«La tua amica Viola Ornaghi è scomparsa».
Si poteva dire che Malinverno si fosse appena addormentato. Dopo aver guidato tutta la notte, senza nemmeno una sosta per andare al bagno.
Jacopo Guerci lo svegliò pochi minuti prima delle otto.
«Chi? Come... scomparsa?» cercò di recuperare rapidamente le facoltà cognitive. «Me lo dici così?»
«La madre è andata a cercarla, visto che non le rispondeva da giorni al telefono, e la portiera le ha detto che non la vedeva da almeno 48 ore... Un vicino ci ha riferito che sentiva la cagnolina abbaiare e uggiolare incessantemente».
«Avete sfondato la porta?»
«Ieri sera abbiamo chiesto il permesso alla pm Falasca, stamattina ce l’ha accordato e già siamo andati...»
«Dimmi, avanti».
«Non c’era nessuno, tranne la bassotta, quasi morta di sete».
«Cazzo. Avevi ragione tu a farla seguire... Ora mi sento in colpa per averti chiesto di toglierle la sorveglianza».
«Non è il momento per i rimorsi, vieni in Questura».
«Ti devo parlare di Fabio Massimo Restelli, Jacopo».
«Anche io. Sbrigati».
I tuoi occhi perversi, irridenti, sprezzanti... mi hanno perseguitato.
Senza requie. Ovunque. Qualunque cosa facessi.
Eppure non mi hai mai guardato. Quando l’hai fatto è stato solo per disapprovarmi.
Sono stanco. Le forze mi abbandonano.
Dammi pace, padre. Io te l’ho data.
Rido di te, di me, del mondo. Ora rido. Rido e piango.
Non mi hai voluto amare.
Te lo chiedevo come sapevo. Magari urlando o restando muto.
Gira i tuoi occhi verso di me, papà. Dammeli. Sono miei.
Rido. Come rido...
Fa bene ridere, credimi. Ridi con me. Insieme, finalmente.
È buio qui, ho bisogno di luce.
Voglio abbagliarmi di luce.
Malinverno incontrò Enrico Piranesi davanti alla Questura e gli spiegò cosa aveva in tasca. L’ispettore fece un cenno ai colleghi dell’ingresso, addetti a scandagliare al metal detector chiunque entrasse in Questura.
Il giornalista passò senza doversi assoggettare alla solita trafila.
«Che cos’è ’sta roba?» Ci mancò poco che Guerci saltasse sulla poltrona.
Malinverno gli aveva poggiato sulla scrivania un involto di carta di giornali. «Un regalo per te, aprilo».
«Cazzo, un coltello da caccia!»
«Dev’essere con quello che Fabio Massimo Restelli ha sgozzato il padre».
«Fabio Massimo...» ripeté il nome come rammentandosi all’improvviso di un importante particolare. «Ti devo dire che si è dileguato anche lui».
«Sono preoccupato, Jac» disse sedendosi e notando la faccia tirata del vicequestore. «Raccontami tutto».
«Della Ornaghi ti ho già detto. Ieri mattina ho telefonato a Restelli Jr per dirgli che volevo incontrarlo... l’appuntamento era per il primo pomeriggio a casa sua. Quando sono andato non c’era. La sera e tutta la notte non è rientrato, ho messo un agente a presidiare il portone».
«Avevi dei sospetti?»
«È tornato il notaio Doglio dalla sua crociera in Sudafrica e mi ha parlato di una postilla nel testamento di Ascanio Restelli che ne ritarda l’apertura in caso di sua morte per cause innaturali».
«Immaginava che qualcuno volesse ucciderlo?»
«Proprio così. Ma non qualcuno, il figlio... o quello che finora abbiamo ritenuto fosse il figlio».
«Che significa, abbiamo ritenuto?»
