Angela contava le mattonelle e si chiedeva cosa sarebbe successo.
Erano le due principali attività della sua giornata, oltre a parlare col bambino. Ma adesso lui stava dormendo e non voleva disturbarlo.
In realtà non sapeva se stesse davvero dormendo, e nemmeno se nella condizione in cui si trovava si dormisse o no. Non ci aveva mai pensato, e ormai era troppo tardi per domandarlo a qualcuno, magari a quel gentile, giovane dottore che aveva incontrato un paio di volte all’inizio. Però le piaceva immaginare che in effetti funzionasse proprio come all’esterno, e che quindi lui avesse i suoi cicli di sonno e di veglia, l’ora dei pasti, il tempo dei giochi eccetera. Per questo preferiva parlargli quando presumibilmente non lo disturbava.
Le mattonelle del pavimento invece si potevano disturbare in qualsiasi momento, perciò le contò di nuovo: sedici, lungo la parete che vedeva stando a letto distesa sul fianco sinistro, la posizione per lei piú comoda. Sedici quadrati di venti centimetri di diagonale disposti a formare dei rombi. Quindi tre metri e venti. Senza bisogno di contarle ancora, ricordò che il pavimento, ai piedi dell’altra parete, quella piú lunga, aveva ventuno mattonelle. Quindi quattro metri e venti. La stanza pertanto misurava tredici metri e quarantaquattro centimetri quadrati.
I numeri. Ad Angela i numeri erano sempre piaciuti da morire. Si capivano subito, lei e i numeri; ogni volta che li incontrava, ogni volta che entrava in un sistema numerico si sentiva veramente libera.
Libera.
All’improvviso le venne da piangere, ma ricacciò le lacrime in gola.
Si alzò, facendo piano, e girò attorno lo sguardo nella sua prigione. Quattro pareti, la porta che non c’era. Una finestra sbarrata, la fitta grata di metallo che tiene ferma l’asse di legno, il filo sottile di luce e di aria nella parte superiore. I mobili addossati ai muri: l’armadio, il cassettone, il tavolo vecchio con un velo di polvere; piú tardi l’avrebbe pulito con la pezza che stava sullo schienale dell’unica sedia. Cercava di tenere in ordine la stanza, anche se pareva fosse la sola ad averne cura. Sul tavolo, su quel velo di polvere, il piatto vuoto e il bicchiere sporco di latte della colazione che le era stata portata puntualmente, come ogni mattina, e che aveva divorato. La fame non le era passata, anzi, andava aumentando.
Diventerò enorme, si disse.
E, come la colazione, puntuale arrivò la domanda nella sua mente, affilata come una lama, abbagliante come il raggio di sole che le sarebbe piaciuto veder entrare dalla finestra sbarrata: cosa sarebbe successo, adesso? Come si sarebbe conclusa la storia?
Non avrebbe voluto pensarci, e comunque la parte razionale di lei era consapevole che non c’era una risposta. Ma proprio non poteva fare a meno di chiederselo, giorno dopo giorno, ora dopo ora. E immaginava scenari, circostanze, incontri di volta in volta positivi, in cui tutto andava bene e tutto si risolveva, e lei e il bambino passeggiavano su ponti sconosciuti davanti al mare tenendosi per mano e chiacchierando; o negativi, in cui finiva ammazzata dentro un fosso di una brulla e desolata campagna.
Le parve di sentire un rumore dall’altra parte del muro: una sedia che era stata spostata, forse. Si chiese quale fosse lo stato d’animo di là. Se ci fosse preoccupazione, paura, se addirittura si stesse valutando qualche terribile alternativa. Quella era la cosa che la terrorizzava di piú: che a un certo punto si aprisse la porta che non c’era e venissero a prenderla, nel silenzio, nella notte.
Si accorse che il bambino era sveglio, o che almeno si muoveva. – Ciao, Mimí, – mormorò.
Era stato facile dargli un nome. Sapeva che, nella situazione precedente, le sarebbe stato impedito: figurarsi se la sua opinione, il suo pensiero avrebbe contato qualcosa, soprattutto nelle faccende importanti.
Ma nel contesto attuale poteva fare di testa sua, senza ostacoli. Almeno questo.
– Sai, Mimí, – sussurrò guardando verso la parete con l’armadio, – oggi sarà una bella giornata. Riposerò, magari rileggerò qualcuno di quei vecchi giornali accatastati per terra. Oppure accenderò la radio, a bassissimo volume cosí nessuno sente, e riprenderò contatto col mondo.
Chissà che succede fuori, Mimí. Chissà che cosa troveremo, se mai usciremo di qui.
Si passò la mano sul ventre, non aspettandosi risposte. E invece avvertí un altro impercettibile movimento.
– In prigione tu e in prigione io, Mimí. Madre e figlio insieme. Che ne sarà di noi?
E riprese a contare le mattonelle.