Malinverno sentì per puro caso lo squillo del cellulare. Si fermò con lo scooter in piazza del Popolo, sotto la targa dedicata ai rivoluzionari Monti e Tognetti, decapitati dal papa re nel 1868 nei pressi del Circo Massimo. Ogni volta che passava di lì non mancava di lanciare uno sguardo di devozione alla lastra di marmo.
Vide lampeggiare il nome di Carla Tesei. «Ciao, vecchia signora? Come va?»
«Tutto bene... tu piuttosto, come stai? Ho saputo... mi dispiace, se hai bisogno di un posto dove stare, ho un divano comodissimo nel mio monolocale».
«Grazie. Sto da mia madre».
«Com’è che voi maschi tornate sempre da mammà?»
«Se conoscessi la mia, non faresti questa domanda, fidati».
«Pensi che a bruciarti casa siano stati Cutrupa e Buscemi per come gli abbiamo risposto quando ci hanno quasi sequestrati?»
«No. E in quel caso saresti in pericolo anche tu».
«Mi tranquillizzi...»
«Ho altri nemici».
«Devo ricordarmi di non frequentarti più».
«Mi chiamavi solo per questo?»
«Sono riuscita a sapere da Vincenzo dell’intendenza chi ha accompagnato Vittorio Conversi qui al Globo».
«Spara!»
«Marcella Tavani».
Tavani, sotto la targa di Monti e Tognetti. Malinverno pensò che nulla accade a caso: erano ripiombati in piena Repubblica Romana e non lo sapevano? Gran donna, Giuditta Tavani Arquati.
«Ehi, ci sei? Tavani è il direttore di Charme...»
«Sì, certo, ci sono... lo so chi è Tavani».
«Non è il giornale per il quale lavora la tua amichetta?»
«Non è la mia amichetta. È una collega, nostra collega, e mia amica».
«Amica come quell’altra?»
«Non come Giulia Campisi, linguaccia. Viola è una brava persona».
«Ti risparmio le battute sulle tue frequentazioni, Leo, sarebbero troppo facili. Ma che può significare che una come Tavani venga nella nostra redazione?»
«Bisognerebbe chiedere a Orefici, perché non lo fai?»
«Potrai farlo tu. Mi ha incaricato di dirti che ti aspetta...»
La ricezione divenne difficile per il passaggio di una truppa infinita di turisti, capeggiati da una forsennata in tailleur blu e scarpe da ginnastica intenta a illustrare le meraviglie capitoline, con un ombrello aperto in una mano per farsi intercettare dagli ultimi della fila e il microfono nell’altra.
«Che dici? Chi mi aspetta?»
«Il direttore... l’Everest... oggi è stato tutto un viavai dal suo ufficio. Lembo è agitatissimo. Qualcosa bolle in pentola».
«Complimenti per il modo di dire originale. A proposito di pentola però, mi fai venire in mente che è ora di pranzo e ho una fame da lup... da leone, una fame da leone. Ci vediamo dopo».
«Ciao, Malinverno, a dopo... e vecchia dillo a tua sorella!»
Ripartì in scooter alla volta di un forno che conosceva, verso piazza Cavour, dove facevano una focaccia con la mortadella da resuscitare i morti.
La giornata sarebbe stata al solito molto lunga, aveva bisogno di energie. Chiese anche un bicchiere di rosso.
Faceva freddo, con un sole che però lo invogliò a sedersi all’aperto. A leggere la mazzetta dei quotidiani.
Venne interrotto dalle telefonate di un paio di redattori di talk show che l’avrebbero voluto in trasmissione. Gli inviti arrivavano su ogni argomento, in continuazione; ora invece si scatenavano tutti sul caso Restelli.
«No, grazie, quello che avevo da dire l’ho già scritto...» rispondeva ogni volta Malinverno, senza aggiungere che le eventuali notizie le avrebbe riservate al giornale.
In televisione, tra criminologi senza scrupoli e psichiatri predicatori, non aveva proprio voglia di andare.
Squillò ancora il cellulare e per poco non rispose male al vicedirettore Tommaso Lembo. «Ciao, vice, come va?»
«Tutto bene, tutto bene. Tu, novità?» aveva poca voce e una tosse secca.
«No, niente. Mi godo i giorni di libertà. So che il direttore mi vuol vedere, sai perché?»
