamento di Buscemi, Conversi e Maresca nei confronti del vecchio Restelli?»
«Potrei dire che solo Buscemi era in confidenza con il commendatore, gli altri due, benché gli dessero del tu, avevano un altro tipo di rapporto. Maresca dimostrava un certa deferenza nei suoi confronti, mentre con Conversi si trattavano con vicendevole riguardo».
Guerci decise di cambiare argomento. «Nazzareno ed Elide, i suoi genitori, erano devoti al commendatore?»
«Eh, sì. Soprattutto dopo il fatto di mia sorella... Eh, sì, che lo erano».
«Quale fatto?»
«Si è fatta mettere incinta dal fidanzato di allora e i miei l’hanno costretta ad abortire. Un po’ per ripicca e un po’ perché non ne ha mai avuto voglia, non ha voluto più studiare, loro erano disperati. Mia madre chiese aiuto al commendatore che le trovò un impiego in una banca, alla filiale di Rieti».
Guerci sorrise ironico. «Se la sono tolta da torno, in sostanza...»
«Mettiamola pure così. Sandrina era una sbandata, invece lì ha trovato anche uno che se l’è sposata».
«Non il suo fidanzato?»
«No, un altro».
«Perché a Rieti? Restelli aveva conoscenze lì?»
«Eh, non lo so... Il commendatore aveva le mani in pasta ovunque».
Il vicequestore guardò Piranesi, che si segnò mentalmente di scoprire quale nesso ci fosse tra il vecchio e quella cittadina.
«Come le è sembrato in questi ultimi giorni? Era preoccupato per qualcosa, temeva qualcosa o qualcuno?» Guerci ci dava dentro con il fumo, il vapore o qualunque cosa emettesse quell’aggeggio elettronico a cui si era convertito.
«Si vede che lei non lo conosceva. Non credo abbia mai provato sentimenti come preoccupazione o paura. Gli altri, al suo cospetto, piuttosto...»
«E lei?»
Cominciò a dondolare una gamba e a tenersi un lobo tra le dita. «Non era certo il mio migliore amico. A suo modo, però... credo che il fatto di vedermi intorno a sé fin da quando ero piccolo lo avesse indotto a una certa benevolenza nei miei confronti».
«Benevolenza» ripeté Piranesi.
«Niente di più?» incalzò il vicequestore.
«Se lo aveste conosciuto, avreste pensato che fossi fortunato».
«Ci spieghi meglio».
L’espressione di Valletti mutò, divenne quasi beffarda. «Difficile dire se Ascanio Restelli provasse attaccamento nei confronti di qualcuno. Sembrava bastare a se stesso, in termini affettivi, intendo. Non aveva altre priorità oltre al lavoro, agli affari, alle speculazioni finanziarie...»
«I traffici» aggiunse Guerci.
Il giovane non raccolse. «Queste cose lo esaltavano, allora cercava la collaborazione o le alleanze utili a perseguire gli scopi prefissati».
«Si fidava di lei?»
Valletti ci rifletté qualche secondo. «Non ne aveva bisogno. Lui assegnava dei compiti, metteva le persone in caselle blindate. Non sarebbe stato possibile disattendere i suoi desideri».
«Più che desideri, ordini, vuol dire...»
«Mettiamola così, la delusione non riguardava il suo orizzonte cognitivo, non so se mi spiego, dottor Guerci». Un mezzo sorriso gli illuminò il volto.
«Ci dice, ora, cosa è andato a fare a Marsiglia?»
«Ho consegnato un pacco. Non so altro...»
«Cocaina?»
«Mi pare di aver detto che non so altro».
«Non alzi la voce» gli intimò Piranesi.
Un impercettibile movimento della testa di Guerci in direzione della porta che dava sul corridoio indusse l’ispettore a condurre fuori Luca Valletti, a quel punto visibilmente preoccupato.
Lo portò in un salottino con una rigogliosa pianta di ficus. «Attenda qui, il vicequestore la richiamerà tra un po’».
«E perché, cosa deve fare, il vicequestore?»
«Non sono tenuto a informarla, abbia pazienza. E se posso darle un consiglio, si dia una calmata».
«Mi arrestate. Con quale accusa? Non mi sembra il modo, questo...»
«Ma stia calmo, glielo dico ancora una volta. Lei si fa del male da solo. Non ho detto niente di simile, le ho chiesto solo di aspettare».
«Cosa crede? Cosa credete? Non ho mica tempo da perdere...» si alzò e si risedette, sbuffando.
Piranesi cambiò tono. «Non vorrà procurarsi una denuncia per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale... Non le conviene mica. Vedrà che il vicequestore la libererà prima di quanto pensa».
Lo lasciò a sbollire, dopo avergli chiesto di non usare il cellulare. La stanza era dotata di telecamere e se Valletti avesse trasgredito alla sua richiesta l’ispettore l’avrebbe saputo in tempo reale.
«Lo lasciamo macerare giusto il tempo di realizzare che gli conviene stare dalla nostra parte» disse Jacopo Guerci.
