Angela si svegliò di soprassalto.
Aveva fatto un sogno stranissimo. Era con suo padre, vicino al porto di Castellammare, dove sovente la portava da piccola; però era grande, era come adesso. Le sarebbe piaciuto sapere cosa pensava, suo padre, del fatto che aspettasse un bambino. Ma lui sembrava assente: scrutava l’orizzonte con quello sguardo di pena e dolcezza che gli veniva ogni volta quando erano lí.
Lei gli aveva chiesto: papà, ma ti sei accorto che aspetto un bambino? Che sarai nonno? Non sei felice? Lui non si era neppure voltato. Con la voce rauca di quando stava per morire e non ragionava piú, aveva detto: «Solo di là, nenne’. Solo di là dal mare si può essere felici. Da questo lato no».
Allora, con orrore, lei aveva visto la pancia crescere e crescere, la veste tendersi e lacerarsi, la pelle diventare lucida e sottile fino a spaccarsi con uno fragore di legno secco.
Nello stato in cui a poco a poco si riacquista coscienza della realtà, si trovò a fissare la parete occupata quasi per intero dall’armadio. D’un tratto l’anta di sinistra si aprí ed entrò un vecchio magro, con la pelle scurissima e gli occhi tristi, che le si rivolse, brusco:
– Nenne’, ti ho portato la medicina che ti serve per il vomito e un po’ da mangiare. L’acqua la tieni, sí?
Angela cercò di parlare, ma la voce non le uscí. Tossí e riprovò:
– Sí, sí, l’acqua ce l’ho. Che… che notizie ci sono? Mica c’è in giro qualche… qualcuno strano, insomma?
– Che vuoi dire?
– Io… non importa. Non importa.
Il vecchio si indurí ancora.
– Ma ce l’hai chiara la situazione in cui stai, nenne’? Tu lo capisci che di quello che succede in giro non ti devi occupare? Lo capisci, questo?
Angela contò le mattonelle, in silenzio. Annuí.
Il vecchio riprese:
– Certa gente non dimentica. Certa gente non si ferma davanti a nulla. Certa gente non ha paura di nulla. E tu, proprio tu, lo dovresti sapere.
Angela sollevò la testa; un bagliore di ribellione le illuminò il viso.
– Non è sempre stato cosí. All’inizio lui… all’inizio era diverso. E dopo, quando ho scoperto tutto, non m’interessava piú. Perché io tenevo a lui e basta, era il mio mondo. Ora però che…
Si passò una mano sul ventre, come una carezza.
Il vecchio addolcí un po’ il tono, non l’espressione.
– D’accordo, questo lo comprendo, ma la tua condizione complica la faccenda, mai ce ne fosse bisogno. Chi può prevedere quello che accadrà?
Gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime.
– Io non resisto piú. Sono stanca. Ho paura, sí, ma vorrei respirare, camminare sotto la pioggia o il sole. Io non ho fatto niente, perché devo scontare questa… questa… – Indicò la stanza con la mano, soffermandosi sulla finestra sbarrata. – Questa galera, ecco. Perché una galera è. Non so nemmeno se è giorno o è notte, vi rendete conto? Mi manca l’aria!
L’uomo aveva ascoltato lo sfogo a braccia conserte, senza mostrare alcuna partecipazione verso il dolore di Angela.
– Hai un bel il coraggio a dire che non hai fatto niente. Ti sei scordata quello a cui hai collaborato? È niente, secondo te?
La ragazza scoppiò in singhiozzi, piano, le mani unite sulla faccia. Senza impietosirsi, il vecchio aggiunse:
– Finché le cose stanno in questo modo, finché qualcuno non mi assicurerà che posso, non ti lascerò mettere il naso fuori da qui. Disperati quanto vuoi, non mi convincerai.
Diede un’ultima occhiata alle stoviglie sul tavolino, si girò e rientrò nell’armadio.
Angela sentí il rumore del pannello di legno che si spostava.
Dopo qualche istante si asciugò le lacrime con un fazzoletto e si soffiò il naso. Poi si alzò e andò al cassettone. Prese una borsa all’interno della quale, in una tasca segreta, c’erano un taccuino nero e un mazzo di lettere legate con un nastro azzurro.
Sciolse il nastro, ne prese una e cominciò a leggere.
Suo malgrado, e con gli occhi rossi di pianto, sorrise.