Dopo un paio d’ore di stordimento, necessarie a smaltire un po’ dell’agitazione della nottata quasi in bianco, Malinverno si alzò con l’emicrania.
Per quanto volesse dimostrarsi superiore, l’appartamento devastato dall’incendio con dentro un cadavere non poteva lasciarlo totalmente indifferente. L’idea che delle manacce avessero frugato tra la sua roba decidendo di spazzarla via lo irritava a scoppio ritardato.
A casa della madre si era sistemato nella sua vecchia stanza di ragazzo, rimuovendo dal letto un’infinità di abiti gettati lì alla rinfusa da Clara, dalla domestica, o da entrambe. A Guerci aveva dato la camera di sua sorella.
Solo quando il sonno stava per trascinarlo con sé, troppo tardi per far spostare l’amico, si ricordò della tavola di legno.
Ippolita aveva la fissazione del materasso sempre troppo morbido, per cui aveva deciso di procurarsi un’asse da sistemarci sotto. Solo lei lo trovava comodo conciato in quel modo.
Seduto al tavolo della cucina, Guerci gli sorrise. «Ben alzato!» Aveva indosso il vecchio accappatoio verde di suo padre.
«Vedo che ti sei sistemato... dormito bene?»
«Solo un’ora. Ma benissimo, sì. Letto fantastico».
Meno male. «Hai già fatto la doccia... Io temevo di svegliare mia madre».
«Lei è già a scuola, aveva lezione alle nove».
«Ah, piacere di conoscervi...» sbadigliò. «Cioè, piacere che vi siate conosciuti».
Nottetempo erano entrati senza far rumore, confidando nel sonno pesante di Clara. Malinverno stava chiedendosi cosa potesse aver pensato la madre.
«Donna fantastica. Non ha fatto una piega. Le ho spiegato, non ha fatto una piega» lo prevenne Guerci.
«Lo sapevo. È mia madre, ho preso tutto da lei...»
«Ti piacerebbe... Ha notato il tuo soprabito all’ingresso e ha visto anche il mio. Mi ha detto di aver commentato tra sé: questo è il guaio di dare le chiavi di casa ai figli... Gran donna, te l’ho detto, ironia impalpabile».
«È abituata. Mi ha beccato spesso... finora mai con un uomo, però».
«Tranquillo. Era sollevata dal fatto che avessimo dormito in stanze separate».
«Per salvare almeno le apparenze... che stolto, sei!»
«Le ho dovuto dire perché eravamo qui». Guerci s’incupì. «Allora si è trasformata, mi sembrava di esser tornato al liceo e di dover rispondere all’interrogazione di matematica».
«Lei insegna latino e greco».
«In quelle materie non avevo problemi. La matematica, invece, me la sogno di notte. Comunque, stai tranquillo. Le ho detto che stavi bene e si è un po’ rassicurata».
«La conosco, teme che mi piazzi qui». Dopo essere rimasto sulla porta, Malinverno si sedette puntando il dito verso l’amico. «Noi due dobbiamo parlare».
«Non ci giriamo tanto intorno, dai... L’ho fatta seguire».
«Non dirmelo, tu hai fatto seguire la mia amica Viola Ornaghi! Ora capisco... quella moto che ho incrociato arrivando a casa sua al mare, era un tuo uomo».
Guerci non ebbe nemmeno bisogno di rispondere, gli bastò alzare entrambe le mani in segno di resa.
«È ufficiale. Sei un bastardo vero, vicequestore aggiunto Jacopo Guerci».
«Cerca di capire, non fare il grullo. È la prima a essere entrata in casa del vecchio Restelli, questo assassino non ha finito il suo lavoro, ormai ci è chiaro. Hai visto cosa ha fatto a Fabio Massimo?»
«Che c’entra Viola?»
«Non lo so. Non ancora. Qualcosa non mi torna...»
«Te lo dico io, tu sei incazzato con il genere femminile. E te la prendi con Viola!»
Gli spinse davanti il piatto con le brioche fresche. «Sono sceso a prendere qualcosa di decente da mangiare, tua madre non aveva niente in frigo. Ho comprato anche del latte, ne vuoi? Dai mangia, che ragioni meglio».
«Non voglio mangiare e, lasciamelo dire, sei uno stronzo».
«Ancora? Dovrei fidarmi sulla parola, secondo te? È il mio lavoro, lasciamelo fare».
«Pensi che sia colpevole? Dimmelo, vediamo se hai coraggio... è colpevole per te?»
«In questo momento non penso niente. So solo che sentivo il bisogno di tenerla d’occhio. Non posso dirti altro, perché si tratta di una sensazione».
«Le tue famose sensazioni!»
«Oltretutto, potrebbe anche servire a sua difesa. Che ne sappiamo se l’assassino non la considera un obiettivo?»
«Ora sono troppo confuso, Jacopo, ma quando mi si chiariscono le idee torneremo sull’argomento».
