Al contrario di quanto si sarebbe aspettato, Viola accettò subito di andare a Tarpasso.
Malinverno non la sentì sospirare. Avvertì però in modo netto la sensazione di sollievo che la sua telefonata aveva prodotto nell’amica. «Vengo volentieri. Sono appena ritornata a Roma e temevo che mia madre mi obbligasse ad andare da loro. Sarò molto felice di poterle dire che ho un altro impegno. Sei sicuro che non farò da terzo incomodo?»
La rassicurò. «Carla è solo un’amica e collega, staremo bene».
«In questo caso, va bene!»
«Mi fa piacere. Ti spiego la strada?»
«Ecco, questa è l’unica cosa che mi preoccupa... Sono sicura che mi perderò. Io sono come i somari, faccio sempre gli stessi percorsi, altrimenti mi perdo».
Si era aspettato che potesse avere quel problema. «Se vuoi chiedo a Carla di passare a prenderti. Che ne dici?»
«Dico che sarebbe fantastico».
«Unica raccomandazione. Portati abiti pesanti perché la casa non ha riscaldamento».
Malinverno aveva chiesto a una donna del posto di fare le pulizie per bene e di preparare le stanze.
Ci pensò Palù a inzaccherare il pavimento con le zampette fradice. Arrivarono nel primo pomeriggio, mentre cadevano i primi fiocchi di neve sui ciottoli medievali della rocca. Viola aveva i capelli raccolti con uno spillone. Quell’avvenenza incurante di sé che lo faceva impazzire.
Da basso, il camino era acceso dalla sera prima e la temperatura accettabile. Nonostante le stufe a cherosene, di sopra purtroppo l’escursione termica era notevole. Aveva, per fortuna, una dotazione di coperte, trapunte, piumini sufficienti a sopravvivere alla notte artica.
«Che bello qui, fa molto Natale» disse Viola, guardandosi attorno.
«Sì, bello... se stai attenta a non farti sbranare dalle bestie feroci».
«Non ce ne sono, di bestie feroci, Viola... tranne Carla, ovvio» disse divertito Malinverno.
«Ma ti prego, raccontami del tuo appartamento a Roma... Carla mi ha detto...»
«Perché, non lo sapevi?»
«Come potevo? Come sai ero al mare, senza giornali, e nel biglietto non spiegavi molto».
Malinverno tralasciò di farle notare che avrebbe potuto telefonare per sapere come mai avesse lasciato il Circeo in piena notte. Le raccontò tutto.
«Che cosa brutta» commentò Viola. «Che periodaccio! Quando finirà?»
Offrì loro tè caldo con i biscotti fatti in casa che la vicina gli aveva portato appena aveva visto le finestre della torre spalancarsi.
Notò con piacere che durante il tragitto da Roma Carla e Viola avevano simpatizzato. Erano così diverse, una brusca e maschile, l’altra svagata e delicata: dovevano per forza piacersi.
Dopo che si furono sistemate nelle rispettive stanze, Viola chiese di fare un giro in paese. «Ho voglia di sgranchirmi le gambe».
Carla era d’accordo. «Dai, andiamo a vedere usi e costumi degli autoctoni».
La casa di Malinverno era su una stradicciola in pendenza, sotto alla piazza principale con la chiesa del Settecento. Si inerpicarono per i vicoli, sbucando in slarghi e piazzette deserti, su cui si affacciavano le finestre dissestate di abitazioni in rovina. Rari i comignoli da cui fuoriuscivano riccioli di fumo.
Quando arrivarono alla sua cantina, appena Faustina intravide Malinverno e le amiche al di là della porta a vetri, li invitò a entrare per un bicchiere di vino caldo. In attesa che la raggiungessero figli e nipoti, la donna, con un fazzolettone rosso in testa e la vestaglietta a fiorellini sugli abiti pesanti, friggeva le zeppole in un calderone di ferro. Gliene mise un po’ in un sacchetto.
E incartò per loro un pezzo di torta di pane. «Qui nun se butta gnente, sa’! Auguri, auguri...» li salutò.
