Trovò Evelina Orefici davanti al villino di Monteverde dove abitava con il marito, direttore del Globo. Il suo direttore. Anche se per il momento Leo Malinverno non voleva pensare a quel dettaglio.
«Buongiorno, signora Orefici...»
Gli faceva strano chiamare signora una che sembrava non avere neppure trent’anni. Indossava un pellicciotto corto, che le metteva in evidenza il considerevole posteriore. Aveva capelli molto lunghi e orecchini vistosi.
«Chi è lei, mi scusi?» cercava di aprire il cancelletto, impedita da una quantità di buste e pacchetti di varie boutique.
Si presentò.
«Ah, il grande Malinverno... Guardi ho poco tempo, devo uscire di nuovo».
«Ho bisogno di pochi minuti, abbia pazienza».
La domestica, con abito nero e grembiule candido, le andò incontro sulle scale esterne.
«Va bene, si accomodi. Mi dia il tempo di andare in bagno e sono da lei».
Il salone era invaso di luce, a dispetto del cielo nuvoloso. Arazzi indiani a tutta parete, qualche oggetto d’arte ben scelto, molti fiori nei vasi. Nel complesso un ambiente sobrio: non se lo sarebbe aspettato.
«Eccomi, dimmi tutto».
«Signora, vorrei prima darle un suggerimento...»
«Signora? Diamoci del tu, per cortesia».
«Come vuoi...» gli parve, tutto sommato, naturale vista l’età dell’interlocutrice. «Ma vorrei tenere per noi questa chiacchierata, non serve che tuo marito ne venga a conoscenza».
«Non capisco la tua richiesta. Dovrei tenere segreto il nostro incontro?»
«Ti conviene, sì. Ci conviene».
Il fastidio di quella proposta le fece serrare i denti. «Andiamo al sodo, per cortesia, non ho molto tempo, come ti dicevo».
L’accontentò. «Vorrei sapere del tuo rapporto con Ascanio Restelli, che come sai è morto ammazzato».
Stava decidendo come e cosa rispondere. E il conflitto che viveva non doveva essere impegno da poco, a giudicare dall’immobilità del viso. «Andavamo a letto, scopavamo, niente di più. Dalla sua morte ho tutto da perdere» rispose alla fine.
Dal che valutò che Evelina era meno sciocca di quello che si sarebbe detto. Quella domanda diretta presupponeva che lui sapesse: negare non sarebbe servito a nulla. Il coraggio e la determinazione non le facevano difetto.
«Dici che hai tutto da perdere... Mettiamo il caso che una donna giovane, bella, piena di vita si fosse stufata del rapporto con un uomo tanto più vecchio. La sua morte non sarebbe stata una perdita».
La replica fu prontissima. «Dimentichi che ho sposato un altro uomo vecchio. Non faccio fuori tutti i maschi sopra ai sessanta che mi porto a letto».
«Perché lo fai?»
«Perché ho sempre saputo che il mio corpo sarebbe stato l’unica chance di ascesa sociale. Mio padre era bidello in una scuola di periferia, mia madre una sartina. Per me volevo un’altra vita. Mi hanno fatto studiare ma non basta, lo sappiamo».
Le indicò il bracciale di zaffiri. «Quello?»
«Regalo di Ascanio».
«Il suo marchio...»
«Quante cose sai, Malinverno! Glielo ho chiesto io, volevo che tutta Roma sapesse che ero la sua donna».
«E se fosse stato lui a stufarsi, come era accaduto in passato con altre?»
«Qual è il problema? Non lo amavo mica... a quel punto gli avrei chiesto la giusta liquidazione. Così, invece, mi ha lasciato all’asciutto».
Malinverno sapeva che si riferiva ai debiti di gioco, ma tralasciò l’argomento. «Che uomo era, Evelina? Con te era gentile?»
