Charlotte aveva saputo del giornale la mattina presto, intontita dal sonno. La truccatrice, un’italiana assunta sul posto e sua coetanea, con la quale aveva stretto amicizia, l’aveva svegliata che non erano ancora le otto, bussando con insistenza alla porta della sua stanza.
Avevano terminato le riprese alle tre passate, per sfruttare il piú possibile il tempo ancora bello e l’aria tersa della notte; subito dopo lei era andata a dormire. Il marito non era nemmeno rientrato per preparare le scene successive e Charlotte si chiedeva dove prendesse tanta forza e tanto entusiasmo, alla sua età. Con ironia si rispondeva che, tutto sommato, si trattava di energie che risparmiava da altre incombenze.
Bill Wood, il celebrato Bill Wood, non provava grande attrazione per il sesso. Non che fosse gay, ma non indulgeva spesso a quel tipo di piacere. Era un artista raffinato e sensibile, maniaco della luce e dell’immagine. Anche quando non girava trascorreva il tempo scattando fotografie che sviluppava e stampava con le sue mani nella villa sulla collina in cui vivevano, per poi raccoglierle in album che catalogava secondo criteri noti solo a lui.
Charlotte gli voleva bene, e per diversi motivi. Professionalmente gli era debitrice. Sapeva di essere bella, ma era una condizione comune a migliaia di ragazze che arrivavano a Hollywood, disposte a qualunque compromesso pur di vedere il proprio viso sullo schermo. Questo le era stato chiaro dall’inizio, come chiaro le era stato che l’intelligenza, la capacità di annusare l’atmosfera e di adattarsi a essa dovevano essere il suo personale valore aggiunto.
Era questa particolarità, infatti, che aveva affascinato Bill, avvezzo a valutare donne e uomini e a districarsi tra le attenzioni piú o meno interessate di cui era oggetto. Lui era in grado scorgere la realtà al di là delle apparenze, e in Charlotte aveva individuato qualcosa di speciale. Poi, conoscendola meglio, si era legato a lei sempre di piú, tipo Pigmalione a Galatea, e ora che aveva pressoché rinunciato ad avere eredi era Charlotte il suo futuro, oltre che il suo presente.
L’altro motivo per cui Charlotte era profondamente grata a Bill era la sua immensa generosità. Lei proveniva da una famiglia poverissima di Brooklyn. Il fidanzamento e il successivo matrimonio le avevano dato l’opportunità di aiutare i genitori e i fratelli, affrancando questi ultimi dal rischio di essere reclutati dalla malavita, come accadeva in quegli anni a molti giovani di origine italiana. Ma il regista non dava a sua moglie solo cose materiali: c’erano anche il prestigio, gli onori e le frequentazioni ai massimi livelli, fondamentali per una persona che aveva sempre nutrito ambizioni culturali. Era gratificante leggere la sorpresa negli occhi di donne e uomini che rappresentavano l’intellighenzia del paese quando si rendevano conto che la bambolina al braccio di Bill Wood era in possesso di un fior di cervello, lucido e tagliente al pari di un coltello affilato.
Tali considerazioni sorsero veloci nella mente di Charlotte nel momento in cui si ritrovò, in camicia da notte, a sfogliare le pagine del giornalaccio italiano dove comparivano la foto notturna nella quale abbracciava l’amante e l’altra che ritraeva Mimí da solo mentre guardava impacciato un obiettivo servendo ai tavoli. Avrebbe perso tutto, si disse. Tutto ciò per cui aveva lottato, che aveva guadagnato con fatica, sarebbe svanito per un’ora d’amore. Addirittura la truccatrice piangeva; la gravità della situazione non sfuggiva neppure a lei.
Con stupore si accorse che non gliene importava niente. Le dispiaceva per Bill e per la propria famiglia, sí, ma non nutriva dubbi su quanto fosse forte e profondo il valore dell’incontro con Mimí, avvenuto circa un mese prima, al suo arrivo. Su quanto fosse stato devastante incrociare quegli occhi, scambiare un sorriso con quell’uomo conosciuto mentre magnificava le virtú dei favolosi cannelloni proposti dallo chef del ristorante. La voce del ragazzo era calata di colpo, all’improvviso non trovava piú le parole: e mentre i commensali, Bill incluso, ridevano della meraviglia di lui davanti al volto di Charlotte, lei provava lo stesso incanto, solo che, da attrice, era piú abile a celarlo.
Aveva compreso subito che cosa significava quello sguardo, e mai, negli anni che seguirono, pensò di essersi sbagliata. Sguardi del genere dividono la vita in due parti: prima e dopo. Nulla è piú come prima, nulla può piú esserlo.
Decise che non si sarebbe tirata indietro. Che non avrebbe avuto esitazioni. Lo doveva a Mimí, a sé stessa, ma anche a Bill, che non meritava menzogne.
Si vestí con calma, raccolse le sue cose in una valigia di pelle di coccodrillo che ripose in un angolo della stanza e scese nella hall, pronta ad affrontare le conseguenze delle sue azioni.
Era il momento di combattere per il proprio amore, e cioè per la vita.
Non dovette aspettare molto. Bill irruppe nell’hotel dopo meno di un quarto d’ora, seguito da un drappello di assistenti alla regia, segretarie di produzione e operatori, tra i quali serpeggiava un palese sgomento.
