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Quella notte riprese a piovere.

Cani e gatti terrorizzati dal frastuono, strade allagate e alberi schiantati al suolo, tra cui un pino che era piombato su un’auto con tre ragazzi a bordo.

Durante uno dei risvegli, Leo Malinverno si rese conto di aver sognato Viola, sola su un pattino in mezzo a un lago.

Acqua, sempre acqua.

Continuò a scendere nei tre giorni seguenti, mandando Roma in tilt. Diverse stazioni della metropolitana erano state chiuse, mentre alcune strade del centro somigliavano a stagni, con tombini e fognature sature per la mancata pulizia stagionale. In altre zone galleggiavano i rifiuti che non erano stati raccolti.

Con il rigonfiamento dei suoi affluenti, il Tevere non aveva retto e all’altezza di Ponte Milvio, in assenza di bastioni contenitivi, aveva tracimato disastrosamente.

Un intero quartiere nel caos, una città in balia degli agenti atmosferici. E in periferia e provincia era anche peggio. Nonostante ciò, l’allerta del sindaco, con conseguente entrata in scena della protezione civile, veniva quasi del tutto ignorata dai romani: solo i vecchi e i bambini delle scuole materne ed elementari rimanevano in casa.

Chi doveva andare al lavoro non rinunciava a sfidare il maltempo.

Con gli incidenti che si susseguivano, si può immaginare quanto lavoro dovettero sobbarcarsi al Globo. Le priorità divennero altre. Il delitto Restelli non venne dimenticato, ma l’attenzione fu calamitata dal diluvio che proseguiva.

Malinverno si chiese due o tre volte dove fosse l’amica, senza trovare un attimo per provare a scoprirlo.

Pietro Orefici non si spinse fino a imporgli di ‘coprire’ i casi di persone bloccate nelle abitazioni o dei negozi distrutti dall’acqua, ma lo pretese da tutti gli altri.

Con il giornale sotto organico, toccò a lui occuparsi di molti argomenti di manovalanza cronachistica che non gli erano più congeniali.

Quando un giovane collega rientrò dal congedo matrimoniale, il direttore spostò Malinverno sulle pagine di politica. Cosa che, se possibile, lo entusiasmava ancor meno.

In una redazione degna del nome non s’era mai vista una simile pretesa di versatilità di mansioni. In ogni caso Malinverno non era uno che amasse farsi scudo delle rivendicazioni sindacali. Abbassava la testa e lavorava. Gli era persino toccato un viaggio al seguito del presidente del Consiglio.

Tornato a casa, dopo aver dormito una notte a Milano, aveva corso a lungo a Villa Pamphilj con una pioggia fine che gli sferzava il viso.

Era appena uscito dalla doccia e stava pensando che, essendo ormai ampiamente trascorsa una settimana dal delitto, sarebbe stato molto difficile trovare in breve tempo l’assassino di Restelli.

Suonò il campanello. Chissà perché aveva supposto che potesse essere Jacopo Guerci. Forse perché qui e là erano sparsi i suoi vestiti...

Davanti si trovò invece Flaminia Galterio Pardi, elegantissima, con un cappotto lungo blu elettrico e una sciarpa di cachemire bianca.

«Prenderà freddo. Meglio che si copra...»

Realizzò solo in quell’istante di avere indosso solo una salvietta di spugna alla vita. «Si accomodi» disse senza scomporsi.

Lasciò la signora in salotto, mentre si guardava attorno con l’aria di chi era capitata in una stamberga. Malinverno gettò l’asciugamano sul letto e infilò un paio di jeans, finendo di abbottonarsi la camicia davanti alla Galterio Pardi, sedutasi sulla sua poltrona preferita.

«A cosa devo la sua visita?»

Prima di rispondere gli scrutò i piedi nudi, con una certa riprovazione. «Sono preoccupata. Da qualche giorno non so dove sia Viola...»

«Perché non le telefona?»

«Ho provato a casa, non risponde nessuno».

«Al cellulare?»

«Quello ce l’ho io...» disse estraendolo dalla borsa.

«Ecco perché...» gli sfuggì.

«Che cosa vuol dire?»

«Ho provato spesso a chiamarla, era sempre spento».

«Credo si sia scaricato. Non ci so molto fare con questi aggeggi».

«Cosa le fa pensare che io possa sapere dov’è o darle notizie di sua figlia?» la incalzò.

