Non fu facile farsi largo nella ressa che si era creata davanti al cancello principale di villa Restelli. Fotografi, giornalisti, troupe televisive, soprattutto semplici curiosi, la cui morbosità era alimentata da quegli orrendi talk show ‘al sangue’, in onda su tutte le reti a ogni ora.
Con la scusa di garantire l’approfondimento giornalistico con il loro martellamento horror, conduttori e telecronisti inducevano molti scellerati, inconsapevoli dei loro impulsi disgustosi, al turismo macabro sui luoghi dei delitti famosi. Ed eccoli lì.
Malinverno aveva persuaso Viola a farsi accompagnare a casa, pensando che nel suo stato guidare poteva rivelarsi un rischio. In scooter, mentre fendevano il capannello di guardoni e colleghi meno fortunati di lui nel reperimento di fonti dirette, il giornalista fu colpito dalla presenza di un uomo elegante. Un tipo segaligno, il viso dai lineamenti sottili.
Indossava un loden classico e una lobbia marrone chiaro. Senza bisogno di spingere o vociare, svettava sugli altri grazie alla statura notevole. Dove lo aveva già visto? Dovendo sgombrare in fretta il passaggio per consentire agli agenti di richiudere il cancello, gli fu impossibile fermarsi a chiederglielo. Sebbene il tizio non avesse dato segno di averlo a sua volta riconosciuto, a Malinverno rimase il tarlo su chi fosse. Qualcuno che aveva intervistato o incontrato a una cena, forse.
Se un provvidenziale sblocco della memoria non fosse arrivato a dargli requie, un rovello del genere poteva guastargli l’umore. Ci pensò per l’intero tragitto fino a casa di Viola, in zona Porta Cavalleggeri, alle spalle della basilica vaticana.
Non avevano ancora lasciato lo scooter, che videro la portinaia agitarsi, da lontano, sulla soglia del portone. La donna, con indosso un grembiule cilestrino che le tirava sulla pancia rigonfia, riemerse dalla guardiola brandendo un enorme fascio di girasoli e gerbere arancioni in tono con la capigliatura cotonata. «Auguri, signora Ornaghi! Indovini chi li ha lasciati per lei!»
«Posso immaginare, grazie».
«È arrivato stamattina presto, sa, poco dopo che era uscita. Carino. Era emozionato, sa...»
«Sì, sì, la ringrazio, Rina».
«Era tanto che non vedevo il dottore. È dimagrito, sa...»
Dopo aver afferrato i fiori, Viola chiuse l’ascensore in faccia alla portinaia che proseguì nello sproloquio in favore di Matteo Sorge. «Ci è rimasto male, a non darglieli di persona».
Il mazzo finì gettato in malo modo sul tavolo di cristallo all’ingresso e tutte le attenzioni furono per Palù, la cagnolina, pazza di gioia per il ritorno della padrona.
Nella vetrata del salone campeggiava la cupola di San Pietro, come nella tela di un vedutista del passato.
New York ha la Statua della Libertà, Agra il Taj Mahal, Milano si fa bella del Duomo. Roma vive all’ombra di San Pietro, er cupolone nella sintesi dialettale: maestoso, quasi supponente nella secolare sfida ai cieli della città eterna; dove il senso del divino, rifletté Malinverno, finisce per trascolorare nell’utilitarismo più scoperto.
L’opera architettonica, simbolo planetario della cristianità da qualche tempo nel mirino degli islamisti, sembrava nella fattispecie progettata in omaggio all’ego borghese di chi abitava quell’appartamento. Di un lusso tanto più evidente perché non ostentato né ricercato. Poca mobilia, pezzi firmati, arredi e tendaggi dai colori tenui. Ogni ambiente rivestito di luce non artificiale: vero privilegio della vita metropolitana, coi palazzi cresciuti uno addosso all’altro, a darsi di gomito.
«Mi sa che in questi mesi in cui non ci siamo sentiti ho perso parecchi passaggi...» disse Malinverno.
«Vero. Ma non ho tanta voglia di parlarne».
«Hai ragione. Cazzo, è il tuo compleanno. Auguri! La chiacchierona è servita almeno a questo, a ricordarcelo».
Da un’altra stanza, lontana, Viola rispose: «Eh, non sarà un caso che me ne fossi dimenticata. L’avevo rimosso».
