Vero o no che alcuni cibi hanno effetto afrodisiaco, Giulia Campisi gradì molto le tagliatelle fresche su cui Leonardo Malinverno aveva sparso in modo copioso scaglie di tartufo bianco d’Alba. Così come la bottiglia di Gattinara, che bevvero fino al fondo.
E l’esito fu quello sperato.
Aveva portato tutto lui, facendo spesa in un’enoteca con annessa gastronomia più costosa di una gioielleria, dalle parti della stazione Termini. Rimaneva aperta fino a tardi. Tanto da divenire punto di ritrovo per gourmet nottambuli, intenzionati a fare amicizia, sorseggiando bicchieri di etichette pregiate e piluccando prelibatezze.
L’appuntamento era a casa di Giulia, perché da Leo si sarebbe installato Jacopo Guerci.
Era valsa la pena inzupparsi fino alle ossa: aveva chiesto di farsi una doccia e Giulia lo aveva raggiunto sotto il getto bollente. Siccome gli abiti erano ad asciugare sui termosifoni, si mise ai fornelli indossando roba dell’amica. Vecchi pantaloni di felpa un po’ corti e una T-shirt che gli aderiva al torace, scoprendogli l’ombelico a ogni movimento.
Fece una telefonata al Globo per chiedere a Sonia Persichelli di girargli sulla posta elettronica del materiale su Toni Cutrupa, tutto quello che avesse trovato. La segretaria fu ben lieta di sentirlo e, fosse pure crollato il mondo, prima di lasciare la redazione l’avrebbe accontentato.
Divorarono le tagliatelle calde. Uno sguardo, ed erano già a letto. Nudi, uno sull’altra, con tutte le variazioni possibili.
Ancora una volta, Leo apprezzò il modo con cui Giulia si prendeva il suo piacere. Concedeva il suo corpo in comodato come contropartita, poi tutto finiva. Bellissimo non dover fingere, sforzandosi di trovare formule originali: ipocrite quel che basta, senza scadere nel ridicolo. Sesso, solo sesso.
Ma facendo quella riflessione Malinverno si ritrovò Viola in testa. E si sentì in imbarazzo. Che farne? Dove sistemarla? Meglio scacciare certi pensieri. Inutile negare, però, almeno tra sé e sé, che le flessuosità dell’amica lo eccitavano. Purtroppo, gli veniva difficile far convivere l’attrazione con un pur vago coinvolgimento affettivo.
Giulia, esausta, si era addormentata.
Si alzò, accese la tv in salotto e si spostò su uno dei canali che ripetono telegiornali a rotazione. La casa era caldissima, con il riscaldamento al massimo, sedette sul divano in boxer.
Sul piccolo schermo scorrevano le solite immagini: la casa del vecchio Ascanio, repertorio sul commendatore il giorno dell’investitura onorifica, il riassunto delle malversazioni accertate e presunte, Viola e lui che uscivano dal cancello... Nessuna notizia.
Si riferiva solo che la pm Rolanda Falasca avrebbe disposto i sigilli alla villa dopo il lavoro di osservazione e reperimento della Scientifica, l’indomani. Guerci aveva lavorato bene, niente che non volesse era trapelato.
In coda, si dava conto dell’arrivo all’aeroporto di Fiumicino di Fabio Massimo Restelli con l’ultimo aereo della sera. Lo vide uscire dalla porta scorrevole, circondato dalla mandria di fotoreporter e cronisti che lo assalivano con i microfoni, le telecamere e i registratori sguainati.
Malinverno bloccò l’immagine, mettendo in pausa.
Più esile del padre, con i capelli neri, dalla scriminatura perfetta. Aveva un naso aquilino, labbra sottili, l’aria di chi è nato e cresciuto per imporsi sugli altri, senza essere sfiorato dal dubbio che si possa agire diversamente. Nonostante ciò, appariva provato: gli occhi cerchiati, invasi da un interno dolore.
Non rispose a nessuna domanda, aiutato da un ometto grassoccio, dalla pelle lucida, a scansare i giornalisti: Quando ha appreso la notizia, ingegnere? Cosa ha provato? Aveva nemici, suo padre? Ingegnere... Restelli... Dottore... Pensa che l’omicidio abbia a che fare con la candidatura a sindaco? Ingegnere... Ingegnere... Tutto il repertorio degli intervistatori da marciapiede.
Guardando oltre la massa di persone che gli si accalcavano attorno, Restelli Jr continuò ad avanzare con la bocca serrata. Un’auto scura lo attendeva all’esterno. Il servizio del tg staccò sulla portiera che si richiudeva a fatica, per via della folla.
Cosa si aspettavano i colleghi, una conferenza stampa improvvisata?
Malinverno non li capiva. Si sentiva diverso, lontano da certi tic professionali, causa in gran parte della poca considerazione della gente nei confronti dell’intera categoria. Aveva sempre preferito lavorare in solitudine, assumendosi le responsabilità e i meriti di quanto riusciva a fare.
«Poveraccio, ha una faccia...» disse Giulia alle sue spalle.
