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La corsa gli toglieva le ragnatele dalla testa. Leonardo Malinverno andava perciò a fare jogging ogni volta che poteva. Di solito, all’alba, sul greto lastricato del Tevere che verso lo stadio Olimpico lasciava il posto alla terra e all’erba.

Lì sembrava di non essere a Roma. Con querce, platani, lecci, ontani e gabbiani, nutrie, pantegane.

Se poi si osservava quel boschetto inatteso esattamente dal centro del Ponte della Musica, intitolato al maestro Armando Trovajoli, si aveva l’illusione alzando la testa al cielo di trovarsi adagiati su un imponente cuscino sospeso.

Quella mattina, però, l’acqua limacciosa aveva sommerso le banchine di molti metri, rendendole impraticabili. Dunque Malinverno aveva raggiunto in scooter Villa Borghese.

Arrivò un paio di volte fino al giardino zoologico e ritorno. Alcuni degli altri runner usavano auricolari per la musica; lui preferiva quella della natura, con il traffico in lontananza. L’aria umida e fresca gli snebbiò i pensieri, interrotti solo dalle urla delle cornacchie grigie, dei gabbiani e dall’abbaio di un cane lasciato libero.

Di nuovo a casa, accanto a una busta con due cornetti, in cucina trovò un biglietto: Grazie. È stato bellissimo.

Guerci era mattiniero quasi quanto lui. Coglione fatto e finito, pensò divertito.

Calcolò di aver dormito forse due ore filate, eppure si sentiva riposato e, dopo la doccia, si mise al pc.

La mail di Sonia Persichelli conteneva decine di allegati: pdf di vecchi articoli, scannerizzazioni di verbali giudiziari e di polizia, documenti la cui provenienza si doveva a qualche mano amica. Stampò tutto e per un paio d’ore non sollevò la testa dalle carte.

Studiare quella che sembrava una selezione dall’enciclopedia della criminalità, tuttavia, non gli bastò. Decise di scavare in proprio, alla ricerca dell’informazione in più che avrebbe rappresentato l’asso nella manica. A pranzo doveva andare da Toni Cutrupa con Carla Tesei; stupire la collega, assecondando la rivalità giocosa che tanto li divertiva, sarebbe stato bellissimo.

Cercò nella rubrica del cellulare il numero di Oki, alias Nando Agatone, uno dei molti informatori del suo carnet.

Il soprannome se l’era guadagnato nel carcere di Regina Coeli per via della grave forma di ipocondria che lo portava a ingoiare ogni genere di farmaco. Soprattutto antidolorifici e antinfiammatori, da cui veniva quel nomignolo. Non era infrequente, infatti, che Malinverno lo ricompensasse dei servigi resi con tre o quattro scatole di Oki in confezione famiglia, avute a sua volta da un’amica promotrice scientifica.

«Devi fa’ attenzione a Cutrupa... adesso è uno che conta» c’era apprensione nella sua voce.

Malinverno s’immaginò Oki, un chiodo di uomo sulla cinquantina, buttato su un materasso macchiato di piscio o in una macchina mezza scassata. Non sapeva dove abitasse, magari un appartamento suo non l’aveva neppure: si erano sempre dati appuntamento in qualche posto sperduto della periferia. Lontano da occhi vendicativi.

«Perché dici adesso? Prima era uno qualunque?»

«Nun è questo. È passato ner giro grosso».

«Puoi dirmi di più?»

«Mejo se ce vediamo».

«Ho pochissimo tempo».

«Aspetta, allora, che me metto dove nun me sentono».

Alle orecchie di Malinverno arrivò lo stridìo di cardini arrugginiti: chissà in quale anfratto o catapecchia aveva trovato riparo, Oki. Un’esistenza derelitta come tante, diluita fino a rendersi indistinguibile nel calderone della capitale. Era stato un pesce grosso della malavita romana. Non lo era più, ma continuando a sguazzare nel putridume sapeva come tenersi aggiornato e procurarsi informazioni.

«Chi può sentirti, Oki? Cosa temi?»

«Nisuno e tutti... Cutrupa controlla un’organizzazione gigantesca e c’ha gente che nun se ferma... nun se ferma davanti a gnente».