Leo si era seduto di traverso su una poltrona, con le gambe a penzoloni sul bracciolo. «Smettila di brontolare, dobbiamo festeggiare».
«Ma sei scemo? Ti rendi conto di quello a cui abbiamo assistito stamattina?» Era riapparsa con un lungo caffetano rosso, scalza sul parquet chiaro a grandi listoni. Il riscaldamento era al massimo.
«Sei bellissima con i capelli sciolti».
«Smettila, dobbiamo parlare».
«Ho bisogno prima di un caffè».
Si spostarono nella cucina, stretta e lunga. Viola caricò la moka, intanto Leo Malinverno prese a grufolare nel barattolo dei biscotti su una mensola.
«Mi dici cosa succederà adesso?»
«Mangiamo qualcosa e poi io vado al giornale a scrivere il mio pezzo su Ascanio Restelli. Strano che Orefici non mi abbia ancora chiamato o fatto chiamare...»
Viola si strinse nelle braccia. «Non c’è niente da mangiare qui. E comunque non intendevo questo, e lo sai».
«Vedrai che domani o dopodomani Guerci vorrà vederti per fare il punto della situazione, capire se hai cose rilevanti da riferirgli».
«Io non so altro».
«Glielo dirai, quindi».
Nel versare il caffè nelle tazzine, Viola sporcò il tavolo. «Accidenti, quell’uomo mi agita anche a distanza».
«Fa lo stesso effetto a molti. Persino a me, i primi tempi della nostra conoscenza».
«Ti sembra facile, allora? Se davvero dovrò rincontrarlo, voglio che ci sia anche tu».
«Non hai nulla da temere, basta che tu dica quello che hai visto e perché».
«Quello che ho visto lo hai visto anche tu».
«Già, ma tu lo hai visto prima e da sola».
«Dici che è per questo che il tuo amico mi parlava e guardava come se fossi io l’assassina?»
«Devi capire che d’ora in avanti Guerci sospetterà di tutti. Non dormirà, non mangerà, non starà con una donna, non si rilasserà finché non avrà risolto il caso» Malinverno sorbì il suo caffè con due cucchiaini ricolmi di zucchero. «E se solo si rilassasse ci penserebbero il capo della polizia o il ministro degli Interni a spronarlo, perché Restelli non è uno qualunque».
«Questo lo so».
«L’assassinio va risolto presto e bene, intendevo».
«Ma se lo odiavano tutti...»
«Uno solo lo ha ucciso però, e non gli perdoneranno di aver fatto fuori il catalizzatore di tanto odio sociale».
«Che vuoi dire?»
«Negli ultimi venti o trent’anni sai quanti avranno pensato di ammazzare Restelli? Ognuno di loro non si darà pace di non aver trovato la forza, la determinazione, il coraggio...»
Viola Ornaghi guardò l’amico, pensando che la stesse sfottendo. Scambiò il suo sorriso per la conferma di quel sospetto. Ma si sbagliava.
«Credimi, possiamo perdonare tutto, non chi ci sbatte in faccia le nostre debolezze». Senza aspettarsi commenti da Viola, deviò il discorso. «Non ho più sigarette, tu ne hai?»
«Sai che non fumo, quello che fumava, grazie a dio, non vive più qui».
Era di spalle, armeggiava nel lavello, e ugualmente avvertì lo sguardo indagatore del suo ospite.
«Se n’è andato. L’ho sbattuto fuori, Matteo e quel verme del suo amico Filippo... Lo conosci, Prandelli, quello dell’agenzia pubblicitaria».
«Maschi».
«Maschi, sì. Per come mi sento, potreste sparire dalla faccia della Terra e non me accorgerei!»
«Esagerata, per il momento sparisco io da qui. Devo fumare o rischio una crisi di astinenza».
«Vai, vai pure».
«Ma torno subito, non sperarci».
Malinverno scese in strada, ufficialmente alla ricerca della dose di tabacco che avrebbe nuociuto in modo grave alla sua salute. In realtà, la spedizione mirava ad allestire un pranzetto adatto al festeggiamento di una ragazza che aveva bisogno di attenzioni.
