Più tardi, al Globo, Malinverno era in dubbio se raccontare a Pietro Orefici dell’incontro con la Miranda Priestly di Charme: un diavolo minore che neppure poteva vantarsi di vestire Prada. Più ci pensava e più si convinceva di quanto fosse odiosa. Stupidamente odiosa.
Qualcuno gli disse che l’Everest era di malumore, con evidenti ricadute su chiunque capitasse nel suo campo gravitazionale.
Il caporedattore dello sport, sapendo oltretutto di dovergli dare la brutta notizia della cessione del bomber dell’amata Inter agli inglesi, non osava entrare a chiedergli consiglio su come gestire un illustre collaboratore in vena di capricci.
Tommaso Lembo urlava al telefono con un povero corrispondente locale, mentre Carla Tesei l’aveva salutato a stento, abbassando subito la testa, per via di una ramanzina appena presa.
Meno male che c’era la segretaria Sonia Persichelli. Con le ciglione intermittenti, lo aveva messo a parte in breve di quanto accadeva nella redazione di piazza Fontana di Trevi.
Tutti tesi, impauriti, sulla graticola.
Malinverno scrisse di malavoglia il pezzo estortogli dal vicedirettore, imperniandolo soprattutto sulla figura di Nando Agatone.
Buttò giù l’incipit: Colpevole di aver passato a un giornalista amico le poche informazioni che aveva. All’uomo conosciuto nell’ambiente con il soprannome di Oki, ridotto ormai dalla malavita a un ruolo del tutto marginale, hanno riservato una fine tremenda. Si indaga negli ambienti della ’ndrangheta, collusa con la delinquenza romana.
Per essere preciso, telefonò poi al medico legale. Seppe così che dopo averlo pestato con una spranga fino a fargli perdere i sensi, lo avevano cosparso di benzina e fatto bruciare. Era passato in tal modo dall’incoscienza comatosa alla morte. Malinverno sperava che gli fosse stata risparmiata almeno l’indicibile sofferenza di ardere vivo.
Gli appartamenti si ristrutturano, gli oggetti si ricomprano: l’aspetto più dolente di tutta la faccenda era senza dubbio la violenza su Nando Agatone. Non lo scrisse, ma fece percepire il senso.
Stampò l’articolo e lo passò a Lembo che stava lasciando l’open space dopo il giro ai box dei redattori. «Godi, vice!»
Poi allungò la testa nel bugigattolo della sua vicina di scrivania. «Ti è passata, Carla?»
«Cosa mi è passata?»
«L’incazzatura, ti è passata?»
«Figurati, sai che me ne frega!? Lembo ha le mestruazioni... ma non è colpa sua. Sta succedendo qualcosa qui, e non penso che sia bella».
«Ho incontrato Marcella Tavani».
Il racconto dell’amico, fatto a bassa voce, le tolse il malumore. «Ah, finalmente qualcuna che ti tiene testa... Mi fa troppo piacere, ’sta cosa!»
«La solidarietà femminile, che grande inganno è. Se ho ragione, avrai di che pentirtene».
Si diresse verso il corridoio che portava in bocca all’ufficio di Pietro Orefici.
«Salve, capo!» entrò baldanzoso.
Un grugnito fu la risposta del direttore. «Possibile che tu abbia sempre tutte ’ste energie? Con quello che ti capita!?»
«Pure tu... Le case si rifanno, sai?» lo schernì, con un gran sorriso. «Se fossi bruciato io sarebbe stato più complicato».
«Lembo mi ha detto che scriverai un pezzo, grazie».
Scorretto due volte: non era una richiesta del direttore. «Già fatto».
«Grazie, grazie. Ci serve molto, terrà alte le vendite». Lottando con la pancia debordante che glielo impediva, raggiunse la pipa sulla scrivania e prese a caricarla. «Lo strilliamo in prima pagina».
Era galvanizzato, meno male che alla fine l’aveva scritto, quel maledetto articolo. «Non mi piace tanto parlare di me».
«Che problema c’è? Non siamo nell’altro secolo. È così che oggi si diventa una firma» decretò armeggiando con l’accendino.
«O capitano, mio capitano... vuoi che salga sulla scrivania?» Riuscì a farlo ridere, ma era ilarità velata da preoccupazioni. «Mi hai chiamato per darmi consigli professionali o altro?»
In breve il fumo denso e aromatizzato della pipa aveva nascosto il direttore alla vista di Malinverno. Tutto dire, considerata la stazza.
Orefici tossì, si schiarì la voce. «Ti saranno arrivati all’orecchio dei pettegolezzi...»
Malinverno non si fece agganciare, limitandosi ad aggrottare la fronte, e quello proseguì. «Bene. Sono stati qui Vittorio Conversi e la sua consulente editoriale... Marcella Tavani» pronunciò il nome dopo aver attratto a sé un appunto.
«So chi è».
«Tavani o Conversi?»
«So chi sono entrambi».
«Bene, allora. Possiamo andare al dunque. Per ragioni che non ti sto a dire, tempo fa mi ritrovai a firmare una fideiussione in favore di mia moglie e Conversi ora vorrebbe passare all’incasso rilevando le mie quote del Globo».
«E la Tavani cosa c’entra?»
«Be’, lei è quella che lo aiuta a muoversi nel mondo editoriale. Lo ha fatto anche con L’Eco d’Italia, quando hanno cacciato il direttore storico per metterci Saro Currò... Per queste cose utilizzano l’Editoriale Olimpo, che hanno fondato assieme».
«Perché mi sembra che tu abbia altro da dirmi?»