Ora nevicava forte, la temperatura era scesa sotto lo zero. Si fermarono ad ammirare le luci degli agglomerati urbani in lontananza, oltre la valle boscosa da cui spirava un vento che tagliava il fiato.
«Grazie, Leo» disse Viola a Malinverno che le sistemava la sciarpa attorno al collo.
Carla Tesei evitò di infierire con un commento ironico. Si allontanò un poco, invece. Approfittando della distrazione degli altri raccolse un po’ di neve e ne fece una palla, che colpì Malinverno sulla testa.
«Farabutta, mi prendi alle spalle... ora vedi» si chinò e lanciò a sua volta una bomba di neve.
Si unì anche Viola alla battaglia, con Palù che correva dall’uno all’altra abbaiando. Si divertirono come ubriachi.
Ormai era buio e per tornare alla torre, considerato che l’illuminazione pubblica era prevista solo in piazza e sul corso, Malinverno dovette accendere la torcia. Continuarono tra battute e risate fino a casa.
«Ora devo mettermi al lavoro, altrimenti... addio cenone. Voi trovatevi qualcosa da fare».
«Io metto un po’ di legna nel camino» si offrì Carla.
«Io penso alla musica» disse Viola, prendendo dei cd. «Cos’hai qui? Sings Christmas di Ella Fitzgerald, mi sembra che possa andare...»
«Dovrei aver portato anche quello di Nat King Cole e Dean Martin» gridò Malinverno dalla cucina.
Le note di O holy night già si diffondevano.
Con la sola luce del fuoco ben alimentato, la soavità della voce di Ella, le amiche davanti al camino a chiacchierare...
Non potrebbe essere un Natale migliore. Malinverno versò alle amiche del prosecco nei bicchieri giusti e fece passare il cestino delle zeppole con i pezzetti di acciughe di Faustina.
«A cosa brindiamo?» chiese Carla.
«Brindiamo a noi».
«Brava, Viola. Buon Natale!» disse Malinverno.
«Buon Natale!»
«Auguri!»
Accidenti, quasi se ne dimenticava... l’acqua bolliva, doveva tuffarci l’astice. Lo fece con il consueto dispiacere per il crostaceo.
La salsa con il battuto di scalogno cuoceva allegramente in padella, mentre cozze e vongole dischiudevano le valve in altre casseruole. La considerevole capienza del fornello, a differenza di quelli moderni di città, gli consentiva di procedere in modo spedito con più cotture.
A tavola, davanti alla finestra da cui si godeva la spettacolare nevicata, le donne mostrarono di gradire molto il menu: guazzetto di cozze e vongole, tartine con crema calda di gamberi, linguine all’astice.
«Meglio che in qualsiasi ristorante, e bravo, Leo».
«Sì, sì, bravo, ma posso avere un altro po’ di pasta?» chiese Carla. «Non ho problemi di linea, io...»
«Ah, neppure io...» ribatté Viola, porgendo il suo piatto.
«Con esiti diversi, purtroppo...»
Malinverno si compiacque della loro voracità. «Ce n’è per tutti, tranquille. Vedo che l’aria buona di Tarpasso vi ha messo fame».
Aprì la seconda bottiglia di vino e lo versò nei bicchieri.
Dopo cena, mangiarono una fetta di panettone davanti al camino.
Continuarono a chiacchierare finché non udirono lo scampanio che annunciava la mezzanotte.
«I regali!» disse Viola saltando in piedi.
Solo allora Malinverno realizzò di non aver comprato nulla alle amiche. Aveva pensato a tutto, non a quello.
«Io non vi ho fatto regali» rispose, mentre già salivano di sopra a prendere i pacchetti.
Li scartò sentendosi allo stesso tempo in colpa e felice per l’affetto che gli dimostravano. Viola gli aveva preso un golf di cachemire, Carla un cardiofrequenzimetro da polso.
«Così non rischierai l’infarto prima dei cinquanta nelle tue maratone».
Si scambiarono baci sulle guance. «Grazie... grazie...»
Dopo pochi minuti Viola dormiva, rannicchiata sul divano come una gatta sazia di carezze. Carla andò fuori a fumare, seguita da Malinverno e da Palù.
