L’uomo con gli occhiali guardava dalla finestra; pensava alle stagioni e lasciava affiorare i ricordi.
Non c’è che il mare, rifletteva fra sé, a suggerire in quale periodo dell’anno ci si trovi. È grigio e triste, adesso, con l’orizzonte confuso e il cielo dello stesso colore. E la spiaggia senza spiaggia, una striscia di terra brulla, punteggiata di spazzatura e di cani in cerca di cibo nei sacchetti aperti. Che schifo.
L’uomo con gli occhiali sospettava che anche nei mesi belli il posto fosse infame, per la verità. Ma almeno ci sarà il sole, e la gente, e le canzoni. Sempre meglio di questo squallore.
Mentre portava il calice di vino alla bocca, la sua mente corse alle estati passate alla fonda nelle rade di isole esclusive, dentro la cabina confortevole del suo panfilo, alla musica soffusa e agli aperitivi al tramonto. Chissà se sarebbero mai tornate, quelle estati.
La sistemazione, però, doveva garantire la piena operatività, non un panorama incantevole. Non aveva smesso un minuto di lavorare, e del resto non poteva: «Il mondo continua a girare, dotto’, – aveva detto il capo. – E poi credetemi, – aveva soggiunto con quella sua risata che dava i brividi, – un poco di isolamento e di tranquillità vi farà bene. Cosí non avrete distrazioni».
Il dottor Nicola Picariello era convinto che il capo sapesse benissimo di Mary e dei passatempi che ogni tanto si concedeva il suo uomo dei numeri, come lo chiamava scherzando. Il principale aveva occhi ovunque. E magari di lí a un po’, quando le acque si fossero calmate, un nuovo giocattolino glielo avrebbe fatto arrivare pure nella villa davanti allo squallido tratto di litorale in cui l’avevano sistemato. Per ora no. C’era ancora troppo casino.
La casa aveva tutto il necessario: due postazioni di lavoro sicure, che si collegavano ad alta velocità con un server in Birmania e uno in Canada; una scrivania e degli schedari; una segretaria efficiente, con una perfetta conoscenza di quattro lingue, che aveva detto di chiamarsi Melany e che, all’occorrenza, portava e recapitava i messaggi; era discreta e silenziosa, e non abbastanza attraente da rappresentare una tentazione.
C’erano inoltre un televisore con collegamento satellitare e dei giornali. Perciò Nicola era aggiornato, oltre che sulle quotazioni dei titoli e sui movimenti macroeconomici internazionali dettati dalle mutevoli condizioni politiche, anche sulla cronaca locale.
Il mattino precedente, leggendo dello stato in cui versava il turista americano ritrovato nel cantiere della metropolitana, aveva detto perentorio a Melany:
«Domani li voglio vedere entrambi. Falli venire da soli».
La donna aveva annuito. Picariello sapeva che doveva chiedere gli adeguati permessi, ma era certo che glieli avrebbero accordati.
I due arrivarono puntuali, nel primo pomeriggio. Erano in palese difficoltà, perché conoscevano l’importanza di quel tipo magro, con gli occhiali e le mani bianche sempre sudate, ma non ne comprendevano il linguaggio, cosí diverso da quello dei capi ai quali erano abituati a obbedire. Dovevano rispettarlo, ma non lo capivano.
Uno aveva superato i cinquant’anni, aveva lunghi capelli grigi e un paio di folti baffi cui doveva il soprannome: Baffone. L’altro era assai inferiore di età, le labbra grosse e il fisico tarchiato. Erano fratelli, ma non si somigliavano.
Picariello li fissò a lungo senza parlare, incrementando di molto il loro disagio. Alla fine disse:
– Come è successo?
Il piú giovane sbottò:
– Quello chiedeva, chiedeva. Stava facendo un casino in tutto il quartiere, poco ci mancava che andava direttamente al commissariato e…
Picariello alzò la mano e indicò il piú vecchio, che era rimasto in silenzio.
– Baffo’, parla tu. Io a lui non me lo fido di sentire, ogni volta che apre la bocca sono stronzate.
Quello lanciò un’occhiata in tralice al fratello, che barcollò quasi l’avessero schiaffeggiato e serrò i pugni.
– Dotto’, abbiamo perso il controllo, questa è la verità. Il tizio si stava agitando troppo, continuava a chiedere della signora e di vostro suocero. Teneva un foglio in mano, dicono, con indirizzi, nomi e cognomi, ma noi non lo abbiamo trovato. Non c’era scelta.
