Con le dita sulla maniglia dell’ufficio, Laura Piras considerava l’ipotesi di prendere un periodo delle sue ingenti ferie arretrate. Un annetto, magari.
All’improvviso sentiva una fortissima nostalgia della propria terra. Le strade deserte da percorrere in macchina; campagna a sinistra e campagna a destra. Le colline, le pecore, il formaggio buonissimo, il porceddu e il Cannonau nelle sere d’estate. Il suono dolce della lingua, la musica. Il mare, il suo mare, verde e blu, cosí esteso e cosí accogliente. Fine di quel caos, di quel disordine indecifrabile che la circondava. E soprattutto un viaggio in aereo o parecchie ore di nave dalla situazione in cui si trovava.
Aveva rivisto Lojacono dopo tanto tempo e si era scontrata con lui; immaginava che sarebbe accaduto. Conosceva sé stessa e sapeva quanto poteva essere dura quando si metteva sulla difensiva.
Ma perché voleva difendersi da Lojacono? Perché era innamorata di lui. E innamorarsi, le era stato evidente mesi prima, non era un lusso che poteva permettersi. Una debolezza, una crepa, una pericolosissima falla: questo era innamorarsi. E lei aveva una carriera, un’autonomia e dei ricordi da proteggere. Alla donna che era diventata, o che credeva di essere diventata, non era consentito stabilire una relazione fissa con qualcuno, tantomeno se padre di una figlia adolescente e semplice ispettore di polizia di uno scalcinato commissariato della città.
Non voleva ammettere che il periodo trascorso con lui era stato il piú bello della sua vita da quando Carlo, il fidanzato, l’uomo al quale fin da ragazza aveva legato le speranze di una famiglia, era morto. Ammetterlo avrebbe significato rinunciare a troppe cose, e non era pronta. Per questo aveva commesso quella sciocchezza che ancora non si perdonava. Una sciocchezza che rendeva piú complicato, assai piú complicato, quello che l’aspettava adesso.
Al ritorno da Pizzofalcone, carica di rabbia e di livore verso sé stessa, verso Lojacono e verso il mondo intero, si era precipitata nell’ufficio di Basile. Il procuratore l’aveva ricevuta con cordialità: accogliere le istanze di Laura, in passato, si era rivelato corretto, e gli aveva dimostrato che il suo intuito non aveva smesso di funzionare. Stavolta, però, aveva espresso molta incertezza.
«Ci sono gli americani di mezzo, – aveva detto, – e non è mai una cosa buona, credimi, Piras. Rompono le scatole ai massimi livelli: quando si tratta di qualcosa che succede a uno di loro diventa sempre un affare di Stato. Questo, in realtà, mi spingerebbe a lasciarti indagare, perché cosí avremmo un boccone da dargli in pasto, ma la questione Picariello è un fatto serio. Il tuo amico Buffardi, la star del Palazzo di Giustizia, che si vede in televisione piú spesso di una mezzala, ci sta sopra da una vita e non ha mai digerito che gli sia scappato di mano proprio quando era sul punto di andare a prenderlo. Attraversare la sua strada non è sano per nessuno, fidati. Nemmeno per me».
Lei allora aveva esposto con calma le risultanze delle indagini di Pizzofalcone, e con abilità aveva buttato lí che, lavorando anche solo pochi giorni, avrebbero trovato di sicuro elementi utili per capire se la cosa era tutta nel territorio dell’antimafia, capitanato da Buffardi, o se poteva rimanere di loro competenza.
«Signor Procuratore, le prometto che sarò la prima a interrompere ogni attività se qualcosa, qualsiasi cosa, dovesse suggerirmi che la vicenda incrocia l’inchiesta sul clan Sorbo».
Basile aveva annuito, poi aveva replicato:
«Sí, Piras, lo so. Sei una ragazza in gamba, forse un poco troppo aggressiva per me, ma in gamba. È il figlio di Charlotte Wood, vero? Mamma mia, che donna fantastica. Da giovane non mi perdevo un suo film; ero pazzo di lei. Mi spiace che sia invecchiata male, peccato. Allora facciamo cosí: vai tu da Buffardi e parlagli. Se ti dice di andare avanti coi tuoi di Pizzofalcone per qualche giorno, il mio permesso ce l’hai. Ma è lui a doverti concedere il benestare: non posso subire un attacco pubblico, magari in una trasmissione televisiva. Non alla mia età».