«Sì, va bene... Droga? Puttane? Riciclaggio?»

«Droga, puttane, riciclaggio... e tanto artro».

«Non mi hai risposto. Perché adesso è più potente?»

«Er commenda mazza & cazzuola» Oki lo disse abbassando la voce di un paio di toni, come se quella di Malinverno fosse stata una domanda ardita. «Da quanno ha stretto i rapporti co’ lui, chi lo ferma più...»

«Restelli».

«Eh, ce sei arrivato. Stavano pe’ fa’ er botto. Cutrupa doveva partecipare al progetto dell’ospizio a Corviale. Poteva esse’ er punto cruciale della campagna elettorale der futuro sindaco de questa zozzissima città».

Malinverno ascoltò gli altri utilissimi ragguagli di Oki senza più interromperlo. Gli si aprì un mondo di bieco calcolo, sfrenata sete di guadagni illeciti, sopraffazioni, violenza. Un paio di altre telefonate a colleghi che si occupavano di questi argomenti gli completarono il quadro.

Antonio Cutrupa, detto Toni, era calabrese di Brancialone, in provincia di Reggio Calabria. Arrivato nella capitale negli anni Settanta dell’altro secolo, aveva ricoperto per un ventennio il ruolo di semplice vedetta o al massimo di ‘braccetto’ armato in operazioni rapide e di sicuro successo per il feroce clan dei Racco.

La considerazione del boss dei boss nei confronti di Cutrupa era lievitata nel momento in cui questi aveva stretto amicizia con il vecchio Restelli. Constatato in varie occasioni che il sodalizio insolito favoriva operazioni via via più complesse e raffinate, Dennis Racco aveva deciso di sfruttare al massimo il radicamento a Roma che l’abbinata gli garantiva.

Racco... Quel cognome non gli era nuovo. A Malinverno era scattato un plin nella testa quando Silverio Orati, giornalista che era un’autorità della ‘nera’, l’aveva pronunciato. Purtroppo non gli era riuscito di associarlo a una faccia o a un luogo.

 

 

«Non vedevo l’ora di conoscerla, Malinverno. Salga, salga, salite...»

Il sorriso di Toni Cutrupa, sulle note aspirate dell’inflessione calabrese, avrebbe potuto sfolgorare allo stesso modo tra le fauci di un grizzly. La stazza era quella: alto, corpulento, con uno squarcio cicatrizzato sulla lunghezza della guancia sinistra.

Carla Tesei guardò sorpresa l’amico. Si erano dati appuntamento in fretta, al telefono, e la giornalista si stava chiedendo se le fosse sfuggito qualcosa.

Prima che salissero sul sedile posteriore della Maserati nera, accostata al marciapiede sotto casa di Malinverno, un tipaccio dal tocco inaspettatamente vellutato li perquisì rapido. Quindi aprì loro la portiera e li invitò a salire con un cenno cortese. Almeno in apparenza.

«Non eravamo rimasti che l’avremmo raggiunta al ristorante del Mirabilia?» domandò Carla.

«Meglio così, signora, mi creda».

Malinverno, che aveva preceduto Carla per evitarle di sedere accanto a Cutrupa, andò diretto: «Due cose. Come sapeva che ci saremmo dati appuntamento qui e che ci sarei stato anch’io?»

«Non mi faccia pentire. Ho detto che avrei voluto conoscerla, non se ne approfitti». Non si era tolto quel sorriso strafottente dalla faccia. «Ditemi voi, piuttosto, a cosa devo l’onore della vostra attenzione?»

«Abbia pazienza, di solito le domande le facciamo noi...»

«Ah, se lo ricordi, signora, la megghiu parola è chidda ca nun nesce. E lei mi sembra una donna che non sa stare al posto suo...»

«Quando le ho telefonato, mi sembra di averle detto che venivo per conto del Globo e non a farle manicure e pedicure, o no?»

«Divertente». Rise in modo forzato, poi cambiò registro. «Ditemi cosa volete o vi faccio scendere».

Malinverno volle scongiurare che lo scagnozzo che li aveva ispezionati, seduto accanto all’autista e solo in apparenza distratto, spalancasse lo sportello e li sbalzasse fuori in corsa. «Vorremmo parlarle di Ascanio Restelli, come può immaginare».