Non l’aveva mai visto cosí. Rosso in viso, gli occhiali appannati, i radi capelli schiacciati sulla fronte dal sudore. La bocca che aspirava aria affannosamente, l’inseparabile pipa nella mano, il giornale aperto alla pagina della foto sulla spiaggia, la camicia a fiori sbottonata sul ventre. Era sconvolto, lo erano tutti. Tranne lei.
Prima che Bill potesse parlarle, Lucy Langdon le si parò davanti. Era il rappresentante della produzione, incaricato di controllare i lavori del film. Per le sue mani passavano le note spese, i comunicati stampa, le pianificazioni del girato. Fino ad allora i rapporti con Charlotte, come con gli altri attori, si erano limitati a un freddo saluto. Era un personaggio che provocava disagio, con quegli occhietti minuscoli dietro le lenti e quelle labbra strette.
– E brava la puttanella. Tu non ti rendi conto di cosa hai combinato. Questo danno è potenzialmente enorme. Enorme!
I vari membri della troupe compirono un simultaneo passo indietro, come diretti da un abile coreografo. Il portiere dell’albergo, recependo la sommessa istruzione di una segretaria, scortò all’esterno alcuni turisti che assistevano incuriositi alla scena. Charlotte, allibita, si voltò verso il marito.
– Bill, io… io non so che…
La Langdon la interruppe, secca:
– Certo che non lo sai, idiota. Tu stai mettendo a rischio non solo il film, ma l’intero progetto dell’azienda. Abbiamo investito su di te milioni di dollari. E quell’imbecille di tuo marito si dissolverà, appena verrà fuori che la fidanzata d’America si toglie il prurito in mezzo alle cosce col primo che capita.
Charlotte raccolse i frammenti del suo orgoglio, ricordò di essere una ragazza di Brooklyn e disse:
– Senti, brutto cesso infame, queste sono questioni private. Se non vuoi che ti faccia cadere di bocca quei denti marci, togliti di mezzo e lasciaci parlare.
La sicurezza della Langdon vacillò, ma non scomparve.
– Questioni private? Ti sbagli, bambina. Da situazioni come queste dipende il destino mio e di centinaia di altre persone. Mi sono già mossa, l’intera edizione di questa carta igienica verrà ritirata e mandata al macero, e il giornale non avrà mai guadagnato tanto. Il dannato paparazzo è stato raggiunto e convinto a rilasciare copie e negativi. Diremo, se qualcuno ne parlerà, che era una scena del film. E l’imbecille accanto a me, che non sa tenere al guinzaglio una moglie che potrebbe essere sua figlia, la girerà apposta oggi stesso. Dopo di che farete i bagagli e tornerete a Hollywood.
Charlotte sorrise, serena.
– E se rifiuto? Se scelgo di vivere la mia vita come mi va? Che fai, stronza, mi spargi il sale sulla coda?
Le due si fronteggiarono in silenzio per un po’, poi Bill, a bassa voce, intervenne:
– Posso parlare un attimo da solo con mia moglie, per favore?
A malincuore Lucy si allontanò di qualche metro, e cominciò a confabulare con tre collaboratori impartendo ordini.
Bill prese per il braccio Charlotte e la accompagnò in un salottino. Quando furono soli, la ragazza provò a spiegarsi:
– Bill, ascolta, io…
Il regista scosse la testa:
– No, ascoltami tu. Ti conosco, so che non agisci d’impulso, che sei molto matura per la tua età. E so anche che nessuno potrà impedirti di prendere le tue decisioni. Ma quello che ti devo dire, per onestà, è ciò che succederà a me.
Charlotte abbassò lo sguardo. Bill non le era mai sembrato cosí fragile.
– Io sono malato, Charlotte, – proseguí lui. – Lo sono da parecchio tempo. È un segreto che ho conservato con cura e non lo avrei mai rivelato nemmeno a te ma, date le circostanze, sono costretto. Non mi restano molti anni. Non c’è cura.
La ragazza allungò la mano sul braccio di lui, che si sottrasse.
– No, no, non è un problema. Ho fatto il mestiere che volevo, ho raggiunto una certa fama e una buona considerazione del pubblico e della critica. Sono felice. La fortuna è stata generosa con me, e tra le mie fortune ci sei stata tu.
A Charlotte si riempirono gli occhi di lacrime. Fuori, nel giardino dell’hotel, gli uccelli festeggiavano il sole della primavera.
– Questa cosa, se diventerà davvero pubblica, rovinerà tutto. Non si tratta del film e della produzione, come dice quell’arpia, ma della mia intera esistenza. Ci getteranno a mare, Charlotte. Si libereranno di noi. Sono potentissimi. Ne usciremo distrutti: tu una qualsiasi troia da strada, io un povero cristo impotente e cornuto. Non rimarrà nient’altro che questo. Sono stati chiarissimi, mi hanno chiamato stamattina da Los Angeles.
L’amore, pensò Charlotte. Il mio grande amore.
– Ti chiedo questo: e concedimi che mai ti ho chiesto niente finora. Torna a casa con me, portiamo a termine il film, aspetta con me che io non possa piú lavorare. Non ci vorrà molto, credimi. Poi riavrai la tua vita, e l’avrai col benessere e le ricchezze che ti lascerò, benvoluta e amata. È un piccolo sacrificio, se ci rifletti. Ti ho dato tutto quello che avevo, e ti darò ancora di piú. Ma ti prego. Ti prego.
Quindici giorni dopo, nella sua villa di Los Angeles, Charlotte scoprí di essere incinta.