«È bella, la tua amica, diamine...» se ne uscì all’improvviso in una nuvola di fumo e di vapore prodotto dall’alito caldo. «È bella ed è anche dolce».
«Lo dici quasi con dispiacere, mi pare».
«E certo. Se fossi nata come lei, la mia vita sarebbe stata completamente diversa».
«Non credere, ha un sacco di problemi anche lei».
«Ma non quello dell’aspetto».
«Non ho mai pensato che fosse prioritario per te».
«Lo è stato. Ora sono passata, Leo».
«Smettila. Sei in grado di tenere testa a mille come Viola».
«Dici? Sarà che sono stanca. Appena finisce l’emergenza sul caso Restelli, voglio prendermi un periodo di riposo. Ho parecchie ferie arretrate».
«Sempre che Lembo non ti faccia storie».
«Me ne fotto. Se mi farà storie mi licenzierò».
Chissà che prima non ci mandino tutti a casa, ribatté tra sé Malinverno. «L’omicidio Restelli è lontano dalla soluzione. Prima di prendere decisioni drastiche, avremo tempo di riparlarne».
«Non li capisco mica quelli che temono la pensione. Io starei benissimo... magari tra i selvaggi di un posto come questo».
«C’è tempo anche per la pensione, Carla. Hai scoperto qualcosa dell’Editoriale Olimpo, piuttosto?»
«Non molto. Ho chiesto di indagare a un mio amico avvocato, esperto di diritti societari. Anche lui ha tirato fuori poco o niente, tranne che fa capo a una società denominata Euroimpianti S.r.l.».
«Tutto qui?»
«Rientriamo, che sto congelando». Al camino proseguirono sottovoce. «Il mio amico mi ha spiegato che è il solito meccanismo delle scatole cinesi, per due o tre passaggi si riesce a rimanere ancorati a Vittorio Conversi, poi se ne perdono le tracce».
«E di questa Euroimpianti cosa si sa?»
«Niente, come ovvio. È usata come nome di facciata. Non risultano altre attività, dal 2010, anno di costituzione, fino all’acquisto dell’Eco d’Italia».
«Strano...»
«Posso sapere perché t’interessa? Conversi e la Tavani mirano, per caso, a portare anche Il Globo sotto il controllo dell’Editoriale Olimpo?»
Non poté negare. «Brava, ci hai preso in pieno».
«Conversi è come dire Restelli. Posso capire che al vecchio Restelli interessasse avere dalla sua parte più stampa possibile in vista della candidatura, per garantirsi una forte potenza di fuoco mediatico...»
«Anche da morto?»
«Ci stavo arrivando. Anche da morto? Ci dev’essere dell’altro sotto».
Viola si mosse, emettendo un lamento. Carla accennò con la testa a lei. «La invidio, sai?»
«La invidi? Perché?»
«Intanto perché dorme. E, come sai, io faccio una gran fatica a prender sonno... E poi la invidio perché ancora può fare tutto della sua vita...»
Malinverno sospirò, rivolto al camino, spostando la legna con l’attizzatoio. «Se solo lo sapesse...»
«Sta a te farglielo sapere, mio caro».
«A me... Che dovrei farle sapere?»
«Che la ami».
Rimase in silenzio qualche istante di troppo. «È sposata, Carla, e ama suo marito. Anche se non se ne rende conto».
«Lo sapevo, lo sapevo... Oh gran bontà de’ cavallieri antiqui! Ti mancano solo l’armatura e il cimiero...» rideva e applaudiva senza emettere suoni.
«Tu sei matta, Carla».
«Sono matta?» Lo fissò negli occhi. Poi gli batté una mano sulla spalla. «Sì, forse sono matta. Dammi retta, però... non fartela sfuggire».
E salì di sopra.
Non fartela sfuggire. Malinverno rimase a guardare Viola: neppure le ombre delle fiamme riuscivano a farla apparire brutta.
Chissà da quale bel sogno le era suscitato quel sorriso a fior di labbra.
Non gli andava di svegliarla per farla salire in camera. Lì sarebbe stata anche più al caldo. Sprangò porta e finestre, e le poggiò una coperta addosso. Sarebbero stati ancora insieme, almeno l’indomani.