Cosí, ora, Laura Piras doveva affrontare l’altra persona che tentava disperatamente di evitare. L’altra persona che l’aveva cercata con sempre maggiore insistenza, con curiosità e poi smarrimento, fino a che non aveva smesso, proprio come Lojacono. L’altra persona con cui aveva fatto l’amore, senza alcun senso e per una sola volta, nell’illusione di scacciare un chiodo con un altro chiodo, e fallendo miseramente.
Doveva affrontare il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia, Diego Buffardi. Di nuovo.
E le era venuta una voglia matta di Sardegna.
Un corridoio, l’ascensore, un altro corridoio, una svolta e una rampa di scale. Il Palazzo di Giustizia era un labirinto; aveva impiegato mesi per imparare a non smarrirsi, al suo arrivo. Ed era anche l’esemplificazione del caos perfetto. Centinaia di persone: avvocati, segretari, magistrati, poliziotti e imputati; tutti con una meta da raggiungere, tutti lí per essere ascoltati. Un inferno di confronti e di scontri in cui fiorivano e appassivano amicizie e amori, simpatie e antipatie, odi e invidie.
Ma adesso era tardi e, a parte qualche anima in pena che si aggirava con voluminosi fascicoli in mano, la Piras non incontrò nessuno. Meglio, pensò, meglio.
Sulla presenza di Buffardi in ufficio, però, non aveva dubbi.
Infatti c’era. Lo capí dalla luce che filtrava attraverso lo spiraglio della porta socchiusa. Non dovevano esserci operazioni in corso, perché nell’imminenza di un’azione il viavai di poliziotti e colleghi non si fermava nemmeno di notte. Stavolta mancava anche la segretaria, che sorvegliava e dirigeva il traffico mentre il gran capo era all’opera. Serata tranquilla, insomma.
Avvicinandosi al battente, Laura guardò l’orologio di sfuggita: era quasi mezzanotte. Aveva perso anche lei la nozione del tempo, come spesso le accadeva. Lavori per vivere o vivi per lavorare, dottoressa Piras? Le sembrava di aver smarrito il confine da molto. Forse da sempre.
Bussò con delicatezza e rimase sulla soglia. Buffardi sollevò la testa dalle carte, curioso di scoprire chi fosse lí, a quell’ora, oltre lui.
– Ah, guarda chi viene fuori dai tombini. Ciao, Piras. Non trovi l’uscita?
Laura entrò, mordendosi il labbro. Conosceva l’ironia tagliente del collega e si era preparata al peggio.
– Ciao, Diego. Contenta di vederti.
Buffardi era senza dubbio carismatico, e sapeva di esserlo: i capelli un po’ lunghi, leggermente brizzolati e in perenne, studiato disordine, il viso dai lineamenti regolari, gli occhi intelligenti e vivaci, il fisico atletico, i baffi curati erano diventati il simbolo mediatico della lotta dei buoni contro i cattivi. La novità era costituita da un velo di barba incolta, che lo rendeva ancora piú attraente, ma strideva un po’ con l’immagine precisa che il magistrato forniva di sé.
Il colletto sbottonato, la cravatta allentata, il posacenere pieno raccontavano di una lunga giornata che non era nemmeno vicina alla fine.
– Hai qualcosa di urgente? Perché come noterai sono impegnato, io.
Laura si aspettava quel tono. L’aveva frequentato poco, ma ne aveva inquadrato il carattere. Buffardi intratteneva le relazioni che gli servivano, utilizzava il proprio fascino a piene mani e senza scrupoli sfoggiando una ribalda sincerità. Il suo atteggiamento era quello di un re che si prende quello che vuole certo di averne diritto.