Nei negozi attorno al condominio si procurò tutto il necessario, dopo aver chiesto consiglio alla portinaia, che aveva un’espressione di rimprovero in viso, supponendo che fosse l’amante di Viola. Il responsabile della rottura del suo matrimonio.
Trovò anche lo zenzero e ne fu soddisfattissimo. Comprò, infine, un wok perché dubitava che casa Sorge ne fosse provvista. Triste la casa dove i pasti non sono allietati da pensieri che si tramutano in pietanze succulente.
Di solito i suoi regali erano più ponderati, in quel caso sarebbe stato impossibile per i tempi risicati: prima di risalire, prese la collana a tre fili di perle di fiume che esponeva il gioielliere all’angolo. Fine, discreta. Un monile adatto a Viola, chiaramente poco incline a bardarsi di preziosi.
Non sbagliò, a giudicare dalla reazione dell’amica. «È bellissima, grazie». Lo baciò sulla guancia e lo abbracciò stretto.
«Ehi, se non fosse morto sgozzato, il povero Restelli, avrebbe dovuto temere lo stritolamento. Sei peggio di un anaconda!»
«Scusami. Me la allacci?»
Lo fece e, avvicinandosi per chiudere la sicura, l’odore di sapone aromatizzato alla mandorla frammisto a quello dei capelli lo catturò piacevolmente. Non se ne sarebbe mai staccato.
«Ora lasciami solo in cucina, perché ho da lavorare».
Erano le dodici e quindici. Orefici non si sarebbe fatto attendere ancora a lungo, con una telefonata lo avrebbe richiamato all’ordine. Fino ad allora, Viola lo avrebbe avuto in esclusiva.
Sullo scaffale delle spezie, contenute in vasetti pressoché intonsi, era sistemato un piccolo stereo con due casse: Malinverno cercò tra i pochi cd e scelse un album di Glenn Miller. In the mood gli diede il giusto slancio. Nel giro di venti minuti allestì un piatto di gamberoni freschissimi con scalogno, zenzero grattugiato, peperoni e castagne, saltati nel wok e sfumati con aceto di riso e salsa di soia.
Come sempre, armeggiando ai fornelli prese a scriversi il pezzo mentalmente. Così sarebbe arrivato pronto in redazione.
Sulle note di Moonlight Serenade si sedettero nel tinello destinato ai pasti famigliari, intimi. Viola aveva apparecchiato con semplicità, scegliendo tovagliette di paglia, piatti e bicchieri colorati.
Il vino, un Tigullio bianco, era perfetto grazie ai minuti di permanenza in freezer. Dopo averlo stappato, Malinverno lo fece assaggiare a Viola. «Delizioso, come sai che io amo i bianchi?»
«Non lo sapevo, ma quello che ho preparato non si sarebbe abbinato a un rosso».
Servì porzioni adatte a placare la sua fame atavica e a stordire l’agitazione dell’amica, ammesso che terminasse quello che aveva nel piatto.
«Non ricordo quando mi sono seduta a questo tavolo l’ultima volta... o meglio, me lo ricordo benissimo, è passato tanto tempo».
«Apprezzo che tu mi abbia fatto mangiare qui e non in sala».
«Consideralo un gran privilegio, qui abbiamo mangiato sempre solo Matteo e io. Neanche i miei genitori o i suoceri».
Un ulteriore velo di tristezza, al ricordo delle geometrie parentali, le invase lo sguardo.
«E pensare che c’è ancora chi crede che uomini e donne siano fatti per stare insieme...»
«Io lo credo, ma non credo che quell’uomo sia mio marito».
«L’ha fatta tanto grossa?»
«Puoi immaginarlo, ho scoperto che si scopava qualunque femmina in grado di muoversi e respirare senza aiuti».
«Con Prandelli ce l’hai perché andavano a caccia assieme?»
«Non solo. Quello mi odia!»
«Vuoi dire che ha una tresca con tuo marito?»
Viola rise di gusto. «No, almeno non credo. È che ci ha provato con me e l’ho mandato in bianco. Così me l’ha giurata».
Malinverno si sporse per passarle una grossa castagna glassata nell’agrodolce. Viola assaporò e riprese: «Erano partiti per un impegno di lavoro, sono stati fuori una settimana...»
«Tuo marito che lavoro fa? Ricordamelo».