«Ascanio mi desiderava. Molto. Non era gentile, non mi amava, mi trattava come un miracolo inatteso... sai, un uomo di quell’età, che sente di essere agli sgoccioli...»
«Ti ho chiesto che uomo era...»
«Era un uomo. Non mi sono mai interrogata su come fosse. Sarà perché non mi aspetto niente dagli uomini e credo che ormai non sarò più smentita...»
Campionessa di cinismo alla tua età. «Chi lo sa, magari ti ha ricordata nel suo testamento».
«Ho firmato il suo testamento, come testimone. Ho letto il nome di un’altra donna, non il mio...»
«Come, come? Un testamento olografo?»
«Non so, non conosco questo termine. Mi ha chiesto di firmare e ho firmato».
«Senza leggerlo?»
«Senza leggerlo».
«Hai detto che c’era il nome di una donna...»
«Firmando mi ci è caduto l’occhio. Nient’altro».
«E chi è la donna?»
«Non saprei proprio dirtelo, mi spiace. Non lo ricordo».
«Quando è accaduto? Quando hai firmato il testamento?»
«Due mesi fa circa... sì, il 13 di novembre».
«Non ricordi il nome della donna, ma ricordi con precisione il giorno della firma. Com’è?»
«Il 13 novembre è il mio compleanno. Quello stesso giorno mi ha dato il bracciale di zaffiri. Mi ha detto: io faccio un regalo a te, tu lo fai a me».
«E c’era un altro testimone?»
«Non in quel momento. So che in seguito avrebbe fatto apporre la firma anche a un suo uomo di fiducia».
«Vittorio Conversi?»
«Conosci anche Conversi? Sì, mi disse Ascanio che lo avrebbe fatto firmare a lui».
Jacopo Guerci aveva fatto chiamare l’amico Malinverno urgentemente in Questura.
«È stato Rocco Salnitro, ormai è chiaro. È lui il responsabile della strage a villa Restelli. Ha ucciso tutti, tranne i cani, le due femmine di rottweiler» disse svapando la sigaretta elettronica come una locomotiva.
Gli raccontò della sparatoria al canile abusivo di Torre del Pineto.
«Mi spiace per Cagliesi» commentò Malinverno. «Niente di grave, spero».
«Se la caverà, se la caverà. Per fortuna quel bastardo l’ha preso in un punto non vitale... fortuna anche che abbiamo potuto confrontare i proiettili».
«Coincidono?»
«Certo. Quello di Cagliesi, quelli di Valletti e della Pinna e quelli che Terenzi era riuscito a estrarre alle due cagne prima che le trafugassero sono identici».
«Coincidono anche con quelli usati contro Fabio Massimo?»
«Sì, sì. Anche quelli coincidono».
«Non mi pare però opera di un professionista...»
«Cosa te lo fa dire?»
«Intanto non ha precedenti penali, altrimenti mi avresti informato subito. Un professionista avrebbe colpito Cagliesi in modo definitivo e avrebbe messo a segno anche gli altri colpi».
«Stesso discorso vale per Fabio Massimo Restelli».
«Avrebbe potuto ucciderlo e non l’ha fatto... Abbiamo inoltre scoperto che Rocco aveva una moto, mezzo con cui si svicola agilmente nel traffico, e per gambizzare Restelli Jr ha usato la stessa macchina adoperata per raggiungere la villa del vecchio? Mi sembra più che altro un modo per attirare l’attenzione su di sé...»
«Hai ragione. Anche il tipo di revolver... non è di quelli in uso attualmente».
«Giorni fa mi dicevi che potrebbe essere una sorta di residuato bellico...»
«Un calibro 9 modificato, forse ridotto a 7.65, a cui deve essere stato applicato un silenziatore. Perché nessuno dei vicini di Restelli ha udito colpi d’arma da fuoco la notte degli omicidi».