La donna era consapevole di aver rappresentato qualcosa di inusuale, per lui, anche se erano stati insieme un’unica volta. Lo aveva capito dall’insistenza e dal tono dei messaggi che le aveva inviato prima di rassegnarsi. Parole piene di una malinconia e di una tristezza che lasciavano scorgere, nascosta dietro il sorriso strafottente, un’anima molto diversa.
– Devo parlarti, sí. E si tratta di lavoro, un argomento per cui, di solito, hai rispetto.
L’uomo fece una smorfia.
– Io ho rispetto per un sacco di cose.
Le indicò una poltrona e Laura si sedette.
In breve riassunse la situazione di Wood, spiegando dell’aggressione, del ritrovamento, delle condizioni di salute della vittima, delle pressioni del consolato americano e delle prime indagini dei Bastardi.
Buffardi, con un altro sorriso sarcastico:
– Ancora Pizzofalcone. Un giorno mi dirai perché ci tieni tanto a quel posto infame. Sei una donna misteriosa. Forse per questo risulti intrigante. Solo per questo.
La Piras accusò il colpo, arrossendo. Resistette all’impulso di rispondergli seccamente e proseguí raccontando dell’appartamento abitato da Mario Esposito, detto Mary, e del suo proprietario.
A quel punto l’interesse di Buffardi aumentò in modo considerevole.
– La Picariello? Ne sei sicura?
Laura annuí.
– Hanno verificato. Pare che il fitto lo riscuotesse il marito. L’impressione è che dalla conduttrice Picariello non percepisse solo il denaro: questa Esposito lavora su Roma, ma è probabile che eserciti anche qui in città.
L’uomo si alzò e andò alla finestra. Il suo sguardo si perse nelle luci della strada.
– Tu mi hai ferito, Piras. Non lo credevo possibile, ma ci sei riuscita. Non fraintendermi, il problema è mio, non sei tu. Forse inizio a sentire il peso degli anni, forse ho paura. Lo so che siamo due lupi solitari, che gente come noi non deve aspettarsi nulla al di là di un buon bicchiere di vino e un po’ di sesso. Però stavolta… Ho sperato per settimane che comparissi da quella porta. Non mi era mai successo. E non doveva succedermi mai. Le scelte, quelli come noi, le hanno già compiute tanto tempo fa.
Si voltò, in faccia il solito sorriso.
– Ti sorprenderò. Tu sei convinta che stia per dirti di mollare tutto nelle nostre mani e di lasciare che se ne occupino gli adulti; dopodiché comincerebbe la consueta manfrina con Basile e il resto del mondo. Invece no.
Laura piegò la testa da un lato.
– Davvero? E come mai?
Buffardi prese a passeggiare per la stanza con le mani in tasca come fosse al parco.
– Ascoltami bene. La Picariello è un personaggio chiave. Collabora da dieci anni col marito, è anche lei commercialista. All’inizio era solo una segretaria, poi si sono innamorati, e l’amore, come sai, è una gran bella rottura di palle, in particolare sul lavoro.
La Piras fece scivolare il commento. Lui riprese:
– Sa tutto. Tutto di tutto. Non ha mai operato direttamente, perciò non c’è modo di fotterla, ma io so che lei conosce ogni cosa. Quando abbiamo stretto il cerchio e lui ha mangiato la foglia ed è sparito, sono andato da lei.
Laura immaginò il confronto, e sperò che Angela Picariello fosse una donna energica.
Quasi avesse intuito i suoi pensieri, Buffardi proseguí:
– Ma è una in gamba. Tosta da morire. Le ho offerto un programma di protezione che l’avrebbe messa al riparo dai Sorbo, di cui, come saprai, il marito è la mente finanziaria: è lui che fa sparire i soldi della droga, del gioco e della prostituzione, è lui che conosce le collocazioni dei conti; ed è sempre lui che adesso sta da qualche parte qua attorno, ne sono sicuro, e continua a lavorare in perfetta autonomia, perché quei maledetti non hanno cambiato l’operatività di una virgola, accidenti a loro. Mi pareva di averla persuasa; mi aveva detto: «Dotto’, datemi una giornata per riflettere».