«Niente di tutto questo. Credo di sapere dov’è...» il punto interrogativo in cui si tramutò il viso di Malinverno la spinse a proseguire. «Penso che sia al Circeo, dove ha una casetta. Si rifugia sempre lì». Gli porse un biglietto con l’indirizzo.

«E allora, signora? Sono costretto a chiederle ancora come mai è venuta qui...»

«Non so come dirlo... sa, vorrei darlo a lei, questo».

«Il telefonino? Per farne cosa?»

«Be’, perché lo riporti a Viola! Cos’altro?»

«Perché non glielo porta lei?»

«Vada lei, è meglio». Non era abituata a chiedere per favore, le veniva più facile impartire ordini.

«Se è preoccupata, perché non è andata direttamente al mare da Viola?»

Flaminia Galterio Pardi mal tollerava l’insistenza: la considerava un affronto. «Insomma, mi fa o no questa cortesia?»

«Se gliela farò, sarà per Viola, signora».

«Certo, certo, per Viola». Guardava nel vuoto, tenendo le mani una nell’altra come se avesse freddo.

«Ed è sempre per Viola che ho bisogno di capire...» il tono di Malinverno non dava adito a fraintendimenti.

Quella si diede un contegno. «Sono qui».

«Quando vi ho visto assieme ho notato che i vostri rapporti sono piuttosto tesi».

«Non so cosa dirle, Malinverno, quella figlia mi è venuta male...» si rese conto dell’enormità pronunciata. «Poverina, non è neppure tutta colpa sua, forse».

«Toglierei quel ‘forse’».

«Lei, caro giornalista, è molto diretto...»

«Detesto perdere tempo. Viola è una donna stupenda, come madre dovrebbe solo esserne orgogliosa».

«Che cosa vuole? Ho sempre sbagliato... dev’essere perché non ero pronta a diventare madre. Alcune amiche dicono che è perché non l’ho allattata. Non me la sentivo. Mi si può fare una colpa per questo? Ero giovane, avevo da fare, non potevo farmi mungere ogni tre ore. E comunque è cresciuta lo stesso».

«È cresciuta bene, direi. Nonostante tutto».

Non raccolse la provocazione. «Sapevo di fare la cosa giusta venendo qui. Lei è un buon amico per mia figlia...» l’allusività non era neppure troppo nascosta.

«Sono un amico, infatti. Niente altro. Viola è sposata».

«Ah, lasciamo stare quello... posso avere un bicchiere d’acqua?»

«Solo acqua? Le faccio un caffè?»

«No, grazie. Solo acqua, effervescente naturale, se possibile».

Quando tornò in salotto, Malinverno trovò Flaminia in piedi davanti alla finestra. Si era sfilata il paletot, aveva un abito di lana con le maniche a tre quarti che le aderiva sul corpo. Non poté fare a meno di pensare a quanto fosse stata bella. Lo era ancora, peccato che ne fosse tanto consapevole.

«Solo acqua del rubinetto, mi spiace».

Si voltò con la studiata degnazione di un’attrice di teatro. L’unico anello che indossava mandò, grazie al sole che finalmente faceva capolino tra le nuvole, un riflesso che gli baluginò in un occhio. Quella donna arrecava fastidio suo malgrado, pensò.

«Fa lo stesso». Solo dopo aver bevuto ringraziò.

«Non le piace Matteo Sorge, diceva».

«Non mi pare di aver mai detto una cosa del genere. Diciamo che mio genero non è l’uomo che sognavo per mia figlia».

«Che tipo aveva in mente, invece?»

«Andrebbe bene uno come lei, adesso».

«Grazie. Sembrerebbe un complimento... perché dice adesso

«Ha voluto fare la giornalista...» lo disse manco fosse il mestiere più infamante al mondo. «Immagino che tra colleghi possa essere più facile intendersi».

«Capisco che abbiamo tanti difetti. Fare il giornalista, però, non è poi così male. Noi diciamo: sempre meglio che lavorare» sorrise.

«Appunto. Che bisogno c’era di lavorare? Poteva fare la moglie. Matteo è quello che è, ma non le avrebbe fatto mancare niente. Purtroppo Viola ha sempre voluto fare di testa sua. E vede come si ritrova?»

«Mi sembra una visione della donna un tantino... antiquata».