«Ah, sei sveglia. Ti ho svegliato io, mi dispiace». Notando che era nuda, appoggiata allo stipite della porta, Malinverno si corresse: «Non mi dispiace così tanto, a pensarci meglio».
Giulia sorrise, infilandosi la camicia che il giornalista aveva lasciato su una sedia. «Non dorme nessuno stanotte. Tra la pioggia, il fiume che minaccia di esondare e questa brutta storia... Sai che mi ha tutta scombussolata?»
«Vieni qui, che ti calmo io». La prese tra le braccia.
«Non scherzare. Penso a quell’uomo, che torna da fuori e non ha più il padre...»
«Ma sai chi era il padre?»
«So chi è. Non l’ho mai incontrato, credo, ma so chi è. Ne parla tutta Roma da sempre, e ora di più. Ovunque andassi, oggi, non facevano che commentare quello che è successo».
Dal tavolino lì davanti, Giulia Campisi prese la ciotola con i cioccolatini. Aveva bisogno di riprendersi con un surplus di calorie.
«Un’uscita di scena degna di come ha vissuto, non credi?»
«Già. E poi mi ha molto sorpreso apprendere dal tuo pezzo di stasera che è stata Viola Ornaghi a trovare il cadavere».
«E perché? La conosci?»
«Non direttamente... Oh, non ce n’è più di quel vinello?»
Malinverno andò in cucina e mentre stappava un’altra bottiglia di Gattinara tornò sull’argomento. «Giulia, spiegami meglio ’sta storia che conosci la Ornaghi».
«Indirettamente...»
«Va bene, indirettamente. Allora?»
«Tramite il marito, Matteo Sorge. Non ricordavo che facesse la giornalista, ma ho sempre pensato di doverla compatire».
Malinverno si concesse la malizia: «Sei stata a letto con Sorge?»
«Oh, che ti viene in mente? No, che non ci sono stata, però frequenta il Wellness Days».
«Da quanto tempo?»
«Fammi pensare... Da quando ho aperto, grosso modo».
«Non puoi essere più precisa?»
«Posso controllare la sua scheda, l’iscrizione. So che l’ha portato Filippo Prandelli...»
«Prandelli?»
«Perché ti stupisci? Prandelli, l’architetto. Lui mi ha progettato i locali, mi ha dato un sacco di dritte, gli devo molto...»
«Ma non ha un’agenzia pubblicitaria?»
«Non proprio. Ha uno studio grande, con diversi professionisti, si occupa di comunicazione in generale, anche di pubblicità. Sapevo che in passato è stato interior designer e gli ho chiesto la cortesia di aiutarmi a organizzare gli spazi. Ha fatto un lavoro eccellente».
«E ti ha conquistata, vedo».
«Scemo, non sai quanto è difficile far nascere una nuova realtà. Mi è stato utile».
«Per questo è diventato socio onorario del tuo centro...»
«È una domanda o un’affermazione?» Giulia si stese sul sofà davanti a quello dov’era Malinverno, il quale non poté esimersi dal notare quale spettacolo offrissero le sue gambe e il resto del corpo, coperto da pochi centimetri di cotone. «È un normale cliente, non t’inventare niente. Un normale cliente, né più né meno».
«Va bene, perché t’infastidisci? Scusami...»
«Scusa tu, mi sembra di tradire la fiducia dei miei iscritti in questo modo. Cerca di capirmi, penso di dovermi attenere a una certa discrezione quando si tratta dei clienti».
«Sei stata tu a cominciare il discorso. Dicevi che avevi pena per Viola. Continua».
Adesso fu Giulia a schernirlo. «Poi dici a me... Vorrei che pronunciassi il mio nome come quello di questa Viola. Chi è, in fondo?»
«Chi è? Come chi è?»
«Chi è per te, cosa rappresenta?»
«È un’amica».
«Va bene. Facciamo finta che sia così» disse con una faccia da schiaffi.
«Non facciamo finta, è così. Credo che sia ancora innamorata del marito...»
«Ancora? Vedi, facevo bene a compatirla. Da come parli sembra che lui abbia qualcosa da farsi perdonare».
«Tu cosa sai, Giulia?»
«Sapere non so niente. Ho gli occhi per vedere, però. Matteo Sorge è un tipo di maschio che non è fatto per la monogamia, si dà da fare con tutte e con molte riesce nell’intento».
«E Prandelli?»
«Lui è diverso. Meno gioco e più fatti. Si vede che è nato con pochi mezzi, non ha troppo tempo da perdere».
«Capisco. Gli sei riconoscente».
«Te l’ho detto. Il Wellness Days esiste grazie a lui. Mi ha trovato la struttura, l’ha sistemata, ha curato il lancio, ha spostato masse di clienti... Conosce mezza Roma».
«La mezza che conta, immagino».
«Sì, perché l’altra metà non ha i soldi né il tempo per venire da me».
Certi discorsi a Malinverno facevano lo stesso effetto di un gesso che stride sulla lavagna.
«Ma dobbiamo passare la notte a parlare di Sorge e Prandelli?» disse Giulia Campisi, quindi si alzò e andò a baciarlo.
Scivolarono a terra, sulla moquette. Non parlarono più.