Guerci alzò un telefono interno e chiese di un agente. Poi riprese: «Ricordi che ti avevo parlato di materiale ematico trovato alla villa, nello studio dove è stato ucciso il vecchio? Sangue diverso da quello della vittima... Ebbene l’ho fatto confrontare con quello di Fabio Massimo sulla cartella clinica... pensa un po’, corrispondono! Dev’essersi ferito in qualche modo mentre lo sgozzava».
«Si può capire, neanche lui è un professionista del crimine. Ma con Salnitro l’hanno architettata bene. Il finto agguato armato con conseguente ricovero ha sviato i sospetti riguardo al taglio che si è procurato uccidendo il padre... il patrigno, cioè... Rimane da capire in che modo siano legati e collegati Salnitro e Restelli Jr».
«Siamo alle congetture, Leo. Sappiamo che Salnitro gravitava attorno alla famiglia per il traffico di droga... Fabio Massimo gli avrà chiesto di tenere occupati i custodi, in cambio di altri soldi. Poi qualcosa dev’essere andato storto. Valletti avrà fatto un commento sprezzante o insultato Salvatore Salnitro davanti al figlio, al momento della consegna dei cani imbottiti di stupefacenti... Niente di più facile che quello abbia preso la pistola usata solitamente per le bestie e gli abbia sparato».
«Perché anche a Elide?»
«Per eliminare una testimone. Chiaro».
«Oppure magari erano d’accordo fin dall’inizio. Nazzareno Valletti doveva morire per aver estorto denaro a Salvatore? Ti suona?»
«Possibile, certo».
Bussarono alla porta. Si presentò una ragazza in divisa. «Portalo alla Scientifica, analisi completa» ordinò, porgendogli il coltello avvolto nei giornali. «Mi raccomando, è una probabile arma del delitto, cautela!»
«Fabio Massimo non avrà avuto una bella vita con quel padre... o patrigno che fosse...» rifletté Malinverno.
«Di questo potrà parlarci la signora Jovinelli... e dovrà darci delle risposte significative stavolta».
«Tanta gente dovrà farlo. Pippo Staiano e Dario Ussi in primis. Ma perché ucciderlo proprio adesso? Adesso che si stava tirando fuori dagli affari e avrebbe intrapreso la carriera politica?»
«Non lo so... Tipo strano, l’ingegnere, forse un vero movente non l’aveva. Un movente differente dall’odio verso il padre, intendo. Quando ci ho parlato al telefono, l’altra mattina, mi è sembrato allegro... anzi, euforico, il termine esatto è euforico. A un certo punto in sottofondo ho sentito la canzone del Pulcino Pio... poi è caduta la linea».
Malinverno scattò in piedi, allarmato: «L’ha presa lui, Jac, l’ha presa lui... dobbiamo fare qualcosa...»
«Chi ha preso lui? Fammi capire...»
«La canzone del Pulcino Pio, hai detto? Viola ha la canzone del Pulcino Pio come suoneria del cellulare. Se tu l’hai sentita in sottofondo a casa sua mentre ci parlavi, vuol dire che Viola era con lui...»
«Non è detto, poteva avere solo il cellulare. L’appartamento era vuoto. In ogni caso ho fatto mettere sotto controllo sia il cellulare di Fabio Massimo che di Viola. Finora nessun esito».
«Ormai si sente braccato. Li avrà distrutti, se n’è liberato o comunque avrà tolto le batterie. Non possiamo stare qui fermi».
«Ho diramato tutti gli ordini del caso. Li stanno cercando ovunque».
«E Rocco Salnitro?»
«Anche lui. Grazie a te abbiamo la sua foto, e ci siamo procurati anche quelle di Fabio Massimo e di Viola. Ora calmati e dimmi di Ollomont».
Sedendosi, lo aggiornò su tutto.
Guerci cercò di tirare delle conclusioni. «Io credo che Fabio Massimo progettasse il suo gesto da tempo. Ha procurato un cellulare a suo padre solo per assicurarsi un alibi, facendogli arrivare la telefonata dal suo telefonino più o meno nel momento in cui gli segava il collo. Le telefonate in entrata e in uscita, sul portatile trovato in tasca ad Ascanio, erano infatti tutte da e per Fabio Massimo o gli uffici della Agave».