«Devi sapere che in casa Salnitro vive il vecchio nonno, che di cognome fa Sgreccia, reduce della Seconda guerra mondiale. Rocco potrebbe aver preso la sua pistola, tenuta come cimelio... è facilmente verificabile».
«Rimane il problema del movente... tu mi hai detto che la sua famiglia sta nelle case costruite dalla Euroimpianti?»
«Costruite dalla Agave di Ascanio Restelli e controllate da Euroimpianti».
«Ne deduciamo che Euroimpianti è una consociata della Agave».
«Sì. E i Salnitro erano costretti, come tutti nella borgata, a pagare sia l’affitto ufficiale all’Istituto Case Popolari del Comune sia il pizzo della Euroimpianti. Lì per lì non gli ho dato il giusto peso, ma Assuntina Sgreccia mi ha parlato di esattori per conto di Euroimpianti. Uno di questi credo possa essere Dario Ussi».
«Il giardiniere del vecchio Restelli?»
«Ha detto che era uno tatuato, calvo, una faccia poco raccomandabile. E poi mi ha fatto il nome di Nazzareno».
«Nazzareno Valletti? Quando pensavi di informarmi?»
«Ammetterai che, prima di conoscere questo Rocco, il coinvolgimento di Nazzareno poteva al massimo confermarci nell’opinione che già avevamo del commendatore mazza & cazzuola».
«Pensi che Salnitro abbia fatto fuori i custodi e Restelli per vendicare il padre?»
«Penso di sì, anche se...»
«Che rimugini?»
«La madre non se la passa per niente bene e io le credo. Ho visto il loro appartamento, miserrimo. Ma lui si è potuto comprare la moto, è nel giro grosso del traffico internazionale di droga...»
«Restelli era nel giro grosso, Salnitro è solo una molla dell’ingranaggio».
«Già, ma qualche soldo gli avrà fruttato, il giro dei cani... e maneggiando molti contanti permette che il padre si suicidi, strozzato dall’estorsione?»
«Forse ha provato a suggerire al padre di non preoccuparsi, che l’avrebbe aiutato con i suoi risparmi, e il padre, se davvero sono persone per bene come dici, non ha retto il peso di un figlio degenere».
«Proprio quello che pensavo. Salvatore Salnitro si è suicidato per colpa del figlio trafficante... il quale per senso di colpa e per sviare i sospetti ha scritto quei volantini».
«Adesso i volantini...» quando era irritato Guerci accentuava l’accento fiorentino. «Da dove spuntano... volantini?»
«Te l’ho detto, non ho valutato come meritava l’incontro con Assuntina. Scusami, mi sembrava una donnetta poco significativa ai fini delle indagini. Ma non sapevo che fosse la madre dell’assassino...»
Guerci si spazientì. «Dimmi di questi volantini».
«Pare che Rocco, due giorni dopo il suicidio del padre, avesse disseminato volantini di pseudo denuncia contro chi l’aveva costretto a quel gesto. Gli emissari della Euroimpianti li hanno però fatti sparire prima che arrivassero a stampa e polizia».
«Il minimo sindacale da parte di un figlio che sa di avere parte in tragedia. Un tentativo un po’ ingenuo di insinuare dubbi, di sviare i sospetti. Pensi questo?»
«Sì. Anche perché l’unico volantino che aveva Assuntina lo ha fatto sparire lo stesso Rocco. Magari minacciato dagli uomini di Restelli».
«Peccato che siano solo ipotesi o al massimo prove indiziarie. Potremo verificarle con il diretto interessato, quando e se avremo il piacere di parlarci».
«Hai diramato l’ordine di arresto?»
«Certo, lo stanno cercando polizia e carabinieri».
«Prima hai detto che Salnitro ha ucciso tutti, tranne le due rottweiler...»
«Sì. Lo stub ha accertato che Nazzareno Valletti ha sparato con la stessa pistola che ha ucciso lui e colpito la moglie. Deve essere stato Nazzareno a dare il colpo di grazia ai cani, mentre è impossibile per i rilievi balistici che abbia rivolto la pistola verso di sé...»