«Ex marito, ti prego».
«Siete già divorziati?»
«No, ma è come se... È avvocato, ma la parola che meglio gli si addice è faccendiere, di tutto un po’».
«E allora?»
«Quando tornò era più esaltato del solito e Prandelli non si faceva vedere più dopo che gli avevo dato un calcio sullo stinco».
«Ahi!» Malinverno mimò un’espressione di dolore.
«Trascorse un mese, forse, o quaranta giorni. Nella posta elettronica, da un indirizzo sconosciuto, mi è arrivato un video...»
«Qualcuno ti pensava».
«Eh, sì. L’ho aperto in redazione, figurati».
«Visione di gruppo?»
«Sesso di gruppo, e per fortuna l’ha visto solo una collega. Si apriva su Matteo e una tipa gli stava fra le gambe in ginocchio... in un posto squallido con un poster di Parigi. Poi tutto il resto. Due donne e Matteo con Filippo Prandelli. Il film completo».
«Qualcuno che ti voleva molto bene».
«Proprio. Non ti dico l’imbarazzo... e il dolore».
«Basta, mangia, dai».
Aveva ingerito un gambero e mezzo e qualche ricciolo di verdure. «No, con qualcuno devo pur parlarne. E tu sei un amico».
Leo Malinverno fu lieto che avesse cambiato idea. «Immagino che Matteo avesse tutte le spiegazioni del mondo».
«Tutte scuse. Tante parole inutili. E quando gli ho detto che si guardasse dal suo amico Filippo, perché secondo me era lui che mi aveva mandato il video, ha detto che non era possibile».
Le spuntarono le lacrime e Malinverno, per la seconda volta nella giornata, appoggiò una mano su quella di Viola, poco curata, da adolescente che non abbia ancora scoperto l’attrazione per gli smalti colorati.
«Pensa che non ti sopportavo, quando ci siamo conosciuti».
«Strano, mi trovano tutti adorabile... escluso il mio direttore, sia chiaro».
«Proprio così. È che mi sembravi troppo sicuro, consapevole di quanto piaci».
«A tutti, tranne che a Orefici».
Sbucciando e portando alla bocca un gamberone Viola disse: «A proposito, ma non dovresti lavorare?»
«Mi chiameranno appena avranno bisogno di me e l’articolo di domani è praticamente scritto». All’espressione interrogativa di Viola, Leo Malinverno si portò l’indice in mezzo alla fronte. «È tutto qui, che credi, Ornaghi?»
«Cosa pensi di scrivere?»
«Non lo direi mai a te, che sei sempre una concorrente!»
«Che scemo... Lo hanno scannato come un agnello».
«Un maiale, direi... Stando alla vulgata, Restelli apparteneva di diritto al genere suino».
Di quello aveva bisogno, Viola, di un bell’uomo, sicuro di sé fino a rasentare la tronfiezza, che la sollevasse d’imperio dallo stato di prostrazione che la tallonava da tanto tempo. Peggio di uno stalker instancabile.
Sorrise, e la pelle lattea del viso s’illuminò. Lo scollo ampio del caffetano lasciava scivolare lo sguardo di Malinverno nel décolleté fino alla congiunzione dei seni, rotondi, perfetti.
«Mia madre mi ha fatto una testa così perché non andassi da Ascanio Restelli, mi ha anche minacciato». Bevve tutto il calice di vino.
«Voleva diseredarti?»
«Sarebbe capacissima».
«Tua madre è una sensitiva per caso?»
«Una scassaballe poco sensibile, piuttosto. Le ho attaccato il telefono in faccia, a un certo punto».
«Vogliamo sentire il tg delle 13?» Malinverno lo chiese dal cucinino, recuperando la confezione del dolce. «Ma prima...» tornò canticchiando: «Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri a te!»
Alla vista della piccola Sachertorte con un’unica candelina lunga e rossa in mezzo, Viola si portò le mani alla bocca, stupefatta.
Ci soffiò sopra, chiedendosi se nel giro di poche ore si potesse passare dal terrore per la visione di un cadavere deturpato alla tristezza per i fallimenti della propria vita. Fino a ritrovare una parvenza di serenità grazie alla piacevole colazione con un amico caro, che ce la metteva tutta per ridarle brio.