Orefici tossì di nuovo e girò lo sguardo oltre la finestra a un solo grande battente. «Forse hanno ragione loro, sai? Sono vecchio, magari è meglio lasciare a uno più fresco, nel pieno delle forze...»
«A uno... o a una, capo?»
Orefici roteò gli occhi bovini. «La Tavani ti sembra adatta a dirigere Il Globo?»
«Non è questa la domanda. In verità l’ho conosciuta oggi pomeriggio e credo che l’ambizione non la faccia dormire... ucciderebbe il fratello, se servisse alle sue mire».
«Ripeto, pensi che potrebbe dirigere Il Globo?»
«Il settimanale femminile le va stretto, si vede dai pezzi che propone... guarda l’intervista al commendator mazza & cazzuola... non vede l’ora di mettersi in salvo da quella che considera una palude professionale».
Il direttore sbuffò come una vecchia caffettiera. «Devo rifarti la domanda, Malinverno?»
«Credo di sì, sarebbe adatta. Ma che importa, se ci sei tu?»
«Potrei non esserci più, mica sono un highlander».
«Questo puoi deciderlo soltanto tu, capo».
Orefici deviò il discorso. «Com’è che oggi hai incontrato la Tavani?»
«Per un’idea che mi sono fatto e che devo verificare. Appena avrò la certezza, ti riferirò tutto» optò per una mezza verità.
Ci mise qualche secondo per riuscire a formulare la domanda. «Vuoi assumere tu la direzione del Globo?»
Per poco Malinverno non cadde dalla poltrona dov’era seduto. «Che dici, dove sono le telecamere nascoste? Siamo su Scherzi a parte... vero?» si guardava intorno.
«Senti, l’idea che il mio giornale finisca nelle grinfie laccate di quella megera mi fa star male... Oltretutto, io non sto bene, dovrei perdere trenta chili, smettere di fumare. Non respiro più, lo senti».
«Lo sento, ma cosa c’entra con il giornale?»
Alzò la testa e il mento, della consistenza di un budino, ballonzolò. «Chiudi la porta, per cortesia». Poi riprese, con l’affanno che aumentava: «Mia moglie si è indebitata alle carte per cinquecentomila euro, nel giro di Paolina Dell’Arca. Vittorio Conversi ha provveduto a saldare tutto e ora vuole rivalersi con quella mia fideiussione perché dice di avere urgente bisogno di liquidi».
«Non puoi chiedere un prestito alla banca?»
«Non me ne concedono più, sulla mia casa, che mi è costata tre volte la cifra di cui parliamo, ho l’ipoteca del mutuo. Mia moglie ha voluto una barca di venti metri l’estate scorsa... Insomma, te la faccio breve, sono pieno di debiti» tossì a lungo.
«E come posso aiutarti io, assumendo la direzione del Globo?»
«Non sono solo direttore del giornale, ne sono anche editore, come sai. E passando a te la direzione potrei far risultare che ti ho ceduto le mie quote con un atto notorio privato».
«Hai un notaio disposto a far questo?»
«Ce l’ho, certo che ce l’ho».
«E servirà?»
«Servirà almeno a ritardare la morte del Globo».
«Perché io?»
«Che significa perché io?»
«C’è Lembo, lui è nato per fare il direttore. Io non sono adatto, voglio solo scrivere, andare in giro, raccontare storie».
«Ti sei dato la risposta da solo. Per il mio giornale voglio uno come te, non un qualunque travet della notizia».
Malinverno tacque, finché non gli riuscì di dare un ordine ai pensieri. «Non posso darti una risposta oggi, lo capisci. Una responsabilità del genere cambierebbe tutta la mia vita».
«Sì, lo so. Io però ho bisogno di sapere se posso contare su di te. Non voglio passarti la patata bollente, solo capire se sei pronto a gestirla».
«Direi di no, che non sono pronto, né mi interessa».
«Mi dispiace. Era l’unico modo per non consegnare il giornale a gente senza scrupoli, che utilizza la stampa per i suoi porci comodi» parlò con un tono affranto, come se avesse esaurito la carica. «E non c’è molto tempo, accadrà presto».
«Facciamo così...» Malinverno volle andargli incontro, lasciargli una speranza. «Tu mantieni la posizione. Se ti accorgi che gli eventi precipitano, accetto la direzione».
Orefici parve riprendersi. «Sei un giornalista valoroso, oltre che una persona di coscienza, lo so fin da quando ti assunsi».
Non mi era sembrato. «Fai le tue mosse, capo, ma ricordati che è un impegno di facciata. Già fatico a gestire me stesso, non voglio ritrovarmi a trattare con il comitato di redazione o i sindacati. Non fa per me».
Si strinsero la mano.
Tornando dalla Tesei, a Malinverno venne in mente Ascanio Restelli. Se lo figurava come un pugno che avanza, stretto e minaccioso, cercando di piegare il mondo. In un modo o nell’altro, magari per mano di un antico sodale, continuava a farlo anche da morto.
«Me ne vado a casa, Carla».
«E non mi racconti niente?»
«Non posso» non c’era stato bisogno che l’Everest gli raccomandasse discrezione. «Scusami».
«Ti vedo perplesso».
La guardò. «Sì, chiunque altro avrebbe detto che sono preoccupato... ma la perplessità si avvicina meglio al mio stato d’animo attuale. Ti giuro che appena potrò ti racconterò tutto. Sai qualcosa della Editoriale Olimpo?»
«È quella del giornale di Currò».
«No, intendevo se sai dell’assetto societario, chi c’è dietro...»
«Posso indagare».
«Ecco, brava, ci conviene. Dai retta».