Laura chiese:
– E poi?
Buffardi si fermò e mutò espressione, diventando cupo.
– È scomparsa. Puf. Si è dissolta nell’aria dalla sera alla mattina. Nemmeno i vestiti si è portata via.
La Piras si sporse in avanti.
– E non hai idea di che cosa…
Lui si strinse nelle spalle.
– No. Gli informatori, anche quelli in galera che di solito sono attendibili, non dicono niente. Pare ne siano all’oscuro anche loro. Le ipotesi sono tre –. Cominciò a enumerare sulle dita. – Uno, si è riunita al marito; credo lo amasse veramente, il che è incredibile perché lei è una bella ragazza e lui è un rospo infame. Due, l’hanno presa loro per impedirle di parlare, e se cosí fosse dobbiamo rassegnarci, perché o l’hanno ammazzata o l’hanno sbattuta in culonia; in entrambi i casi non la rivedremmo piú. Tre, è scappata; ma questa eventualità prevede le conseguenze della precedente: l’avranno già trovata e sarà in fondo al mare con un mattone legato ai piedi.
Laura era perplessa.
– Non capisco, se è cosí importante, perché hai detto che mi sorprenderai?
Buffardi sorrise.
– I motivi sono diversi –. Riprese a enumerare: – Uno, gli americani. Mi è già successo in passato di averli in mezzo alle palle e, credimi, sono una specie di tumore maligno che resiste alle terapie. Fingono di aiutarti e ti dànno un sacco di problemi; meglio che te li sciroppi tu, piuttosto che noi. Peraltro sono certo che il tuo turista in coma non aveva alcun affare con i Sorbo; l’America non rientra nei loro interessi, almeno non quella del Nord. Due, è sparita da un mese, per me ormai è fredda. L’abbiamo cercata dovunque, se la rintracciate voi tanto di guadagnato, ma credo proprio che sia fatica sprecata. Tre, mi servite come diversivo. I Sorbo vedono che la polizia sta ancora appresso alla Picariello e magari allentano la sorveglianza sul marito, oppure lui fa qualche cazzata per rimettersi in contatto con la moglie e viene allo scoperto. A volte, quando la situazione ristagna, bisogna gettare un sasso per smuovere le acque.
La Piras era ancora un po’ incredula.
– Quindi mi permetterai di seguire la mia pista in autonomia? Senza vincoli?
Buffardi alzò una mano.
– Piano. Puoi andare avanti, ma dev’essere ben chiaro che se, per pura fortuna, perché è ovvio che non siete in grado di comprendere il quadro generale, doveste trovare un solo elemento, un singolo dettaglio che riveli l’attuale dimora della signora Picariello, tutto passa a noi. Attenta, Piras, perché stavolta non mi fermerò davanti a niente, anche perché il vago trasporto che avevo per il tuo bel faccino è svanito. Prova a fregarmi e io ti stronco, mi sono spiegato?
Laura percepí la rabbia montare dentro; la arginò con la consapevolezza che quanto aveva detto fin lí mirava a ottenere quel risultato.
Replicò, dolce:
– Povero, piccolo Diego, forte all’apparenza e fragile nella sostanza. Fai pure il maschio, almeno qui che qualcuno te lo consente.
Buffardi le indirizzò un sorriso finto.
– Bene. Vedo che ci siamo intesi.
Laura si alzò.
– Un’ultima cosa: tornando alle ipotesi che hai elencato, perché la Picariello sarebbe dovuta fuggire?
Buffardi, che nel frattempo si era di nuovo seduto alla scrivania, rispose con noncuranza:
– Alla possibilità che sia ancora viva attribuisco non piú del cinque, dieci per cento, perché probabilmente la sorvegliavano; è difficile che sia scappata. Il desiderio di andarsene però ce l’aveva, è su quello che ho puntato tentando di convincerla a entrare nel programma di protezione. Perché la Picariello, cara Piras, è incinta. O almeno lo era. Sii gentile, quando esci chiudi quella cazzo di porta. In questo edificio non si può stare tranquilli nemmeno di notte.