Il vicecommissario non aveva una vera e propria rete di informatori, ormai a Lojacono era chiaro. C’era voluto del tempo per realizzare che Pisanelli otteneva le notizie grazie al livello di fiducia che la gente del quartiere aveva raggiunto nei suoi confronti. E la cosa notevole era che in cambio non aveva mai concesso favori o girato la testa dall’altra parte, il metodo classico attraverso il quale un poliziotto riscuote benevolenza in un luogo dalla diffusa microcriminalità come quello.
Pisanelli era sempre sé stesso, corretto e scrupoloso, duro in caso di necessità, ma anche comprensivo, pronto a dare una mano, perfino paterno quando c’era bisogno di un consiglio. Non era raro che un genitore gli chiedesse aiuto, se un figlio frequentava cattive compagnie o cominciava a bazzicare certe zone.
Cosí, se si doveva arrivare a un’informazione riservata di cui qualcuno, nel quartiere, era a conoscenza, nella maggior parte dei casi non serviva nemmeno che lui uscisse per strada: bastavano un paio di telefonate a chi, per il «settore» specifico, era competente.
Nella fattispecie Pisanelli aveva chiamato Gioia, una che alle spalle aveva almeno un ventennio di mestiere a buon livello, quella che oggi si chiamerebbe una escort. Era stata un’istituzione, ai suoi tempi, e ora si godeva un sereno e agiato riposo in un condominio riservato nella parte alta di Pizzofalcone; era diventata una bella e gentile signora, anche piuttosto raffinata. Aveva un terrazzino da cui si vedeva il sole luccicare sul mare e coltivava un’incredibile quantità di piante.
Pisanelli se l’era immaginata dietro la finestra a guardar scorrere la pioggia sottile sulla città.
– Il 15, hai detto, Giorgio? Fammi pensare, è quel parco a metà del vicolo, di fronte al fruttivendolo, giusto?
– Sí, Gioia. Proprio quello. Non ci sta piú il portiere, là. Solo una griglia di dannati citofoni. Perciò ti disturbo. Siccome non sappiamo che ci andasse a fare il tizio che hanno ridotto in fin di vita, e siccome il tassista che ce lo accompagnava è convinto che andasse a put… che cercasse come divertirsi, insomma, ho pensato che…
Gioia era scoppiata a ridere.
– Sono onorata che tu abbia pensato a me, Giorgio. Dopo tanti anni che non esercito piú pensavo di essere stata dimenticata.
Pisanelli aveva subito replicato:
– Ma che dici, Gioia, tu sei indimenticabile anche per chi, come me, non ha mai… Ma noi siamo amici, no? E ho pensato, forse Gioia mi può aiutare.
La donna rifletté.
– Mmm, fammi pensare. Il 15. Guarda, non so esattamente se lavora là o ci abita soltanto, ma c’è una trans, una che si fa chiamare Mary, piuttosto nota nell’ambiente. Me ne parlava un’amica, una ragazza in gamba, manco piú tanto ragazza a dire il vero, che ho incontrato alcuni giorni fa al supermercato.
Pisanelli l’aveva ascoltata con attenzione:
– E perché ti ha nominato questa Mary?
– Si lamentava, sai, le solite cose. Coi comportamenti delle giovani d’oggi c’è sempre meno spazio per il mestiere, questo è un fatto. E i clienti abituali, che sono anziani e ricchi, cercano qualcosa di diverso e di trasgressivo, senza però voler correre rischi. Pare che questa Mary stia conquistando molto mercato. Per fortuna, secondo la mia amica, il grosso del suo lavoro è su Roma, quindi sta fuori per gran parte della settimana. Me ne parlava a titolo di esempio. Non mi risulta altro, in quel parco.
Pisanelli aveva esultato dentro di sé.
– Grazie, Gioia. Preziosa eri, preziosa sei rimasta.
– Grazie a te. Mi ha fatto piacere sentirti. Se ti va, qualche volta passa da me, che ti preparo un caffè.
– Da te? Tu sei pericolosa. Preferisco evitare.
– Credi? Non lo so. Meglio avere rimorsi che rimpianti, non pensi?
Incrociata l’informazione ricevuta al telefono da Pisanelli con quella estorta in maniera non del tutto ortodossa dalla fruttivendola, Lojacono e Romano si misero a spulciare il citofono con rinnovate speranze. Il cognome di Mary, sgorgato dalla bocca della signora Concetta come una parolaccia, era Esposito. Romano aveva borbottato che ne avrebbero trovati una ventina, e Lojacono aveva sospirato.
Invece c’era un solo Esposito, a schiaffeggiare il pregiudizio dei due investigatori. E la melodiosa voce profonda che rispose non mostrò sconcerto o preoccupazione, indicando con sicurezza: palazzina C, quarto piano, uscendo dall’ascensore a destra.
La persona che venne ad aprire la porta fu un’ulteriore sorpresa: una ragazza magra e gentile, dai tratti raffinati con un trucco leggero e un sorriso contagioso. Occhi neri, capelli castani fluenti sulle spalle e un tailleur grigio. Poteva essere un’agente immobiliare, una manager o un’insegnante universitaria.
– Prego, accomodatevi. Vi offro un caffè?