«Te l’ho detto, non aveva un telefonino. È andata come dici tu. E l’allarme dell’auto che ha svegliato il tipo di Ollomont era di Pippo Staiano. Se Restelli Jr era arrivato con l’elicottero e si era fatto accompagnare allo chalet dal personale dell’eliporto, come mai c’era un’auto dietro la casa, la notte del 9 dicembre?»
«Perché pensi che fosse di Staiano?»
«Il vicino mi ha detto che ha avuto la sensazione di vederlo scomparire dietro la tenda della finestra, anche se non è sicuro. Lo ha visto solo per un istante».
«Che tipo di auto?»
«Non glielo ho chiesto. Potrà farlo la polizia del posto. Hai controllato i cellulari?»
«Quello di Restelli era agganciato in Val d’Aosta. Quello di Staiano l’ho fatto monitorare...» fece cenno a Piranesi, che uscì dalla stanza per verificarlo.
«Se lo sono scambiato... e vedrai che dal portatile di Staiano, più o meno all’ora dell’omicidio, è partita una telefonata all’indirizzo del numero di Restelli Jr».
«Sì, poteva essere il segnale concordato» convenne Guerci.
Piranesi rientrò con in mano dei fogli: «Sì, anche il cellulare di Staiano era agganciato in Val d’Aosta, ad Aosta per la precisione, quando chiamava Valletti quel mercoledì sera».
Guerci riassunse. «Restelli Jr è tornato a Roma con l’elicottero martedì, mettiamo nel primo pomeriggio, ha ucciso il padre e la notte stessa è rientrato a Ollomont, sempre con l’elicottero, dove lo aspettava Staiano. Il giorno dopo, ricevuta la notizia, ha inscenato il ritorno a Roma in aereo per confermarci nell’idea che fosse distante dal luogo del delitto».
«Prima però ha chiamato Valletti per dargli delle istruzioni, per blandirlo... chissà...»
«Non ha messo in conto il vicino ficcanaso e l’allarme infido».
«E quelli dell’eliporto e dell’autonoleggio?» chiese Malinverno.
«Ci hanno mentito. Facile garantirsi dei complici, quando si hanno tanti soldi. Dovranno rendercene conto».
«Salnitro ha pensato ai custodi, vendicando il padre. Fabio Massimo ha ammazzato il suo, liberandosi di una figura tanto ingombrante. Il padre tanto desiderato, che non l’ha mai amato. Pensavamo che l’odio potesse essere il movente. È l’amore, invece... o per meglio dire, l’amore negato».
«Sei proprio uno scrittore, hai già la tua morale. E in tutto questo cosa c’entra Viola Ornaghi?»
Qualcuno all’interfono annunciò l’arrivo di Flaminia Galterio Pardi.
La bocca di Malinverno prese una piega amara. «Ce lo dirà lei, stai tranquillo».
Si alzarono in piedi per accogliere la signora, che neppure li salutò.
«Voglio sapere dov’è finita mia figlia, vicequestore. Lei, Malinverno, cosa ci fa qui?»
I tratti del viso di Guerci divennero marmorei. «Signora, si accomodi. E, mi scusi... qui le domande le faccio io, non lo dimentichi».
«Ma... ma... come si permette? Ho appena parlato con il ministro degli Interni...»
«Lei può parlare anche con il presidente della Repubblica o con il papa, ma qui, finché ci sto io, le domande le faccio io. Si accomodi, ho detto... prego...»
«Va bene, va bene, mi siedo...» scegliendo toni più miti. «Capirà, sono preoccupata per Viola, mia figlia... al padre non l’ho detto, crede che la notizia si diffonderà?»
Il vicequestore scosse la testa, mettendosi a svapare. «L’unico giornalista che potrebbe dare la notizia è qui, signora, e non mi pare che abbia un pc».
«Glielo avevo detto, glielo avevo detto...»