«Che fai oggi?»
«Passerò al giornale... e poi credo che andrò al centro benessere a farmi passare questo mal di testa».
«Il centro benessere è indicato a chi ha subito l’incendio di casa?»
«Non fare lo spiritoso. Anche io ho le mie sensazioni, o meglio, intuizioni. Ti saprò dire».
«Io passo in ospedale, da Fabio Massimo Restelli. I medici mi dicono che sta meglio, l’hanno rimesso in piedi e può affrontare le mie domande».
«Novità dalla Scientifica o sulle armi usate?»
«Non abbiamo trovato niente, né la pistola né il coltello o qualunque cosa abbia usato l’assassino. L’anatomopatologo però mi ha detto di aver trovato nello studio della villa materiale ematico non appartenente al vecchio e non compatibile con il suo Dna».
«È il sangue dell’assassino, che si sarà tagliato accidentalmente. Lo hai inserito nel database?»
«Certo. Appena ho i risultati ti dico».
Non era mai stato in un centro benessere e non sapeva neppure cosa chiedere alla ragazza della reception. Sperò di non incontrare Giulia Campisi.
Doveva ammettere che l’ambiente del Wellness Days era raffinato: nell’atrio parquet chiaro a listoni, riproduzioni di famosi pittori contemporanei alle pareti, grandi vetrate con piante rigogliose che si nutrivano della molta luce, personale discreto. E musica classica in diffusione al posto della solita, rumorosissima, radio con dj facili al cazzeggio. Anche l’albero di Natale, sistemato tra due poltrone di pelle bianca, aveva addobbi sobri.
Su un cartello con asta, sistemato vicino al bancone, la lista dei trattamenti era a caratteri d’oro su fondo di velluto blu: Restyling Viso – Relax per il corpo – Multy Beauty System – Fitomelatonina – Vitalis Massage Resonanz – Profumo di Ciliegia – Trattamenti alla mela – Ayurveda – Coccole di Coppia – Star bene con il corpo – Cura di Mani e Piedi – Depilazione parziale e totale.
Pur escludendo a priori l’ultima opzione, Leo Malinverno uscì frastornato e stanco dalla lettura di quell’elenco. Comprese come doveva essersi sentito Mosè davanti alla rivelazione biblica delle tavole della legge.
Gli venne in aiuto la receptionist, bionda, con un taglio moderno e occhi vispi. «Posso? Mi sembra indeciso... di cosa ha bisogno?»
«Bisogno?» Malinverno rispose con una smorfia, grattandosi la nuca. «Non direi che ho bisogno...»
«Posso consigliarle la sauna finlandese? È ottima per il rilassamento e la pulizia della pelle e per la rigenerazione cellulare».
A quel punto avrebbe voluto specchiarsi per controllarsi il viso. Perché gli aveva proposto la sauna finlandese? Aveva il viso devastato? E cosa sapeva delle sue cellule? «Non so... Mi è aumentato il mal di testa con cui mi sono svegliato...»
«Le propongo allora una bella doccia emozionale! Che ne dice? Si tratta di un breve percorso di benessere che, attraverso particolari giochi d’acqua ed effetti di luce, crea piacevoli sensazioni e dona relax e vigore a corpo e mente... che ne dice?» lo snocciolò come una poesia di Natale recitata in piedi sulla sedia.
«Che ne dico? Ho già fatto la doccia...»
«Abbiamo il solarium, vari tipi di vasche idromassaggio, le piscine calde e fredde, la palestra...»
Si sarebbe messo a piangere. «Palestra? Mai stato in una palestra. Io corro...»
«Allora, dia retta. Lei mi sembra stressato, si lasci tentare da un bel bagno di fieno».
«Di che? Fieno... non sono mica un mulo o un vitello!»
«Ma no... la fitobalneoterapia consiste in vere immersioni in erba fresca in via di fermentazione, durante le quali la temperatura raggiunge valori tra i 40 e i 70 gradi stimolando una forte sudorazione che persiste anche dopo l’applicazione. Con il caldo umido che si sprigiona dal fieno i principi attivi contenuti nelle erbe vengono efficacemente assorbiti dall’organismo. Lei ne ha bisogno, dia retta».
«No, guardi, io cerco ben altro...» abbassò il tono di voce e si sporse sul bancone. «Filippo Prandelli...»
«Chi... Prandelli? Il dottor Prandelli? Poteva dirlo subito». Lo squadrò dalla testa ai piedi, come a soppesarlo, valutarlo, classificarlo. Pigiò sulla pulsantiera del telefono. «Puoi venire, Constanze?»
Si presentò una donna di una spanna più alta di lui, in tuta bianca, con andatura marziale. Dal breve scambio che ebbe sottovoce con la ragazza della reception, capì che era tedesca. Lo invitò a seguirlo attraverso una specie di labirinto, su cui affacciavano stanze e stanzette; alcune chiuse con porte scorrevoli, altre da tende.