Solo la voce, scura e rotonda, tradiva la natura originaria di Mary: il tono basso e avvolgente ricordava quello di un baritono.
Lojacono scosse il capo.
– No, grazie. Siamo qui per alcune informazioni su…
Mary rise.
– Sí, sí, lo so. È già la terza volta, questo mese. Non si rassegnano, eh?
I poliziotti si guardarono. Romano chiese:
– Che volete dire, signori’? Chi è che non si rassegna?
La ragazza fece una smorfia.
– Sentite, io lo capisco che dovete fare il vostro lavoro. Non vi voglio ostacolare, ma nemmeno posso accettare questo accanimento. È ancora quella stronza del piano di sopra, eh? Allora, per cortesia, ditele che vi chiami quando e se vede o sente qualcosa di irregolare, perché io non faccio niente di male. È chiaro?
Lojacono disse:
– Signora, io non so a cosa lei si riferisca né chi sia quella del piano di sopra. Noi siamo qui per l’incontro, o dovrei dire lo scontro, che ha avuto l’altro giorno con un americano che riteniamo risponda al nome di Ethan Wood, qui all’esterno della sua abitazione.
Mary spalancò gli occhi.
– Ah, ma allora… Mi dovete scusare.
Li fece entrare in un salottino arredato in maniera sobria e piuttosto elegante. In tutta la casa c’era un sentore di lavanda. Si sedettero sul divano, e lei prese posto su una poltroncina.
– Io svolgo le mie attività a Roma. Intrattengo relazioni, mi occupo di pubblicità. Faccio le mie cose e sono… sono quello che sono. E finalmente sono felice. Non è semplice, lo sapete, non lo è mai stato. Ma vivo bene qui, e qui voglio continuare a vivere, con tranquillità. In questa casa non ricevo nessuno, se non chi decido io, privatamente e non per lavoro. Sono giovane, ho trentadue anni, credo di poter fare quello che voglio, come chiunque.
Romano rispose, un po’ sbrigativo:
– Signori’, qua nessuno mette in discussione i vostri diritti. Abbiamo solo bisogno di sapere…
– Solo che quelle come me devono essere per forza puttane, drogate o…
Lojacono alzò una mano.
– Signora, per favore. Risponda alle nostre domande e ce ne andiamo, lasciandola alla sua vita che, se non contravviene alla legge, non ci riguarda. È vero o non è vero che ha incontrato un uomo, un americano, nella mattinata dello scorso sabato 17 ottobre? Che ha discusso con lui animatamente, all’esterno?
Mary esitò un istante, poi annuí.
– Sí, è vero. E non credo sia illegale avere una discussione con qualcuno, peraltro civile. Se non si trattasse di me, voi…
Romano la interruppe, secco:
– Signori’, a noi chi siete e che fate per campare non ce ne fotte proprio. Non è questo il momento né il posto per le rivendicazioni dei diritti omosessuali: per favore, non divagate. State ostacolando le indagini e questo sí che ci fa incazzare. Mi sono spiegato?
Lojacono non concordava con la maniera sbrigativa che Romano aveva di interrogare la gente, ma doveva ammettere che talvolta gli tornava molto, molto utile in quella città.
Mary capí che le conveniva collaborare.
– Sí, scusatemi. È che… sono abituata a dovermi difendere. È una cosa triste, ma è cosí. Sabato mattina io ero pronta per uscire, dovevo partire; ho l’abitudine di andare con lo scooter alla stazione a prendere il treno. Ero in ritardo e arriva questo e si mette a chiedere di un certo Capasso: Capasso abita qui, perché non mi vuoi dire che abita qui, questa è casa sua… Io gli ho spiegato che non sapevo chi fosse questo Capasso e che qua ci abito io da sola da anni. Lui insisteva, ha cominciato a strillare, io l’ho mandato affanculo e me ne sono andata. Tutto qui.
Lojacono e Romano si guardarono. Romano mormorò:
– ‘Azzo, proprio una discussione civile.
Lojacono intervenne:
– Le ha detto il nome di battesimo di questo Capasso? E perché lo cercava qui da lei?
Il transessuale scosse la testa.
– Gli risultava che questa fosse casa sua, sventolava un foglio scritto a penna, ci batteva la mano sopra. Io andavo di fretta, mica potevo stare lí a fargli una seduta psicanalitica.
Il Cinese rifletté, poi domandò:
– Da quanto tempo risiede qui, signora? L’appartamento è suo?
Mary si fece all’improvviso cauta e guardinga. Romano drizzò le orecchie come un cane da caccia nel bosco.
– Io… io sto qui da sei anni. No, l’appartamento non è di mia proprietà.
Attesero per un po’ il seguito, ma pareva che la ragazza non avesse altro da dire. Prima che Romano esagerasse, Lojacono insistette:
– E allora di chi è, signora?
– Ascolti, io ho un regolare contratto di affitto e…
– Dunque non avrà difficoltà a risponderci, anche perché, in caso contrario, procederemmo a tutta una serie di verifiche.
In un sospiro, quella disse:
– La casa è di una mia amica che si chiama Angela.
Romano ruggí, esasperato:
– Angela come?
Per chissà quale motivo, Mary fissò il pavimento, quasi stesse ammettendo una colpa.
– Angela Picariello.