«Cosa le aveva detto, baronessa? Parla di Viola?» la incalzò Guerci.
«Sì, di Viola...» si diede un contegno. «Non volevo che facesse la giornalista, questo intendevo».
«E nello specifico non voleva che incontrasse Ascanio Restelli, vero?» si inserì Malinverno. «Se l’è lasciato sfuggire la prima volta che ci siamo visti, l’ha definito un serpente, come se lo conoscesse».
«Sciocchezze, mi sarà capitato di vederlo a qualche cena...»
«Sì. A casa di Minnie Oswald, quella che le presentò il suo futuro marito».
Flaminia si voltò verso di lui, molto colpita. «Conoscerlo, non lo conoscevo, in ogni caso... Fa caldo qui, accidenti» e si tolse il paletot.
«Sua figlia potrebbe essere nelle mani di due assassini, Flaminia! È ora di dire la verità, non le pare?»
«Malinverno, non sia villano. Come si permette? Io dico sempre la verità».
«Bello quell’anello di zaffiri, l’ho notato anche al nostro primo incontro e quando è venuta a casa mia... ricorda? Il sole ci batteva sopra e il luccichio mi ha dato fastidio agli occhi...»
La donna coprì istintivamente l’anello con l’altra mano. «Che cosa c’entra l’anello, è un regalo di mio marito...»
«Glielo chiederemo».
«Ho detto mio marito... non ricordo, sinceramente...» andò in confusione. «Ce l’ho da tanto tempo...»
«Da prima che nascesse Viola, di sicuro».
«Sì, da prima... magari me lo sono comprato da sola... che cosa vuole? Sono passati più di trent’anni».
Guerci ascoltava, quasi ammirato dalla tecnica dell’amico.
«Non ci ha ancora detto perché considerava Ascanio Restelli un serpente, pur non conoscendolo di persona, signora».
«Ho letto sempre di lui, non serviva conoscerlo... Si credeva un titano ed era uno gnomo della malavita».
Malinverno, come folgorato da un’intuizione, prese a digitare e sfogliare sul suo telefonino. «Interessante, questa sua analisi criminologica. Più interessante ancora è il termine che ha usato...»
«Termine? Che termine?»
Aveva trovato lo scatto che cercava. «Legga questo scritto, signora Galterio Pardi, era in un libro che Viola ha lasciato nella mia auto e ho fatto una foto alla lettera che è scivolata fuori».
Mia mina vagante, passionale viperetta, fascinosa iena,
dovevi essere la mia ricreazione, ma se decidi di trasformarti nell’ora di latino o di fisica, è meglio che ci diciamo addio.
E con quello che mi hai combinato, ci mettiamo una bella pietra tombale.
Non voglio più saperne di te, di voi. Non eri nei miei piani e non ci sarai in futuro.
Stammi bene. Il tuo Titano.
Impallidì, prese a torturarsi le mani. «Che cos’è? Non capisco...»
«Deve dircelo lei. La lettera è del 1980, l’anno prima che nascesse Viola. E la grafia della data è diversa da quella del biglietto che lei nascondeva nel libro di una sua parente, Sibilla Galterio Pardi... Dubito che qualcuno potesse rivolgersi a suo marito appellandolo ‘viperetta’. Possiede inoltre un anello di zaffiri molto prezioso e lo sanno tutti che Restelli amava regalare quelle pietre alle sue amanti. Poi c’è il termine ‘titano’, che lei ha usato per definirlo... lo stesso con cui è firmata la lettera. Che cos’è che gli aveva combinato di tanto grave da darle il benservito?»
«Lei farnetica».
«Compareremo la sua grafia e quella di Restelli... Risponda, signora. Le ricordo che dobbiamo ancora trovare sua figlia» s’inserì Guerci.
Era combattuta. «Ma non vedo come... non ho niente da dire».
«Suo marito è sterile, vero? Non riuscivate ad avere figli, avete consultato tanti medici, me l’ha raccontato Enrichetta Rosson... poi improvvisamente, nasce Viola».