Brindarono con il Brachetto d’Acqui che Malinverno aveva nascosto in frigorifero, poi ascoltarono le ultime notizie alla tv.
Nell’edizione prandiale del Tg2 la morte di Ascanio Restelli meritò uno dei titoli di apertura, subito dopo l’attualità politica. Oltre a rievocare il cursus honorum delle malversazioni del commendatore mazza & cazzuola, come lo avevano ribattezzato i componenti di un centro sociale di estrema sinistra che avevano preso a tappezzare i muri di Roma con quel soprannome, il servizio specifico non conteneva particolari rilevanti.
Jacopo Guerci aveva lavorato bene, centellinando le informazioni alla stampa, e tendendo per sé anche il dato splatter dell’escavazione dei globi oculari.
Il vicequestore doveva aver elaborato una strategia, che Malinverno avrebbe appreso presto. Ma non era lui al cellulare che ronzava.
Il giornalista ascoltò il vicedirettore, Tommaso Lembo, che gli comunicava la decisione di Orefici di andare in stampa con un’edizione straordinaria: «La deadline è alle 16.30. Dobbiamo avere il giornale stampato almeno un’ora prima che chiudano le edicole, poi diffondiamo le copie anche con gli ‘strilloni’».
«Va bene, arrivo».
Si rese conto, chiudendo la comunicazione, che Viola si era allontanata dalla stanza: gli sembrò di aver sentito il suono del citofono, doveva essere per quello. Le voci dall’ingresso gli confermarono, infatti, che non erano più soli.
Viola riapparve con una signora alta, oltre la sessantina: «Ti posso presentare mia madre, Leo? Lui è Leonardo Malinverno, un mio amico».
«Come sta, caro amico giornalista?»
Per assecondare la degnazione che Flaminia Galterio Pardi, curatissima e piena di sé, sprizzava da tutti i pori le fece un baciamano impeccabile. E finse di ignorare l’ironia della formula caro amico giornalista. «Signora, faccio il giornalista, non sono giornalista, mettiamola così. Viola, mi fai cominciare male se riveli subito i miei difetti...»
«Non le ho mica detto che siamo colleghi... Come lo sai, mamma?»
«Insomma, leggo i giornali e seguo la tv. E ho appena finito Le vie dell’oro, gran bel libro! Lo stile è quello di Roberto Saviano».
«Grazie, consideri che le abbia baciato ancora la mano!»
Quell’asparago di donna, le cui fattezze ricordavano la silhouette di un airone, si concesse un’ombra di compiacimento. Il collo lungo, la schiena lievemente incurvata delle persone torreggianti, indossava un abito comodo di lane pregiate color crema, sormontato da un poncho grigio perla. Aveva un solo anello, imponente: uno zaffiro con un doppio girotondo di diamanti, pietre grosse come chicchi di melagrana. Quel monile avrebbe fatto la gioia dei rivenditori di preziosi usati di cui parlava in Le vie dell’oro, rifletté il giornalista.
«Sono venuta a dare un po’ di conforto alla mia bambina, ho ascoltato i notiziari alla radio, tornando dalla campagna. Sono così sconvolta che me ne stavo dimenticando... auguri, Viola!»
Prese il viso della figlia tra le mani e, se quella non si fosse scostata, le avrebbe stampato un bacio sulla fronte. «Chi ha voglia di un caffè?» chiese Viola.
«Devo scappare in redazione, facciamo un’edizione straordinaria e devo scrivere il mio pezzo».
«Che storiaccia, vero, dottor Malinverno? Del resto, lo avevo detto a Viola, non avrei voluto che incontrasse quel serpente».
«Lei, signora Galterio Pardi, lo conosceva... il serpente?»
«Adesso lo berrei volentieri quel caffè, Viola».
Rimasero soli. «Non serve conoscere certi individui, per augurarsi che la propria figlia non li frequenti».
«Capisco, signora, starei a parlare con lei con molto piacere. Purtroppo, devo lavorare...» Mentre lei non ne ha alcun bisogno, pensò ma si guardò bene dal proferirlo.
Le salutò in fretta, immaginando che le confidenze tra madre e figlia avrebbero avuto inizio – non troppo gioiosamente per Viola – appena avesse tolto l’impaccio della sua presenza.