«No. Non so niente, io» si schermì, con tono vagamente polemico. «Ti chiamavo per un’altra cosa. Vogliamo un pezzo, sull’incendio del tuo appartamento... a proposito, mi dispiace».
Alla buon’ora. «Lasciami pensare...»
«Che devi pensare?»
«Cerca di capire. Mi hanno proposto di farmi seguire da una scorta».
«Una scorta? Chi te l’ha proposto?»
«La pm Rolanda Falasca».
Lembo si attizzò. «Minchia, questa è una notizia!»
«Non voglio che si sappia. Non credo oltretutto che accetterò, se avessero voluto farmi del male l’avrebbero fatto».
«Che intendi dire?»
«Hanno atteso che la casa fosse vuota per darle fuoco».
«Ottimo spunto, scrivilo».
«Non mi va di fare autobiografia».
«C’era anche un cadavere. Scrivi di quello».
«Non so se posso, ne devo parlare con Jacopo Guerci».
Lembo tagliò corto. «Facciamo così, tu fai il pezzo e noi non diamo questo rumor».
«Quale rumor?»
«La proposta di assegnarti una scorta...»
«Sei un gran figlio di tr...»
Lembo chiuse la comunicazione prima di beccarsi l’insulto che meritava.
Il direttore di Charme leggeva qualcosa con i piedi sopra la scrivania. Gli fece cenno di entrare e di sedersi sulla sedia lì davanti, senza distogliere lo sguardo dai fogli.
In tailleur pantalone color crema, i capelli tagliati in un caschetto alla moda, con due ciocche bianche a incorniciarle il volto, e un orologio sproporzionato di foggia maschile al polso destro.
Senza ancora conoscerla, Malinverno decise che Marcella Tavani non era il suo tipo di donna.
Si decise finalmente a poggiare le carte e gli occhiali. «Ho poco tempo. Non so neanche perché ti ho fatto passare. Dimmi rapidamente, per cortesia».
Aveva raggiunto l’Eur, dalle parti del Palazzo della Civiltà Italiana ribattezzato ‘Groviera’ dai romani, senza aver fissato appuntamento. La segretaria, una specie di cavia da laboratorio tremebonda, l’aveva avvisato: «Le concede cinque minuti, non di più». Potevano bastare.
Optò per un più allontanante lei, anche se Tavani era andata diretta al tu. «La ringrazio. Sono qui per il caso Restelli».
«Ancora...» sbuffò. «Siete a corto di fonti al Globo?»
«Lei sa come funziona il nostro lavoro. Non bisogna tralasciare nulla».
«Scherziamo, il grande Leonardo Malinverno costretto a fare il lavoro di un praticante!» Si fece una gran risata.
Simpatica come un’otite. «Credo sia sempre meglio non prendersi troppo sul serio, signora».
«Mi chiami signora? Tra colleghi...»
«Abbia pazienza, non mi pare che lei stia rivelando un grande spirito di colleganza».
«Touché. Ho raccontato tutto quello che so a quell’ispettore... come si chiama?»
«Piranesi, forse».
«Ecco, lui, bravo. Di una pedanteria che fa spavento».
«Io non faccio parte della questura, faccio il giornalista, batto le mie strade».
«Non mi spiegare che cosa fa un giornalista. Sono iscritta all’Ordine da quando avevo vent’anni».
«Allora, per cortesia, saltiamo i convenevoli, andiamo al sodo» lo disse facendo percepire tutta l’insoddisfazione per il carattere che aveva preso l’incontro. «Abbiamo entrambi poco tempo».
Consultò il padellone al polso. «Io di certo. Avanti, chiedi quello che hai da chiedere».
«Come mai un settimanale femminile si occupa di un candidato sindaco?»
«Scherziamo? Di che cosa dovremmo occuparci, di uncinetto forse? Persino le donne, ti do una notizia, oggi si interessano di politica».
«Non è questo. Manderete la Ornaghi a intervistare anche il candidato di centrosinistra?»
«Adesso... non lo so, vedremo. Non ci ho pensato» strinse i pugni sul ripiano della scrivania. «Ma dovrei discutere il mio piano editoriale con te?»
«Proprio questo intendevo, Tavani, il fatto che lei non avesse il progetto di tenere in equilibrio i vari schieramenti mi dice molto».
«Che ti dice, Malinverno, sentiamo, sentiamo...»