«Ho letto, ho saputo... Mi dispiace, era un fratello per me».

«Ed è per questo che l’abbiamo voluta incontrare».

«Sarebbe stato un grande sindaco, quello che ci vuole per questa Roma fangosa, piena di cinesi, zingari maledetti, puttane, trans...»

Carla volle interrompere quelle farneticazioni prima che toccassero la vetta, evitando di fargli notare che gran parte dell’umanità disperata di cui parlava con disprezzo era il pane quotidiano di Restelli e suo. Sfruttatori nati. «Si aspettava che potessero ucciderlo?» chiese mentre estraeva dalla borsetta il registratore digitale.

«Certo che no, Ascanio Restelli non era un cunno qualunque... Non l’ho mai visto preoccupato o impaurito da qualcuno. Era più facile il contrario. Ma tolga di mezzo quell’affare» disse dopo una pausa infinitesimale.

Voltarsi e afferrare il piccolo aggeggio fu tutt’uno per l’uomo torvo che sedeva davanti, fino ad allora impegnato con il display del cellulare. Pur contrariata, la Tesei non ribatté.

«Era un leader nato, Restelli...»

«Ha detto bene, Malinverno, l’avevo capito seguendola in una trasmissione che lei è intelligente. E anche leggendola, ovviamente».

«Il vecchio aveva carisma».

«Giusto». Poi ci ripensò. «Non mi starà cugghiunando

«Non mi permetterei mai. Anzi, penso che lei abbia ragione, per come sono gli italiani e dunque i romani, Restelli avrebbe vinto».

Cutrupa parve lieto di quella sentenza.

«Quali erano i suoi nemici, Cutrupa?» lo incalzò Carla.

«Non rispondo a queste domande, glielo ho già detto».

«La collega vuole solo sapere se lei, anche solo vagamente, ha dei sospetti».

«Andare a caccia di colpevoli non è il mio mestiere, Malinverno, e neppure il vostro. O sbaglio?»

«Il nostro mestiere è quello di scrivere la verità».

«Bella parola, la verità, signora. La verità. Riempie la bocca. Per voi donne c’è di meglio...»

Malinverno intuì la volgarità di Cutrupa un istante prima dell’amica e ne prevenne lo sbotto d’ira. «Cutrupa, dove ci sta portando?»

«Da me, Malinverno, stia tranquillo». E al cianquillo, manco fosse un segnale convenuto, si oscurarono i cristalli dell’auto e si accese la luce all’interno dell’abitacolo. Allo stesso tempo si sollevò un séparé che li isolava completamente dal guidatore e dal tirapiedi. Almeno quello.

Per quanto sia Carla che lui fossero poco inclini a farsi intimidire, una leggera preoccupazione cominciò ad affiorare.

«Che vuol dire, Cutrupa?»

«È solo per avere più intimità, Malinverno, niente paura».

«Per avere più intimità? Dica invece che non vuole farci sapere dove andiamo e qual è il percorso che facciamo...»

«Così nessuno potrà mettervi in difficoltà, chiedendovi cose che non sapete». Di nuovo quel ghigno ributtante.

Malinverno stabilì di non concedere ulteriori dilazioni. «Quando ha visto Restelli l’ultima volta?»

«L’altro ieri, nel pomeriggio, alle cinque».

«Il giorno prima dell’omicidio...» Carla rifletté ad alta voce. «Negli ultimi tempi, a quanto sappiamo, Restelli si occupava solo della candidatura. Dobbiamo dedurne che il vostro appuntamento fosse di natura politica?»

«Deducete pure, signora» la canzonò.

«Lei avrebbe avuto un ruolo ufficiale, in caso di vittoria alle elezioni?»

«Nel caso? Ascanio avrebbe vinto. È un fatto».

«Non mi ha risposto».

«Malinverno, che le devo dire? Gli ero accanto e sarei rimasto con lui. Se mi chiede, però, quale assessorato mi sarebbe toccato... non era cosa per me. No, io sono un tipo timido, lavoro meglio nel retrobottega».

«Dovevate rivedervi oggi?»

