Se l’era ripetuto un milione di volte almeno: non devo sembrare nervoso. Devo proporre una nuova immagine di me stesso: un uomo che sa gestire i momenti emotivamente piú intensi, che sa controllarsi.
L’assistente capo Romano Francesco, di anni quaranta, soprannominato Hulk per la facilità agli scoppi d’ira, che lo avevano portato a mettere le mani al collo di un dannato spacciatore durante un interrogatorio, sedeva con una rivista sulle gambe per la quale fingeva interesse estremo, lanciando distratti sorrisi alla bella donna che aveva di fronte.
In realtà la rivista non l’aveva degnata di uno sguardo, sebbene la pagina alla quale era aperta mostrasse il nuovo amore di una famosa showgirl con un paio di sgranate foto notturne che potevano ritrarre chiunque. I sorrisi alla bella donna seduta davanti a lui erano veri, invece; anche perché la bella donna era Giorgia, la sua quasi-ex-moglie, e il luogo dove si trovavano era la sala d’attesa dell’avvocato Valentina Di Giacomo, la cui targa, all’esterno del palazzo, recitava: «Studio legale, specializzato in diritto di famiglia».
Era curioso che l’appuntamento presso quel tipo di professionista, piú volte sollecitato da Giorgia e al quale non si era mai presentato, ora fosse stato non solo richiesto, ma anche procurato proprio da lui, Francesco Hulk Romano. Inoltre la ragione della visita non era quella separazione che Giorgia pareva aver desiderato con tanta forza, ma il suo esatto contrario.
Romano non resistette, e lasciò andare gli occhi all’orologio che aveva al polso. Quasi mezz’ora di ritardo rispetto all’orario stabilito. Si mosse sulla poltroncina, un po’ a disagio. L’ambiente era anonimo e disordinato, con uno sgangherato schedario che occupava quasi tutta la parete di lato, un divanetto, due poltrone anni Ottanta in velluto marrone con la seduta consumata e un tavolino basso pieno di giornali vecchi. Ad aprire la porta era stata una ragazzina magra, con gli occhiali e il profilo da roditore, il naso rosso per un raffreddore o un’allergia; li aveva fatti accomodare, poi se n’era tornata in qualche antro oscuro all’interno, dal quale proveniva il veloce picchiettare su una tastiera.
Dalla stanza chiusa dello studio dell’avvocato non giungeva alcun suono. Romano si chiese che cosa potesse stare facendo di cosí importante da farli attendere, giacché il telefono, a quanto aveva detto Palma, poteva squillare da un istante all’altro richiamandolo in servizio, e Giorgia aveva chiesto qualche ora di permesso dal suo lavoro precario presso uno studio di commercialista. Era davvero assurdo. Cosa credeva quella stronza, che non avrebbero pagato? Lui avrebbe versato fino all’ultimo soldo, ma voleva ricevere il servizio che gli era dovuto.
La rabbia che gli saliva in corpo era per lui una sensazione dolorosamente familiare; cercò di pensare ad altro con maggior forza. Giorgia dovette intuire qualcosa, perché distolse lo sguardo e si mise a fissare la polverosa finestra attraverso cui si percepiva il clima umido di quella sera di ottobre. Proprio quando Francesco aveva deciso di alzarsi per bussare alla porta dell’avvocato, questa si aprí e comparve una donna con un fazzoletto in mano, le guance arrossate e umide e un paio di occhiali da sole. Mentre l’avvocato l’accompagnava all’uscita, Romano fece in tempo a distinguere l’alone bluastro che le lenti scure non riuscivano a celare del tutto.
Si sentí un verme schifoso, e per piú di un motivo.
La Di Giacomo li accolse sorridendo cordiale.
– Eccovi qui, siete stati puntuali, mi ha detto la signorina. Io no, mi dispiace; ma con questo maledetto mestiere si sa quando si comincia e non si sa mai quando si finisce.
Romano raccolse il coraggio e, evitando gli occhi della moglie, disse a bassa voce:
– Avvocato, lei lo sa che può contare su di me, vero? Professionalmente, intendo.
La Di Giacomo dapprima lo fissò perplessa, poi scoppiò in un’amara risata.
– Ah, ho capito, come poliziotto. Mi creda, dovrebbe comprare un altro cellulare solo per le mie chiamate. No, certe cose vanno risolte in modo diverso, altrimenti si corre il rischio di non risolverle affatto. Prego, accomodatevi. E, come al solito, scusate il disordine.
In effetti lo studio della Di Giacomo sembrava sempre essere stato oggetto di un attentato terroristico: i documenti e i fascicoli impilati erano un po’ ovunque, inframmezzati da disegni infantili, fotografie e pupazzi di peluche. L’avvocato andò alla finestra e l’aprí, per cambiare l’aria appestata dal fumo.
– Non sono io, – si giustificò. – Io ho smesso da anni, ma alcune clienti non riescono a parlare se non fumano. Abbiate pazienza, adesso passa. Allora, come andiamo?