«Per cui è stato Rocco Salnitro. Ciò non vuol dire che abbia anche scannato e cavato gli occhi al vecchio».
«Non vuol dire, ma neppure possiamo escluderlo».
Sulla scrivania di Guerci erano disseminate le fotografie di villa Restelli.
Malinverno ne prese una, quella dello studio. «Non riesco ancora a capacitarmi che non ci fossero documenti nella stanza dove il commendatore mazza & cazzuola lavorava».
«Il plico che gli era stato consegnato nel pomeriggio l’avrà portato via l’assassino».
Malinverno prese un’altra foto, quella del retro della casa dei custodi. La sua attenzione fu catturata da un particolare. «Toh, guarda qui, non noti nulla di strano?»
Guerci osservò lo scatto con grande attenzione, poi alzò lo sguardo enigmatico sull’amico.
«Il piede di porco, vicino al cespuglio di sambuco...»
«Non capisco».
«Perché l’attrezzo utilizzato per forzare il cancelletto pedonale di villa Restelli è stato gettato all’interno della villa, a tre metri buoni dal medesimo ingresso?»
«Che significa? Uno forza la serratura, poi entra nel giardino e molla il piede di porco...»
«Dovendo anche maneggiare una pistola? Poco probabile... Hai una foto in dettaglio del cancelletto?»
«Eccola».
«Come pensavo. Guarda qui, il cancelletto è stato forzato dall’interno» gli rigirò la fotografia.
«Cazzo, hai ragione».
«L’ennesima prova che Rocco Salnitro, se come crediamo è stato lui, conosceva i cani. O non avrebbe potuto agire a suo piacimento nel loro territorio».
«Poteva essere stato lui a prelevarli pieni di droga e a portarli a villa Restelli. Sempre lui era incaricato di svuotarli e consegnare la droga a chi doveva. Lo faccio mettere a verbale, per la pm Falasca».
«A proposito di foto, tieni questa di Rocco Salnitro che ho preso dall’album di famiglia. Ti potrà essere utile per le ricerche».
«Sei un uomo pieno di risorse. La faccio diramare subito».
«Aver fatto il cronista di nera mi è servito a qualcosa».
«Adesso non ci rimane che trovarlo».
Aveva ragione Guerci, Vittorio Conversi era un uomo raffinato. Tutt’altra pasta rispetto al vecchio Restelli, tanto che difficilmente lo si poteva immaginare coinvolto nei traffici del commendatore mazza & cazzuola.
Somigliava vagamente all’attore David Niven, un poco più massiccio: sulla settantina, con gli stessi baffi sottili, i capelli ravviati all’indietro e lo sguardo intelligente.
Carla Tesei ne sembrò subito affascinata. «Grazie di averci ricevuto, dottor Conversi, è venuto con me anche il collega Malinverno».
«Bene. Sono lieto di fare la vostra conoscenza, leggo sempre Il Globo e ovviamente i suoi libri, Malinverno. Accomodatevi».
Carla precedette l’amico. «Molto gentile, grazie».
Abitava dalle parti di via Nazionale, appartamento sontuoso, arredato con mobili moderni di legno chiaro. Seduto alla scrivania dello studio, alle sue spalle nuotavano decine di pesci variopinti in un gigantesco acquario incassato nel muro.
«Non so proprio come posso esservi utile. Quello che sapevo l’ho detto alla polizia».
«Anche noi abbiamo delle domande per lei».
«Va bene, signora Tesei, mi spiace solo di potervi dedicare poco tempo» si aprì a un gran sorriso. «Mia moglie mi ha organizzato una cena con amici e tra non molto devo andare a prepararmi, sa come sono le donne...»
Per la verità sembrava prontissimo, d’aspetto florido, in doppiopetto blu e camicia immacolata.