Maliverno gli si era seduto davanti. «È chiaro anche a te che mente, vero?»
«Che ne parliamo a fare? Certo, che mente. Interessante sarebbe sapere perché mente».
«Lo hai fatto apposta?»
«Cosa ho fatto apposta?»
«A farmi ascoltare la conversazione, lasciando quella porta socchiusa... per farlo innervosire. Sei un fottuto sbirro bastardo...»
Dopo quello che avevano passato insieme, era uno dei pochi a potersi permettere quel linguaggio.
Per un certo periodo avevano addirittura condiviso le stesse donne, avendo messo a punto una tecnica infallibile di conquista e reciproca cessione delle ragazze. Era durata finché Guerci non era convolato a ingiuste nozze.
«Sono quelli come Luca Valletti ad aver fatto la fortuna di Restelli. Tante volte hanno tentato di incastrare il vecchio per traffico di cocaina, senza mai riuscirci. Per la verità, hanno tentato di fregarlo per tante altre cose, illeciti di ogni tipo... bancarotta fraudolenta, corruzione, frode fiscale, usura...» Guerci lesse dal foglio che Piranesi gli aveva stampato. «Turbativa d’asta, appalti truccati, peculato, distrazione di capitali all’estero, rapporti con le mafie... ci sono anche denunce per violenza carnale e percosse».
«Quella per percosse è recente?»
«Di un mese fa circa».
«Detto senza mezzi termini, bisogna riconoscere che il commendatore aveva un talento formidabile per il male».
«E soprattutto nel proteggersi da chi voleva impedirgli di continuare a fare il male. Tranne ammende pecuniarie, tra prescrizioni e altre trovate dei suoi avvocati, non ha mai ricevuto condanne penali».
«Il tipo di là, il Valletti, lo sa benissimo che non avete nulla di concreto contro di lui. Ma ci tiene troppo all’impero che finora gli ha dato l’illusione di aver migliorato la sua condizione sociale, rispetto agli sciagurati e ignoranti genitori. Non muoverà un dito, di suo, per facilitarne la dissoluzione».
«Hai capito tutto questo, stando dietro a quella porta?»
«Già. E ho capito anche che non stai bene...»
«Giocare a nascondino ti fa bene». Gli occhi non seguirono il tipico sorriso sghembo di Guerci.
«No, minchione, è che ti vedo fumare quell’affare... a proposito si fuma, quell’affare? O cosa?»
«Lascia stare».
«Non lascio stare manco per niente, Jac. Che hai? Hai sempre fumato virilissimo catrame, se ora ti metti a ciucciare quelle margheritine sintetiche, mi preoccupo».
«Credo sia finita». Guerci si guardava le mani. «Con Cecilia, intendo, immagino che si debba considerare chiuso il rapporto con una donna che ti chiede di non rientrare a casa».
«Quando?»
«Stamattina. Dopo la lite di ieri sera, l’ennesima...»
«Non so cosa rispondere. Di convivenze non ho nessuna esperienza, né intendo averne. Che farai?»
«Non lo so. So che stasera, per la prima volta dopo dodici anni, non dormirò con Cecilia, anche se non so dove andare. Mi toccherà, forse, prenotare in un albergo».
«Non ti chiedo niente, Jacopo. Sarai tu a parlarmene quando vorrai... Cecilia non può essere impazzita tutto a un tratto, questo è poco ma sicuro».
«No. È impazzita poco per volta, come fanno tutte le donne, quando cominciano a pensare che il loro tempo sia agli sgoccioli. Non ho tempo, però, di parlare di questo. Dimmi piuttosto della tua amica Ornaghi».
«Che vuoi sapere? Viola è una collega, e anche un’amica. E sono molto preoccupato per lei...»
«Il che vorrebbe dire che pensi di portartela a letto».
«Neanche per sogno. Solo gli uomini con poca fantasia come te pensano che quelli come me agiscano esclusivamente in base agli impulsi sessuali».
«Sono tutto orecchi, dimmi, allora».
«Mi ha chiesto aiuto e sono corso da lei, stamattina. Era stravolta, come hai potuto notare, da ciò che aveva visto alla villa».
Malinverno spiegò al poliziotto che Viola, non sentendosi pronta per quel tipo di intervista che aveva implicazioni politiche con risvolti giudiziari per via del medagliere di Ascanio Restelli, gli aveva chiesto di rivedere insieme il pezzo, una volta finito.
Guerci pareva assorto, poi si distolse. «Bisogna che io parli con il direttore di quel giornale...»
«Marcella Tavani».
«Sì. La conosci? Che tipo è?»
«Dominante».
«Dominante, che vuol dire?»
«Che poteva solo finire a dirigere un giornale. È stata anche un’eccellente cronista parlamentare, inviata speciale di quotidiani. Le hanno affidato quel settimanale femminile sull’orlo della chiusura perché lo reinventasse e raddoppiasse o addirittura triplicasse le vendite».
«Ci è riuscita?»
«Non ancora. Ma qualche migliaio di copie in più le ha strappate alle edicole, realizzando copertine con svariati scoop. La moglie del sindaco che aveva quelle case intestate e affittate in nero, ad esempio».
