XXVII.

Rientrato con Alex da Sorrento, Lojacono si accorse che non era tardi. Giornate come quella erano cosí intense che sembravano durare il doppio.

Diede appuntamento alla collega per l’indomani sul presto in ufficio, in modo da aggiornare gli altri e magari ricevere qualche notizia da loro. Resistette alla tentazione di chiamare Laura per sapere se avesse ottenuto un po’ di autonomia investigativa sul caso. Non sopportava l’idea che lei interpretasse la sua telefonata come una scusa per riprendere contatto dopo lo scontro del pomeriggio.

Guardò di sfuggita l’orologio e pensò che gli conveniva assecondare la fame e andare a cena nella trattoria di Letizia, dove Marinella lo aspettava. Non le piaceva mangiare da sola e gli aveva chiesto con insistenza dove fosse e quando sarebbe tornato. Allora il padre le aveva suggerito di andare dall’amica, dove forse l’avrebbe raggiunta. Non ci sperava, ma alla fine l’aveva convinta.

Risalendo il vicolo lungo il quale si trovava il ristorante, Lojacono rimuginava sui figli e sull’importanza del loro benessere fisico ed economico, ma anche, soprattutto, psicologico. Quella sera, attraverso le parole di Holly e scorrendo alcune delle lettere che gli aveva mostrato, si era sentito ancora piú responsabile di Marinella e della sua vita.

Tutto in lui spingeva verso Laura. Non era un’emozione qualsiasi, quella che provava. Era un sentimento serio, profondo e consapevole. Era l’amore della maturità, quello che nasce istintivo e contrastato e proprio per questo piú forte e resistente. Ma se il motivo per cui lei si era allontanata era la figlia, allora lui non avrebbe combattuto per riprendersela. Poteva lottare contro la carriera, contro le maldicenze, contro i ricordi; poteva battersi contro le paure di Laura, contro i suoi dubbi, le sue incertezze: ma non avrebbe fatto niente per trattenerla, se non voleva Marinella nella sua vita. Di questo era piú che convinto.

Dalla trattoria provenivano musica e risate, come sempre. Piú che per l’ottimo cibo, per la cucina tipica servita con grazia e per il buon vino, la clientela affollava il locale per la voce calda e la simpatia di Letizia Piscopo, la bella, dolce e florida proprietaria. E Letizia era sua amica.

In realtà lei avrebbe voluto essere anche altro, e l’aveva manifestato fin da quando lo aveva conosciuto, triste e scontroso dopo che lo avevano relegato senza mansioni nel difficile commissariato di San Gaetano, trasferito da Agrigento per motivi di opportunità. Altro che opportunità, pensò mentre si accingeva a entrare, il suo era stato una specie di confino: la delazione di un collaboratore di giustizia che non aveva trovato riscontri era bastata a rovinargli la vita. L’ispettore Giuseppe Lojacono, Peppuccio per gli amici che sarebbero spariti tutti di lí a poco, passava informazioni ai mafiosi. Vero? Non vero? Poco contava. Gli effetti erano stati gli stessi.

In quei giorni oscuri era stata Letizia la sola a tendergli una mano. Gli riservava il tavolo ogni sera e si sedeva con lui. Un po’ alla volta gli aveva strappato piú di un monosillabo, addirittura qualche sorriso. E quando era finito a Pizzofalcone e aveva ritrovato la voglia di lavorare e di vivere, c’era sempre Letizia al suo fianco. E ora era diventata amica di Marinella: con intelligenza, non si era proposta come madre supplente né come sorella maggiore, ma solo come il viso aperto e luminoso di una città che la accettava con gioia.

Quanto sarebbe stato bello se si fosse innamorato di Letizia, rifletté Lojacono prima che la figlia e la ristoratrice, che cantavano una canzone comica tra le risate dei clienti, si accorgessero del suo ingresso. Quanto sarebbe stata semplice l’esistenza con una donna perfetta che gli avrebbe dato una seconda occasione per creare una famiglia.

Le due l’avevano visto entrare e gli sorridevano entrambe, le guance arrossate per il caldo e per il canto. Si assomigliavano, perfino.

Ma lui sapeva che l’esistenza non è quasi mai semplice, e che i sentimenti seguono strade tortuose e imprevedibili. Aveva provato a innamorarsi di Letizia, ma non ci era riuscito. Mentre aspettava che finissero di cantare, prendendo posto al solito tavolo, il Cinese ripensò alle parole dell’uomo che aveva scritto a Charlotte per tutto quel tempo, ricordando l’amore di una notte e il sacrificio di una vita. E s’interrogò su quell’assurda emozione che gira le spalle alle discese piane e sceglie le salite piú impervie.

Marinella si lasciò andare su una sedia, ridendo.

– Hai sentito, papà? Letizia mi ha insegnato a cantare in dialetto. E non sembra proprio che sono siciliana, me l’hanno detto tutti! Mi hanno detto perfino che ho una bella voce.

Lui guardò la ristoratrice che si avvicinava con la chitarra in mano, mentre il pubblico improvvisato la invitava a continuare, e con una smorfia replicò:

– Ci mancava solo l’ambizione artistica. Tutto tranne che studiare.

Letizia si sporse in avanti per baciarlo sulla guancia e Lojacono dovette resistere per non perdersi con lo sguardo nella generosa scollatura.

– Ma se è bravissima, – lo rimbeccò la donna. – Ha cominciato molto bene la scuola, non ti ha raccontato? A parte la professoressa di Inglese, che dev’essere una vera strega, l’hanno presa tutti a benvolere.

Lojacono allargò le braccia.

– Ecco, lo sapevo, adesso ti ci metti pure tu. Guarda che io non sono e non sarò mai uno di quei genitori fessi che dànno ragione ai figli e vanno a litigare coi docenti. Io voglio che tutti siano contenti di Marinella, nessuno escluso. Sia chiaro.

Marinella rise.

– Dài, papà, conquisterò anche quella di Inglese, stai tranquillo. Ma se una è stronza, è stronza.

Il Cinese sospirò.

– Sono stanco, Mari. Ti prego, non farmi arrabbiare. Non voglio sentirti dire parolacce.

Letizia lo fissò preoccupata.

– In effetti hai l’aria piú stropicciata del solito. Giornata lunga, eh? Quanta fame hai, molta, media o poca?

Sapeva che la ristoratrice dimostrava il proprio affetto riempiendo piatti enormi e si affrettò a rispondere:

– Poca, per carità. È tardi, e se mi addormento con una delle tue bombe sullo stomaco non mi sveglio mai piú. Invece domani devo essere presto in ufficio.

Letizia strinse le labbra, le mani sui fianchi, e con occhio clinico sentenziò:

– Pasta, patate e provola. Te ne faccio un cucchiaio, poca poca. E niente vino. È una medicina, credimi.

Si allontanò, calamitando come sempre sul proprio fondoschiena gli occhi di tutti i maschi presenti. Lojacono sospirò e allungò una mano per sfiorare il volto della figlia, che socchiuse gli occhi accogliendo la carezza. Sarebbe bastato cosí poco per essere felici, pensò. Peccato.

Senza che potesse fermarla, la mente andò a Laura.