«Ci vedevamo tutti i giorni, o quasi» Cutrupa lo disse con tutto l’orgoglio possibile.

«Si dice che lei e Maresca, dal retrobottega, gli garantivate almeno duecentomila preferenze a testa» s’insinuò Carla.

«Si dice, si dice... Se ne dicono tante. Chi vi ha passato quest’informazione, signora?»

«Nanni Buscemi». Malinverno sputò quel nome per togliere la Tesei dall’imbarazzo d’inventarsi qualcosa.

Per la prima volta, tuttavia, Toni Cutrupa sembrò preso in contropiede. Tirò un grosso respiro. Il giornalista, forse, aveva colpito nel segno.

«Quando l’avete visto Buscemi?»

«Non sia cavilloso, Cutrupa».

«Che vuol dire? Parli più semplice».

«Che non siamo tenuti a dirle niente, cerchi di capire, se vuole può rispondere alle nostre domande. È il nostro lavoro. Siamo giornalisti, ci pagano per far questo...»

«Minni futto... Malinverno, ho accettato di vedervi per non farvi scrivere cazzate, sia chiaro».

Rimasero in silenzio per il resto del tragitto. Finché non avvertirono la svolta che la grande auto su cui viaggiavano compì e la specie di dosso o cordolo che gli pneumatici superarono senza sforzo. Un cancello si chiuse dietro di loro, se ne accorsero dal clangore dei battenti che si ricongiungevano.

«Ecco, siamo arrivati».

Scesero in quello che sembrava un immenso magazzino: casse di legno erano ammassate sul fondo, due uomini scaricavano degli scatoloni da un camion.

Toni Cutrupa, che camminava con una lieve zoppìa dovuta a una gamba più corta, prese a salire una scaletta di ferro.

Il guardaspalle rimase vicino all’auto, a braccia conserte e brutto grugno.

Nella stanza senza finestre in cui entrarono, dopo aver attraversato un corridoio pieno di porte chiuse, dietro al tavolo rotondo da riunioni era seduto un uomo. Fuori della porta, prontamente richiusa, due cristoni a guardia.

«Vi conoscete già, ho saputo...» Cutrupa s’interruppe un istante, il tempo di sedersi. «È vero, Nanni, che vi conoscete?»

Buscemi parve interdetto. «Come sarebbe a dire?»

La bocca di Malinverno si aprì in un sorriso radioso. «Carla, ti presento Nanni Buscemi».

Toni Cutrupa ebbe la certezza di essere stato sfottuto, prima, in auto.

«Accomodatevi» disse Buscemi. «Sa, Malinverno, che lei dal vivo sembra più alto? Cosa succede, Toni?» Durante il rapido ragguaglio di Cutrupa, Buscemi accarezzava il gatto d’angora che gli ronfava sulle ginocchia.

Dopo aver tenuto la sedia a Carla, sedette anche Malinverno, accavallando le gambe. Prese a osservare Buscemi: i capelli lunghi, ricci, tutti neri e perciò tinti, gli lambivano il collo e, untuosi com’erano, avrebbero richiesto uno shampoo. La pelle era butterata, gli occhi piccoli, uno leggermente strabico.

Indossava una giacca di lana rosso rubino, di sartoria, con la prima asola slacciata. A occhio, era sui settant’anni e comandava lui lì, valutò il giornalista.

«A Malinverno piace giocare» tirò la sua conclusione.

«A lei no, Buscemi?»

«Veniamo a noi...»

«Come diceva la buonanima dal balcone».

Buscemi ignorò la battuta. «Vi ho voluto vedere per chiedervi un favore... Anzi, per chiederlo a lei, Leonardo. Posso chiamarla Leo?»

«Malinverno andrà bene, Leo è per gli amici» gli intimò, senza smettere di fissarlo.

Anche se non parlava né si muoveva, percepiva l’agitazione di Carla Tesei. Sotto il tavolo, le poggiò la mano sull’avambraccio e glielo strinse.

«Nanni, non perdere tempo con questo animale». Cutrupa stava perdendo la pazienza, non gli andava giù che prima avessero tentato di gabbarlo.