Flaminia si girò verso una parete con la sola fotografia del presidente della Repubblica.
Guerci rincarò la dose. «Potremo verificare facilmente...»
«Per questo gli uomini di Ascanio hanno fatto irruzione nel bagno di sua figlia. Per far analizzare la saliva sul suo bite e avere la riprova della paternità del commendatore». Poi Malinverno si rivolse a Guerci, che lo guardava perplesso perché non gli aveva detto niente del bite. «Hai i risultati del Dna su quel fazzoletto di carta usato da Viola?»
«Sì, certo» mentì.
Per l’esame del Dna occorrono almeno 48 ore. Il vicequestore lo diede per fatto, per reggere il bluff dell’amico e indurre la Galterio Pardi a parlare. In ogni caso il reperto era in loro possesso e l’esame sarebbe stato compiuto con scrupolo.
Malinverno si tolse gli occhiali e li pulì con la pezzuola apposita. «Vede, signora, se il Dna di Ascanio e quello di Viola risulteranno compatibili, vorrà dire che ho ragione io... e che Fabio Massimo aveva un motivo per far del male alla figlia sconosciuta di Ascanio, saltata improvvisamente fuori, magari per spartire l’eredità».
Flaminia capitolò, all’improvviso schiacciata dal peso delle menzogne di una vita. «Non ne ha mai voluto sapere, di quella figlia, il serpente. E a me non interessava imporgliela, non avevo bisogno di soldi e Viola un padre ce l’aveva. Le è andata meglio così... Eugenio è stato un padre tenero, affettuoso. Abbiamo avuto entrambi quello che volevamo, Ascanio e io. Lui il piacere, io una figlia».
«Eugenio lo sa?»
«No, non lo sa... O, se lo sa, non ha mai detto nulla. Certo non immagina che il padre sia Ascanio, un uomo ributtante, che mi ha cancellata con uno schiocco di dita».
«E poi?» la sollecitò Malinverno. «Cosa è successo, perché è tornato a farsi vivo?»
«Mi ha cercata qualche mese fa, voleva che lo aiutassi a far accettare a Viola questa rivelazione. Ascanio mi ha chiesto di Viola, di come fosse... mi ha detto che non voleva morire pensando di dover lasciare tutto nelle mani di quell’uomo, parole sue, senza palle».
«Fabio Massimo?» chiese Guerci.
«Sì, lui, il figlio di Sveva Jovinelli... non so chi fosse il padre biologico. So solo che Ascanio mi disse di averlo fatto credere suo per garantirsi il patrimonio della moglie, con le sue periodiche elargizioni».
«Ci stava riferendo delle pressioni per sapere di Viola...»
«Io mi sono guardata bene dall’assecondarlo, lui come ovvio non si è dato per vinto. E ha preso a tormentare chiunque stesse vicino a mia figlia».
«A vostra figlia... vorrà dire» specificò Guerci.
«Mi rifiuto di pensarlo. Il materiale genetico comune non fa di quel mostro il padre di Viola. Il padre è Eugenio Ornaghi». Grosse lacrime, finalmente, le scesero sulle guance. «Ho sbagliato... ho sbagliato tutto, nella mia vita. Ora Viola ne paga le conseguenze. Fate qualcosa, vi prego. Trovatela, salvatela, finché siamo in tempo».
Malinverno pensò che forse non tutto era perduto per quella donna.
Nelle ore seguenti, non facili e piene di angoscia, si trovò a riflettere sulla falsa mitologia della famiglia tradizionale.
La genitorialità, come ormai i giornali amavano definire il semplice atto di generare e allevare amorevolmente figli, non è il salvacondotto per la felicità.
Doveva concordare con Flaminia: il vero padre di Viola era Eugenio che, magari pur intuendo di non averla concepita, l’aveva sempre amata e rispettata.
Mentre l’amore negato di un padre che aveva rifiutato la figlia naturale e calpestato gli slanci di quello adottivo aveva portato a tanto spargimento di sangue.