«Che non è stata un caso la richiesta di intervista ad Ascanio Restelli».
«Non faccio nulla a caso, io, scherziamo?»
No, decisamente non era il suo tipo di donna. Anzi aveva dei dubbi che fosse in tutto e per tutto una donna; al di là del gradevole, fin troppo curato, involucro. Com’è che cantava Roberto Vecchioni? Stronza come un uomo. Aveva però un punto debole: la supponenza. Avrebbe fatto leva su quello.
«Vede, avevo ragione. Non fa nulla a caso. Dicevamo di Restelli...»
«Non devo spiegarlo a te. Avere la prima intervista di un personaggio come lui avrebbe messo a rumore tutto l’ambiente».
«Le serviva questo».
«Sì. Mi serviva... mi serviva».
«Non era una domanda, la mia. E le serviva anche Viola Ornaghi?»
«È una mia giornalista, che cosa vuol dire?»
«Sicura che fosse la persona giusta per affrontare il commendator Restelli?»
«Sì. Mi sembra ovvio, altrimenti avrei mandato un’altra».
«Non si è preoccupata che non avesse esperienza di servizi del genere?»
«Non credo alle specializzazioni. Un giornalista è un giornalista, uomo o donna che sia». Diede una fugace scorsa allo schermo del pc. «E Restelli era d’accordo con me».
«Restelli? Che c’entra Restelli? Discutevi le tue scelte redazionali con lui?» le domandò, passando senza avvedersene al tu.
«Non ho detto questo. Intendevo...» cercava le parole adatte. «Quando gli ho fatto il nome di Viola Ornaghi...»
«Il vecchio commendatore la conosceva?»
«No. Non la conosceva... non lo so, cioè. Non credo proprio. Se mi lasci finire... Mi stai confondendo». Era quello che Malinverno voleva. «Dunque, quando ho fatto il suo nome, Restelli non ha avuto nulla da ridire. Ecco cosa intendevo».
«Dubito che il vecchio mazza & cazzuola fosse lettore di Charme».
Reclinò la testa con uno sbuffo. «Questo avresti dovuto chiederlo a lui. Abbiamo finito?»
«Non ancora, Tavani».
«Tavani... Qui mi chiamano tutti direttore».
Non chiamo direttore neppure il mio direttore. Le risparmiò la battuta. «Non abbiamo ancora finito, direttore».
«Decisamente meglio così. Il fatto che una mia collaboratrice ti abbia chiesto aiuto non deve favorire nessun tipo di privilegio».
Si poteva finalmente giocare a carte scoperte. «Perché il suo pezzo è stato rimaneggiato, allora, se pensavate che Viola fosse la persona giusta?»
«Rimaneggiato?»
«Lei mi ha detto di aver raccontato nel suo articolo come aveva trovato il cadavere, privo dei globi oculari, cioè. Ma nel numero stampato questo dettaglio è stato espunto».
Si prese qualche secondo per organizzare la replica. O per far sbollire la rabbia. Quindi rispose parlando lentamente. «Insomma, non amo il giornalismo che si compiace di certi particolari morbosi. Ho deciso di evitare alle mie lettrici quel dettaglio efferato. Tutto qui».
«Tutto qui. Va bene».
«Non era un dettaglio da Charme... scherziamo?»
«Le fa addirittura onore» la assecondò.
La Tavani inforcò gli occhiali e riprese in mano i fogli. «La considerazione del famoso Malinverno non può che migliorare la mia giornata... e chi se l’aspettava!? Stammi bene».
Malinverno raggiunse la porta. «A proposito, Tavani... anzi, direttore, lei che ci faceva al Globo con Vittorio Conversi?» si voltò solo dopo aver formulato la domanda.
Aveva superato il limite. E se avesse potuto avrebbe fatto fumo dalle orecchie per lasciar defluire il risentimento verso quello sciagurato.
Lo scacciò con la mano come con una mosca insistente. «Vai, vai... Ti va di scherzare, roba da matti... Viene qui a farmi l’interrogatorio...»
«Glielo richiedo, tanto verrò a saperlo. Che ci faceva al mio giornale assieme a Conversi?»
«Sono cazzi miei» disse scrutandolo in tralice, da sopra le lenti dalla montatura glamour. «Fabiolaaaaa, fai uscire il signore. Non ci sono più per nessuno».