«Ah, sì, mi ricordo. Era il suo giornale?»
«Proprio così, Charme. E sempre Charme ha dato la notizia in esclusiva del ministro dell’Ambiente che frequentava quelle case di puttane raffinatissime».
«Ma un giornale femminile non dovrebbe occuparsi di posta del cuore, ricami e ricette?»
Malinverno guardò il vicequestore con esagerato disprezzo. «Come sei retrogrado! Sei rimasto a trenta o quarant’anni fa. Se ti acchiappano le femministe, ti scotennano e si scambiano ricette su come cucinare i tuoi testicoli».
«Esistono ancora le femministe?» Guerci a quel punto si divertiva.
«Riparliamone quando avrai conosciuto Marcella Tavani».
«Viola Ornaghi è una femminista?»
«Non direi. È una donna, una donna ferita... una gran bella donna ferita».
A Guerci non venne in mente di chiedere da cosa fosse ferita. «Perché ha telefonato a te, stamattina, dopo aver scoperto il cadavere di Restelli?»
«Era sconvolta, te l’ho detto».
«Sarà... E tu hai niente altro da dirmi? Sei andato a zonzo per la villa, hai visto tutto prima di noi...»
«Sai tutto, ti ho detto tutto. E tu quando mi dai il permesso di dare la notizia degli occhi cavati?»
«Al momento opportuno. Questo è un aspetto che mi impensierisce. Hanno ucciso Ascanio e Nazzareno, con Elide ci sono andati vicini, senza portarsi via un centrino o un vaso cinese, benché da rubare ci fosse molto. Come buon peso, si sono presi invece gli occhi del vecchio».
«Hai ragione, sembra una sorta di messaggio a qualcuno, codificato secondo un cifrario macabro».
«Non mi stupirebbe se, come è capitato in passato per altri casi, li facessero recapitare a qualcuno...»
«A un parente?»
«Al figlio, magari. Debitamente incartati sarebbero un delizioso presente, non c’è che dire. O magari ce li faranno ritrovare da qualche parte. Quando riterranno che sia giunto il momento».
«Continui a parlare al plurale. Sei convinto che si tratti di più mani» gli fece notare Malinverno. «Anche nel mio pezzo di stasera, per l’edizione straordinaria, ho azzardato che possa trattarsi di due o più assassini».
«Se vuoi ti dico cosa me lo fa pensare».
«La differenza del modus operandi».
Guerci annuì, Malinverno ritenne di poter proseguire. «Strano che abbiano usato una rivoltella nella dépendance dei custodi e un coltellaccio con il padrone».
«E anche questa, se permetti, mi sembra una scelta ben precisa. Ci parla dell’accanimento morboso su Restelli».
«Ho detto coltellaccio... non so perché. Il medico legale ti ha già anticipato qualcosa riguardo alla ferita alla gola e all’asportazione dei globi oculari?»
«Pensa che abbiano usato una lama ben affilata, forse un rasoio».
«C’è ancora chi usa il rasoio, oggi?»
«Un vecchio di quasi ottant’anni, ad esempio. È verosimile che lo utilizzasse...»
«Il che potrebbe voler dire che l’arma del delitto si trovava nella villa. Delitto non premeditato, dunque».
Guerci si alzò e si avvicinò alla finestra, oltre la quale era in pieno svolgimento una grande tempesta, con scoppi e lampi in successione. «Andiamoci piano. Sappiamo ancora troppo poco delle abitudini casalinghe del vecchio».
«E della rivoltella che mi dici?»
«È una Beretta... credo però che sia stata modificata». Malinverno non parlò, bastò l’espressione curiosa a far proseguire l’amico. «Non sono ancora sicuro, aspetto il parere degli esperti di balistica, ho però l’impressione che fosse un calibro 9 corto. Una sorta di residuato bellico...»
«Strano. In casa avete trovato niente?»
«Niente di rilevante».
«Lo torchierai per bene, ora?»
«Eh, sì, il giovane Valletti, che gli piaccia o no, dovrà raccontarmi molte cose».
Per tutta risposta Malinverno gli gettò un mazzo di chiavi sulla scrivania.
«Che sono?»
«La presbiopia avanza... Chiavi, non le vedi? L’indirizzo lo conosci, il frigo è pieno. Nel cassettone dello stanzino ci sono un fottìo di asciugamani puliti e ho una stanza con bagno... meglio di qualsiasi albergo».
Guerci sorrideva, tra la sorpresa e il compiacimento per il pensiero dell’amico. «Ma non voglio disturbare...»
«Non dire sciocchezze! Ah, dimenticavo...» Malinverno si voltò, un attimo prima di uscire. «Ti consiglio di farti dire con chi parlava, Valletti, prima di entrare qui. E comunque procurati i tabulati del suo cellulare a riscontro».
«Obbedisco, capo!»
«Fa freddo. Nell’armadio del corridoio, davanti alla mia camera, trovi un piumino».
L’ultima cosa che Guerci vide fu la mano di Malinverno che lo salutava dal vano della porta.