II.

L’agente Ammaturo Gerardo concluse il giro delle finestre.

Era la prima cosa che faceva quando montava in servizio all’alba. La caratteristica migliore del commissariato di Pizzofalcone, il posto dei Bastardi, la Cayenna della polizia cittadina, era il panorama. Quindi valeva la pena aprire tutto e lasciar entrare sole e cielo e mare, cosí come si vedevano dall’antico palazzo un po’ cadente arrampicato in cima alla collina. Chissà che fatica i muratori a costruirlo lassú secoli prima, Ammaturo ci pensava sempre. Aveva letto che utilizzavano muli e asini per trasportare le pietre di tufo. Doveva essere stato uno spettacolo.

Sta di fatto che la vista toglieva il fiato, normalmente. Uno sguardo sulla città affastellata, stretta e disordinata sulla riva del golfo, e la montagna e il porto operoso di prima mattina, le navi che andavano e venivano, le luci che cominciavano a spegnersi e i fari delle automobili già in colonna sulle strade principali.

Normalmente, sospirò Ammaturo. Perché oggi una nebbiolina figlia del caldo del giorno e del fresco della notte avvolgeva tutto. Che schifo, pensò. Sembra la Germania.

Ammaturo aveva dei cugini in Germania. Figli e nipoti di emigrati negli anni Sessanta e Settanta; parlavano solo tedesco e il dialetto di origine. Lui andava a trovarli ogni tre o quattro anni. Che cesso di posto, si diceva ogni volta. Certo, ordine e pulizia; certo, qualità della vita; certo, soldi e disponibilità di lavoro. Ma era meglio non aprire le finestre, a casa dei cugini, perché ti pigliava una tristezza che si attaccava alle ossa e non ti mollava piú.

Cosí era, quel giorno di ottobre. Le sirene delle navi giungevano attraverso la foschia e tutto sapeva di Amburgo. Mancavano solo i würstel, pensò Ammaturo alzando gli occhi strabici al soffitto.

Poi squillò il telefono.

Alex Di Nardo si guardava allo specchio del bagno. Non le dispiaceva il turno di notte, perché fin da bambina riusciva a dormire ovunque.

Il fisico sottile e l’essere piccolina l’aiutavano, è vero: la scomoda brandina allestita nella stanza dell’archivio era piú che sufficiente per lei, e non si lamentava come Romano e Lojacono, che erano grandi e grossi. Maschi, del resto, quindi deboli e fragili e piagnoni. Lei era una donna, invece. Resistente, forte e determinata. La ragazza con la pistola, come la chiamava quel fesso di Aragona.

Una donna che aveva gli stessi gusti degli uomini, pensò sorridendo. Chissà i commenti, quando lo sapranno.

Con sorpresa si accorse di aver ragionato in termini di inevitabile futuro. Niente periodo ipotetico, di nessun grado.

La mente andò a Rosaria Martone, primo dirigente della polizia scientifica. Al suo viso, alle sue mani. Alla sua bocca, e a ciò che quella bocca sapeva fare.

Stava ancora sorridendo nell’istante in cui Ammaturo bussò alla porta.

Lojacono e Di Nardo raggiunsero il cantiere della metropolitana mentre la luce lattiginosa di quel mattino aveva ormai deciso di prendere il sopravvento.

Si erano incontrati sulle scale del commissariato, Alex che infilava la pistola nella custodia sotto l’ascella, l’ispettore che, come tante altre volte, arrivava al lavoro con un paio d’ore d’anticipo. Entrambi non parlavano molto, cosí lui le aveva chiesto di aggiornarlo lungo la strada e lei aveva laconicamente sputato poche frasi secche:

– Una telefonata al 113, l’hanno subito girata a noi perché siamo i piú vicini. Un uomo. Vivo, pare. Hanno chiamato l’ambulanza e magari è ancora sul posto. Steso sulla sabbia per il cemento, pieno di sangue. Forse picchiato. L’ha trovato il capocantiere. A qualche centinaio di metri da qui.

L’ambulanza, in effetti, c’era, ferma a sportelli aperti nell’area di carico e scarico del cantiere della metropolitana dell’ex piazza Santa Maria degli Angeli, ridotta da anni a una stretta viuzza per gli interminabili lavori. Intorno, già quattro curiosi: un paio di anziani, uno studente coi libri in mano e una donna con una sporta, che allungavano il collo tentando di sbirciare all’interno.

I poliziotti comparvero mentre due infermieri stavano mettendo in sicurezza un corpo su una barella, sotto le indicazioni preoccupate di un giovane medico con gli occhiali spessi. Lojacono mostrò il tesserino salutando con un cenno del capo.

– Buongiorno, dottore, commissariato di Pizzofalcone. Che mi sa dire?