«Tranquillo, Toni, i signori sono nostri ospiti, dobbiamo comportarci bene, in punta di galateo, perché non si dica, o si legga, che siamo vastasi».

«Non abbiamo più tanto tempo e ci aspettano al giornale».

«Facciamo subito. Se fate i bravi guajuni ci vorrà ancora meno».

«Di che favore si tratta, Buscemi?» Carla mantenne la voce salda.

Squillò il telefonino di Malinverno. «Pronto. Sì, direttore... Sì, siamo qui, Tesei e io, avevamo un incontro con Toni Cutrupa e Nanni Buscemi... Va bene, al massimo mezz’ora... mezz’ora e siamo in redazione... Benissimo, sarà fatto. A dopo». Poi rivolto a Carla: «Orefici. Alle quattordici in punto, riunione di redazione».

Buscemi aveva dato un’occhiataccia a Cutrupa: senza che proferisse parola fu chiaro che lo detestava per non aver pensato di togliere i cellulari ai giornalisti.

«Di che favore ha bisogno, le chiedevo...» Carla tornò alla carica, ma non ottenne risposta né attenzione.

«È furbo, lei, Malinverno» disse Buscemi, come arrivando alla conclusione in quello stesso istante. «Sì, ho fatto bene a cercarla. Ecco, è questo. Io so... sappiamo della sua influenza sugli inquirenti, il suo rapporto con quel poliziotto...» Guardò Cutrupa, schioccando le dita.

«Jacopo Guerci» gli venne in soccorso.

«... ecco, il suo rapporto con Jacopo Guerci è cosa nota».

«Lo hanno detto anche al telegiornale» s’inserì Cutrupa, lieto di avere parte in commedia.

«Che hanno detto?»

«Hanno detto che lei, Malinverno, è quello che ha libero accesso alle indagini, per via di Guerci».

«Il quale Guerci mi ha già fatto cercare» chiarì Nanni Buscemi.

«Anche a me».

Malinverno venne al dunque. «Sputate tutto, che cosa vi serve?»

«Toni, accompagna la signora a prendere un caffè».

«Non ho voglia di caffè».

«Vada» indicò la porta con la mano fiorita d’anelli d’oro giallo. Cutrupa era scattato in piedi. «Toni, andate».

«Se esce lei, esco anche io» il tono di Malinverno non ammetteva replica.

«Sta bene, peggio per lei... più cose sa... Basta. Malinverno, ho bisogno che mi tieni Guerci e i suoi cagnacci fuori dai coglioni» senza passaggi intermedi si era accordato il permesso del tu. «Per te ci sono pronti centomila euro. Noi non c’entriamo niente con la morte di Restelli, ma abbiamo da faticare, non possiamo perdere tempo. E questa rottura di palle rischia di mandare in merda tanti nostri progetti...»

«Certo, se si esclude la rogna delle indagini, la morte del commendatore mazza & cazzuola vi porta cose buone. Adesso, tanto per dire, Cutrupa potrà riprendersi il terreno a Corviale». L’affermazione sorprese tutti, compresa Carla.

«Che dici? Che dici?» si risolse a chiedere Cutrupa.

«Lo sai. Quell’appezzamento è tuo, smettiamola di menarcelo, non so come ne sei venuto in possesso ma è tuo. Quando Ascanio Restelli ci ha messo gli occhi sopra non hai potuto sottrarti perché la mossa di costruirci un ospizio per anziani poco danarosi sarebbe stata clamorosa. Se anche tu avessi voluto sfilarti, non fosse bastato il commendatore, ci sarebbero stati i tuoi comparuzzi a impedirtelo. Vero?»

«Vai avanti, Malinverno» disse Buscemi, la storia gli interessava.

«Avere un sindaco benefattore sarebbe convenuto anche a Dennis Racco».

A sentire quel nome, Buscemi e Cutrupa si guardarono e Malinverno capì che il colpo aveva prodotto in loro l’effetto di una incauta sorsata d’acqua andata di traverso.

«Quanto più potere e consensi avesse conquistato Ascanio, tanto più utile sarebbe stato averlo, da amico, al Campidoglio».

«Ammesso che sia vero... e allora? Dove vuoi arrivare?»