Non si trattenne più. «Le avevo detto di non andare da quel Restelli. Se mi avesse dato retta, accidenti a lei, non avrebbe visto quello che ha visto e ora non sarebbe sulla bocca di tutti».

«Lei che ne sapeva, di Restelli?»

«Niente... quello che sanno tutti».

«Già. Sembra che a Roma non ci sia nessuno che possa dire di non averlo mai incontrato o che non abbia avuto modo di incrociare la sua traiettoria...» pensava ai suoi genitori.

«Proprio così».

«Lei, signora, l’ha conosciuto? Di persona, intendo».

Parve rifletterci. «Tanti anni fa, a una cena. Poi non l’ho più incontrato... ma ne ho sempre letto le gesta sui giornali, ovviamente. Un essere spregevole».

«Si riferisce alle idee politiche?»

«No, anzi. L’ho seguito in qualche intervista televisiva, molto di quello che diceva su rom, stranieri, gestione della città mi sentivo anche di condividerlo».

Figuriamoci. «Spregevole, perché, allora?»

Lo guardò esitante. «Come uomo, non saprei spiegarle meglio. Si trattava di una persona repellente. Ecco, repellente credo sia la parola che lo definiva meglio».

«Avvenne in casa di Restelli, la cena, o lo avevate invitato da voi?»

«Ma come le viene in mente? Io, invitare uno così... e in casa sua non ci avrei mai messo piede».

«Dove l’ha visto, allora?»

«Miss Minnie Oswald, che conosco da tanti anni. Fu a casa sua».

«Non lavorava all’ambasciata americana?»

«Sì. Ora è in pensione» quasi si stupì che sapesse chi fosse. «Le piace talmente l’Italia che non se ne andrà più. Una cara persona. Forse solo poco selettiva... o semplicemente, essendo straniera, non ha ben chiare le opportune distinzioni da fare quando si organizza una cena».

Distinzioni: soppresse l’istinto di chiederle quali fossero. «Quando è stata la cena?»

«La data precisa non la ricordo. Molti anni fa, venti forse. C’era tanta gente. Si può fumare qui?» chiese scrutando una delle sigarette elettroniche che Jacopo Guerci aveva disseminato in giro.

«Faccia pure».

La osservò sfilare da una scatolina d’argento una sigaretta lunga e sottile e accenderla con gesti di seducente naturalezza. Eppure gli sembrò in apprensione. A ben vedere, forse, quella donna aveva un cuore, dei sentimenti. E la figlia le interessava più di quanto credesse o volesse dare a intendere.

Aspirò e buttò fuori fumo. «Come finirà questa storia di Restelli, Viola dovrà testimoniare?»

«Non so dirglielo, ora. Non so come verrà impostato il processo, non ho avuto modo di vedere la pm Falasca. Non c’è neppure un colpevole, ancora».

«Mi spiace che mia figlia debba stare sulla bocca di tutti» ripeté e le si ruppe la voce.

«Si preoccupa di questo? Non le viene voglia di correre da lei, abbracciarla, rassicurarla?»

«Il sentimentalismo non fa per me. Non l’ho fatto quando era piccola...» le sfuggì, poi si riprese. «Mi creda, sarebbe controproducente. Viola ha la straordinaria capacità di prendere male tutto quello che le dico».

«E il padre?»

«Ah, mio marito! Vive in un suo mondo, guai a turbarlo. Vuole bene a Viola e Viola lo adora. Come tutte le femmine, del resto. Idolatrano i padri e demonizzano le mamme».

Soprattutto se sono come te. «Potrebbe andare lui da Viola».

«Eugenio è un buon uomo. Ma anche solo chiedergli di uscire di casa significa procurargli ansia o peggio...»

«Capisco».

«Ci andrà da Viola, Malinverno?»

«Adesso, signora, devo lasciarla. Mi aspettano al giornale. Ho fatto già abbastanza tardi».

Anche lei voleva andarsene. «È stato... comprensivo. Mi scusi l’intrusione senza preavviso. Non è mia abitudine».

Malinverno notò, accompagnandola alla porta, che il cellulare era rimasto sul bracciolo della poltrona.

Avrebbe raggiunto Viola al Circeo, ma non volle dare a Flaminia Galterio Pardi anche il conforto della rassicurazione. Di certezze, ne aveva già troppe.