Romano aprí la bocca per rispondere, ma Giorgia l’anticipò:
– Tutto bene, avvocato. Siamo stati insieme dalla bambina, alla casa famiglia, quattro giorni fa. Era un po’ raffreddata, ma sapesse com’era contenta di vederci! È incredibile: anche cosí piccola, è in grado di riconoscerci. Le abbiamo portato qualche tutina; è bellissima.
Francesco sorrise, intenerito da quanto Giorgia grande si stesse legando sempre di piú a Giorgia piccola, al di là delle sue piú ottimistiche attese. Tralasciò di precisare che era tornato da solo altre due volte alla casa famiglia, dopo la visita con lei.
Sorrise anche la Di Giacomo, mentre cercava la cartellina con sopra il nome «Romano».
– Sono felice di questo, bravi. La vostra presenza costante è fondamentale per l’adozione alla quale puntiamo.
Romano si fece attento.
– Sí, perché dev’essere chiaro, eh, avvocato? Che noi adottiamo la piccola Giorgia, che tutta la procedura…
La Di Giacomo li guardò da sopra le lenti appoggiate sul lungo naso.
– Sí, a essere sinceri questo discorso non mi piace. Mi sa di supermercato, coi prodotti in vetrina e i clienti che scelgono. Sono bambini anche gli altri, in attesa di una famiglia che li accolga.
Fu ancora Giorgia a rispondere:
– Certo, avvocato, ci mancherebbe. Ma lei sa che mio marito ha trovato la bambina in un cassonetto, e che se non fosse passato lui…
– Sí, signora. È questo che ci dà qualche chance; la singolarità del caso deriva proprio dalla situazione che ricorda lei. E appunto per tale motivo è importante che un rapporto tanto speciale sia stato condiviso con lei e coltivato mediante visite costanti. È una cosa che ci dà molta forza: per il magistrato del tribunale minorile tutto ciò conta eccome.
Giorgia allungò la mano e prese quella di Francesco, con una piccola stretta. Lui sapeva che voleva dargli coraggio, e gliene fu grato.
Non passava giorno che non si ponesse mentalmente al cospetto dello strano, enorme sentimento di tenerezza e di protezione che provava per quella bambina. Era una condizione talmente nuova e inattesa nella sua vita e nella sua personalità, per come conosceva sé stesso, che gli faceva quasi paura. Si sentiva responsabile nei confronti della piccola, ovvio, ma era anche geloso di lei, ed era terrorizzato all’idea che potesse succederle qualcosa di brutto in quel mondo terribile che lui affrontava ogni giorno.
La Di Giacomo lesse un documento e apparve soddisfatta. Alzò lo sguardo.
– Dunque, come sapete abbiamo presentato a vostra firma l’istanza di adozione, con le indicazioni circa la particolarità del caso. La nostra memoria era ampia e riportava le notizie che in queste eventualità vengono richieste: la solidità economica, la disponibilità di un appartamento decoroso e di spazio sufficiente, le vostre storie personali, il lavoro, le famiglie di origine. Tutto.
Romano si agitò sulla sedia.
– E andava bene, avvoca’? Noi abbiamo risposto con sincerità, non ci permetteremmo mai di…
La Di Giacomo scoppiò a ridere.
– E certo, signor Romano, che diamine! Figuratevi se ci mettiamo a dire fesserie al presidente del tribunale dei minori, che peraltro è una delle donne piú intelligenti e furbe che io abbia mai incontrato. Quella in due minuti vi smaschererebbe, nel colloquio.
– Il colloquio? – chiese Giorgia.
L’avvocato annuí.
– Questa è appunto la bella notizia che vi dovevo dare, la ragione per cui vi ho convocati qui. Il presidente del tribunale vuole incontrarvi. È un ottimo segno; indica che le procedure sono veloci e che potremmo avere novità a breve.
Romano cercava di controllare il cuore che gli era balzato in gola.
– E quando… che tipo di colloquio sarà, avvoca’? Verrà anche lei, no?
La Di Giacomo fece una smorfia.
– No, il presidente vuole parlare in privato con gli aspiranti genitori. Ve l’ho detto, è una donna molto in gamba. Capisce tutto al volo, e non delega niente. La presenza di un avvocato inquinerebbe forzatamente la sua impressione, e lei non consente inquinamenti.
Dopo un attimo di silenzio, Giorgia domandò:
– Ma cosa vuole appurare il giudice su di noi? Non è possibile evitare l’interrogatorio? In fondo abbiamo presentato i documenti e…
L’espressione dell’avvocato si indurí appena.
– Signora, non sarà un interrogatorio, ma un colloquio. Credevo di essermi espressa con chiarezza. E non si tratta di un evento aggirabile, perché è la richiesta del massimo organo preposto alle adozioni. Il presidente vuole approfondire un punto che evidentemente non le risulta chiaro e, se ci riflettete, bisognava aspettarselo.
Romano, con voce troppo bassa, chiese:
– Quale?
Gli occhi verdi della Di Giacomo lo fissarono, inespressivi.
– La solidità affettiva del vostro rapporto.