«Non mi prendere per il culo, Cutrupa». Ora non si giocava più. «Tu dovevi seicentomila euro al vecchio. E con questa scusa ti ha estorto l’uso del terreno: un lotto imponente, che con i suoi magheggi è riuscito a rendere edificabile, aumentandone il valore di tre o forse quattro volte».

Carla Tesei, rivolta verso Malinverno, taceva: la conversazione si era fatta densa, ma oltre le sue possibilità di coinvolgimento.

«Se è come dici, Malinverno, non avrei di che lamentarmi...»

«È come dico. Vorrei capire, tuttavia, se davvero tu e Vittorio Conversi abbiate digerito la mossa di Restelli».

Carla Tesei non si trattenne: «Conversi? Cosa c’entra, Conversi?»

«Si era parlato di quell’appezzamento, quasi in aperta campagna, in relazione alla chiusura della vecchia discarica gestita da Conversi. L’area poteva servire a far sorgere la nuova discarica. Capirai, con questo colpo di mano, il vecchio ha fatto svanire ai due l’ipotesi di guadagnare milioni di euro per i prossimi venti o trent’anni. Non è vero, Cutrupa?»

A Buscemi, che aveva assunto un’aria beffarda, in fondo gongolando nel vedere il compare in difficoltà, pensò la Tesei. «Ho saputo che ieri sarebbe arrivato a Roma uno grosso dall’estero, per conferire con il commendatore...»

«Di questo non sappiamo niente. È vero, Toni?»

«Vero è».

Mentivano. Malinverno decise di provare a rompere la loro resistenza. «Dennis Racco, forse?» Nessuno dei due rispose, dunque proseguì. «Non credo vi piacesse l’idea di venire soppiantati, specialmente a te, Buscemi. Dopo tanti anni di proficuo scambio con il vecchio... sarebbero cambiati gli assetti, gli equilibri avrebbero richiesto aggiustamenti, meno guadagni per tutti».

Il buio era calato nella stanza senza finestre, in particolare su Buscemi, o almeno così parve. «Minchia, siete fuori strada. Non ve lo ripeterò».

«Racco arrivava per prendere il posto di qualcuno di voi, o forse di tutti» insistette il giornalista. «Restelli aveva fiutato qualcosa e, da sindaco, aveva bisogno di una sponda più alta, più solida...»

«Finiamola con queste cazzate. Vogliamo proporti uno scambio. Soldi per il tuo aiuto con Guerci».

«Non posso fare niente».

Un guizzo attraversò lo sguardo di Buscemi. «Potremmo fartelo chiedere da Viola Ornaghi, che ne dici, Malinverno?»

«Pessima idea».

«Eppure si sa quanto tu sia sensibile all’argomento...»

Cutrupa intanto aveva messo sul tavolo delle mazzette da cinquecento euro, estraendole da una valigetta.

Buscemi proseguì, sempre allisciando il pelo al gatto, che ora faceva fusa rumorose. «Questo è un anticipo. So quale ascendente hai su Guerci e non dovresti fare molto».

«Non ho ascendente sul vicequestore Guerci».

«Non ci prendere per il culo. Mi basta che tu gli parli di noi: abbiamo altri interessi, non c’entriamo niente con l’omicidio e possiamo essere generosi anche con lui. È capitato altre volte...»

«Con Guerci mai».

«Non ci inventiamo niente di nuovo».

«Non posso fare niente, non voglio fare niente».

Buscemi realizzò che il giornalista non si sarebbe spostato di un millimetro. «Sta bene. Facciamo, allora, che non ci siamo mai visti. Potete andare, quella è la porta». Si alzò, imitato da Toni Cutrupa.

Prima che Malinverno e Carla Tesei uscissero, riprese a parlare. «Resta inteso che niente di quello che ci siamo detti uscirà da qui. Non voglio leggere nulla sul vostro giornaletto».

Mentre lo diceva teneva il gatto per la collottola, pencolante.

Quindi strinse il collo della bestiola tra le mani e, incurante degli artigli che gli si conficcavano nella carne, glielo torse fino a spezzarlo. Il miagolio sordo, minaccioso, cessò di colpo. Un crac e il micio fu lasciato cadere a terra come una busta gonfia d’acqua.