Il medico lo fissò con gli occhi resi enormi dalle lenti e disse, in tono piatto:

– Maschio, tra i cinquanta e i sessanta. Respira appena, ecchimosi sul volto, una tibia fratturata e almeno un paio di costole rotte, credo. È privo di conoscenza, gli stiamo dando l’ossigeno. Adesso lo portiamo ai Pellegrini.

Alex sussurrò:

– Se la cava, sí?

Il giovane si strinse nelle spalle e salí sul mezzo dietro alla barella.

Lojacono riuscí a chiedergli:

– Aveva un portafogli, il cellulare…

Uno degli infermieri scosse il capo.

– Niente, manco l’orologio. Lo hanno ripulito per bene.

Gli sportelli si chiusero e l’ambulanza partí a sirene spiegate, compiendo una spettacolare retromarcia che costrinse a un salto di lato il gruppetto degli spettatori.

Alex e Lojacono si diressero all’ingresso del cantiere, ma un uomo di mezza età, con un casco giallo in testa, fece per bloccarli.

– Scusate, qua non si può entrare. Ci stanno misure di sicurezza e…

Alex gli mostrò il tesserino.

– Di Nardo, commissariato di Pizzofalcone. È lei che ha scoperto il corpo?

L’uomo annuí.

– Sí, sono Mascolo Ferdinando. Sentite, noi dobbiamo lavorare, teniamo delle scadenze, mica ci bloccate il cantiere, no? Già ho chiamato all’ingegnere, dice che arriva verso le undici perché sta di casa fuori città, ma io vorrei sapere con gli operai come mi devo regolare.

Lojacono lo fissò, serafico.

– Non è un problema suo, Mascolo. Ci vorrà il tempo che ci vorrà. Per stamattina può pure mandare via tutti: finché non accertiamo quello che è successo, qua non si muove nemmeno una pala. Abbiamo un ferito grave, che magari a quest’ora è morto. Mi pare abbastanza. A lei no?

Alex accennò un sorriso. Se le fossero piaciuti gli uomini, cosa che per fortuna non era mai accaduta, avrebbe scelto uno come il collega. Indecifrabile, all’apparenza sempre calmo, con quell’aria da bonzo buddhista accentuata dai lineamenti orientali, ma quando c’era da parlare parlava eccome. Alquanto affascinante, insomma.

Non a caso, di tutti i soprannomi attribuiti da Aragona, il Cinese era l’unico ad aver riscosso universale successo; anche la gente del quartiere, aveva scoperto Alex, lo chiamava cosí.

Mascolo accusò il colpo.

– Certo, certo, scusate. È che già siamo in enorme ritardo e…

Lojacono si guardò attorno.

– Io sono l’ispettore Lojacono, comunque. Questo è l’unico ingresso?

– Sí, e ho aperto io. Stamattina alle sei i catenacci erano a posto, nessuno li ha forzati.

– È sicuro?

– Sicurissimo. Da tre anni che sono il capocantiere, qui, so’ entrati almeno quindici volte. Non riescono a fregarsi niente perché mettiamo gli attrezzi nei capanni, ma ci provano. È un quartiere pericoloso, questo, e…

L’uomo si accorse della gaffe e serrò la bocca con uno scatto. Alex chiese, fissandolo storto:

– E allora com’è arrivato dentro, il tizio? Volando?

Lojacono intervenne con un mezzo sorriso:

– Probabile, – disse, e si rivolse a Mascolo. – Dov’era? Là, vero?

Indicò un cumulo di sabbia nei pressi dello steccato che delimitava l’area dei lavori, al centro della quale si apriva il profondissimo cratere della metropolitana. L’operaio rimase sorpreso.

– Sí, proprio là sopra. Ma voi come lo…

L’ispettore si avvicinò al punto in questione e fece un cenno ad Alex.

– Vedi? Nessun segno di trascinamento dal cancello a qui, nessuna orma recente; con tutta questa terra e questa calce le impronte delle scarpe si vedrebbero bene. Nessun segno di colluttazione, nessuna traccia di corpi contundenti, niente di niente. E il cumulo di sabbia, un cono perfetto, ha la cima spianata. Lo hanno gettato dall’altra parte, dalla strada. Mascolo, c’eravate ieri?

Il capocantiere, che aveva ascoltato con crescente rispetto, si riscosse.

– Sí, ispetto’, anche se era domenica. Abbiamo finito verso le dieci. A volte continuiamo di notte, ma giú in fondo. Adesso no, però, stiamo aspettando una trivella nuova.

Lojacono si toccò l’orecchio, pensoso.

– Quindi durante la notte. È successo altrove e l’hanno portato fin qui.

Nel frattempo Alex aveva chiamato la volante, che era subito giunta. Il gruppetto dei curiosi ammontava ormai a una dozzina di persone.

Lojacono disse alla collega:

– Vai tu in ospedale? Io mi assicuro che il sito sia sotto sorveglianza e torno in commissariato. Ci sentiamo piú tardi.

Alex partí velocemente verso la Pignasecca, dove si trovava l’ospedale dei Pellegrini.