Entrò il domestico filippino con un vassoio: bicchieri per il prosecco, tenuto in fresco nel secchiello, cubetti di parmigiano, fette di salumi assortiti, pizzette calde.
A differenza di Carla, visto che dalla mattina non aveva avuto tempo di mangiare, Malinverno se ne servì abbondantemente.
«A noi interessa sapere quale ruolo avrebbe avuto lei nella campagna elettorale di Ascanio».
Sembrò come risollevato da quella richiesta. «Lei tocca un punto dolente, cara signora. In virtù dei miei trascorsi politici, che conoscerà, avrei dato la mia consulenza al commendator Restelli... che è stato qui anche il pomeriggio del giorno in cui l’hanno ucciso. Lo conoscevo da anni, per me è stato un brutto colpo».
«Mi sembra di percepire, tuttavia, che lei non fosse troppo contento di questa candidatura... sbaglio?»
«Non sbaglia, no. Conosco quell’ambiente e sapevo che Ascanio non era adatto ad affrontarlo».
«Perché no?»
«Si vede che non l’ha mai incontrato né frequentato. Avrebbe potuto, secondo lei, un uomo per niente incline al compromesso, incapace di strategie, del tutto estraneo all’idea di fare squadra, riuscire a diventare sindaco, senza oltretutto un partito che lo sostenesse?»
La domanda chiaramente non presupponeva risposte.
Malinverno prese in mano la situazione. «Allora lei che ci faceva tra i suoi sostenitori?»
«Eravamo amici. Lo avrei sostenuto in ogni caso».
«Di cosa avete parlato quel pomeriggio, l’ultima volta che vi siete visti?»
«Cene elettorali, sponsor, alleanze... quelle che lui non era in grado di stringere e che gli assicuravo io. E poi del comizio in piazza del Popolo, nel giorno dell’ufficializzazione delle candidature».
«Vi avevano concesso quel palco?» chiese Carla Tesei, sorpresa.
«Non ancora. Questo era affar mio, alla fine l’avrei ottenuto».
«A casa sua, quel fatidico pomeriggio, chi altri c’era?»
Per la prima volta Conversi parve infastidito. «Diego Maresca e Nanni Buscemi» ammise di malavoglia.
«E Cutrupa?»
«Le ricordo, Malinverno, che si trattava di una riunione politica».
Cutrupa serviva ad altri scopi. Scelse di non chiedere allora che cosa ci facessero Buscemi e Maresca. «Intervenne anche Filippo Prandelli?»
«Sul finire, sì».
«Che ruolo aveva nella squadra?»
«Si occupava della comunicazione, della cartellonistica, degli spot televisivi...»
«Sappiamo che rispetto a lei Buscemi era di parere diverso circa la candidatura di Restelli».
«Se lo sapete...»
«Gliene chiediamo conferma. È così?»
«Chiedetelo a Buscemi, signora».
«Va bene, va bene...» intervenne Malinverno, prima che il loro interlocutore si chiudesse a riccio. «So che lei ha posto la sua firma in calce al testamento olografo di Ascanio. La mia non è una richiesta di conferma perché lo so per certo».
A quella rivelazione, Carla Tesei si fece molto attenta.
«Lei mi facilita il compito, saltando la domanda e dando direttamente la risposta» celiò Conversi.
«La domanda è questa. In favore di chi era quel testamento?»
«Non lo so. Non l’ho letto».
«Un testimone ha l’obbligo di leggere il testamento che firma...»
«Allora, diciamo così, l’ho letto e me ne sono dimenticato» sorrise, giocherellando con un tagliacarte d’avorio.
Malinverno cominciava a capire chi aveva di fronte. E volle provocarlo. «Onorevole Conversi, la ringraziamo di averci accordato il suo tempo. Magari avremo modo di rivederci presto al Globo, che ne dice?»
Se fosse stato lui a chiamare il filippino che li invitò ad alzarsi non se ne avvidero.