Discesero una scala al di là di un’anta celata da un dipinto astratto, aperta e subito risigillata.
La valchiria lo lasciò solo nella prima stanzetta: luci basse, letto a una piazza e mezzo, gigantografia della Torre Eiffel sulla parete della testiera.
Appena fece per sedersi sul divanetto Frau di pelle rossa entrò una cinese, in apparenza neppure maggiorenne, con il vassoio del tè. I capelli lisci e la pelle diafana, molto carina.
Preparò e servì la bevanda con gesti eleganti. Dopo che l’ebbero sorbita, gli fece capire, sempre a gesti perché evidentemente non conosceva l’italiano, di doversi spogliare.
«I do not want to undress, I want to talk to you» Malinverno provò con l’inglese ma niente da fare.
Riuscì solo a capire il suo nome: Xue.
Senza smettere di sorridere e di sussurrare frasi nella sua lingua, Xue lo sospinse dietro un séparé di carta di riso a grandi disegni, oltre il quale c’era un lavabo con il necessario per le abluzioni igieniche.
Malinverno si spogliò completamente, cingendosi la vita con il telo di spugna che la cinesina gli aveva consegnato. Prendendolo per mano, la ragazza lo fece poi stendere prono sul letto che nel frattempo aveva preparato.
A sua volta, con un solo strap si liberò dell’abito di seta bianco a fiori rossi stampati.
Prima di sprofondare il viso nel guanciale, Malinverno riuscì ad ammirarne i piccoli seni torniti, il pube dalla peluria ordinata e scura, in netto contrasto con il candore dell’incarnato.
Xue montò a cavalcioni sulla sua schiena. Cinque minuti di sapiente massaggio al dorso e al collo, e il mal di testa della mattina si dissolse del tutto. Quelle minuscole mani, sorprendentemente forti, intrise di olio profumato, lo trasportarono in una dimensione di beatitudine.
Ma cosa c’era in quel tè? Si destò dal piacevole assopimento in cui era scivolato, quando Xue gli chiese di voltarsi e mettersi supino.
La posizione che avevano assunto, inguine contro inguine, era alquanto equivoca. Divenne esplicita nel momento in cui la cinesina gli aprì l’asciugamano.
Fece a tempo ad afferrare la salvietta e a coprirsi alla meno peggio prima che la cinese la scaraventasse lontano. «You do not understand, I do not need this kind of massage...» Non capiva. «No, questo tipo di massaggi, no, no...»
Xue insisteva, cercava di tirare via la salvietta.
Malinverno la disarcionò, riuscendo a sfilarsi dalla presa delle sue gambe. Raggiunse il séparé per rivestirsi, tra le proteste incomprensibili della cinesina, preoccupata di perdere quella che una volta si sarebbe definita ‘marchetta’.
Forse richiamata dal trambusto o da chissà quale altro segnale convenuto, tornò la gigantessa teutonica. «Coza è sucesso? Pozzo aiutare, sig-nore?» Parlava male l’italiano ma lo parlava, per fortuna.
«Niente, non è successo niente. Tranquilla. Voglio solo uscire da qui».
«No è contento di Xue? Pozo mandare altra Mädchen... altra ragazza...Vuole pillola per sballo, vuole Viagra, Cialis...»
Come faceva a spiegarle che non era mai stato con una prostituta, se si escludeva quella di Codroipo dove l’avevano portato i commilitoni durante il servizio militare? E quella volta era ubriaco come mai prima o dopo. Non aveva voglia di quel tipo di sesso. Non con una che era poco più che bambina.
«Vado via, grazie». Sfilò due biglietti da cinquanta euro dal portafogli. «Va bene così? Mi faccia uscire, per cortesia».
Xue piangeva, con il viso tra le mani. Esperienza nuova, quella di vedersi rifiutata con tanta foga. Una ferita mortale al suo ego.
Frau Constanze era molto contrariata dal fuori programma. Non era abituata a gestire situazioni del genere, fuori dai binari rassicuranti della routine più o meno lecita.
Malinverno valutò che se la donna avesse voluto, con la prestanza e la determinazione da cui era animata, avrebbe potuto metterlo fisicamente in difficoltà e magari avere la meglio su di lui. Trovò buffa l’immagine, ne sorrise.
Davanti all’uscita di servizio, usata con tutta probabilità per tutelare la privacy dei clienti, tirò fuori un’altra banconota e gliela mostrò.
Constanze alzò i palmi delle mani. «Lei cià pacato... basta soldi».
«Sia gentile, posso chiederle una cosa?»
«No so niente. Non pozzo dire niente».
«E Filippo Prandelli... è qui? Può portarmi da lui?»
Si rabbuiò. «No conosco. Vata ora» disse aprendo la porta.
Se ne andò, avendo ottenuto le informazioni che sperava di ottenere.