Un muscolo cominciò a guizzare sulla guancia di Picariello.
– Vi ho domandato come è successo. Voglio sapere che avete fatto, non quali motivazioni avevate in quelle teste di cazzo.
Il giovane, a denti stretti.
– Ma come, teste di cazzo? Io non…
L’altro lo rintuzzò, secco.
– Carlu’, statti zitto. Fai parlare a me –. Poi si rivolse a Picariello. – Dotto’, la consegna nostra è sorvegliare chi vi cerca e perché. Dobbiamo scoprire che fine ha fatto la signora; è interesse comune, ci hanno spiegato. Ed è preoccupazione anche vostra. Il portiere, Emilio, ci ha detto che era passato due volte questo americano che chiedeva di lei.
Picariello annuí.
– Vai avanti.
Baffone si inumidí le labbra aride con la lingua.
– Si doveva capire chi era, e che voleva. La situazione è delicata, e abbiamo ordine di riferire per filo e per segno.
Picariello ribatté:
– Appunto: a me dovete riferire, subito. Invece non lo avete fatto.
Il giovane, Carluccio, precisò con strafottenza:
– E mica ci state solo voi. Pure la signora lo sapeva che i messaggi passano prima da…
Il commercialista non lo lasciò continuare.
– Non me lo ricordare, Carluccio bello, che ve la siete lasciata scappare sotto il naso. Che l’avete perduta, che chissà che fine ha fatto, portandosi dietro mio figlio e tutti i fatti nostri. Che, per colpa vostra, adesso ci sta questa mina vagante in giro, pronta a scoppiare da un momento all’altro.
Il teppista aprí la bocca, ma Baffone gli poggiò una mano sul braccio e strinse.
– Dotto’, tenete ragione. Il problema è che uno manco può stare appresso a una persona ventiquattr’ore al giorno, vi pare? La signora è… è furba. E d’altra parte noi ci dovevamo prima di tutto assicurare che non faceva l’infame, no? Ho pensato che…
– Non pensare, tu. Quello è il lavoro mio. Continua a raccontare.
Baffone diede un colpo di tosse.
– Abbiamo ordinato al portiere di dire all’americano che forse c’era uno informato di dove la signora era andata in viaggio e quando tornava. Che questa persona, però, si ritirava tardi, tardi assai, e se ci voleva parlare doveva venire alle undici sotto al palazzo. E ci siamo presentati noi. Dotto’, lo sappiamo che vi dovevamo avvisare, ma del portiere ci fidiamo e non ci fidiamo e…
Picariello non espresse commenti e l’uomo continuò:
– Aspettavamo prima di capire chi era questo tizio, che voleva dalla signora. Lo abbiamo prelevato e lo abbiamo portato nello scantinato che sapete, nel palazzo di fronte. Non voleva parlare, abbiamo provato a farci dire il suo nome però…
Picariello, a bassa voce:
– Ho chiesto com’è successo.
Carluccio esplose:
– Quello si era messo a gridare, era notte: ci dovevamo far prendere? Era un coglione venuto dall’America, chissà come conosceva a vostra moglie, magari si scrivevano e basta!
Picariello sospirò, infastidito da un rumore che proveniva dall’esterno, e si rivolse a Baffone:
– Com’è successo, Baffo’? Te lo chiedo per l’ultima volta. Se non rispondi bene, potete andare. Grazie.
L’uomo sbiancò, come se avessero pronunciato contro di lui una sentenza infausta, e si affrettò.
– No, no, dotto’, non vi pigliate collera, per carità. Lo abbiamo… lo abbiamo interrogato, e quello è caduto e ha sbattuto la testa. Non si svegliava. Abbiamo pensato che un morto… Che forse ci dava piú problemi, che era meglio se sembrava una rapina, no? E allora gli abbiamo tolto il portafoglio, l’orologio e il cellulare e l’abbiamo buttato nel cantiere. Tutto qua.
Picariello si alzò, raggiunse la finestra e scrutò il mare.
– Tutto qua, dici. Tutto qua. Non è mai tutto qua, Baffo’. Il passato ritorna sempre, sai. E presenta il conto. Niente è mai gratis. Niente –. Poi si voltò. – Il guaio è grosso, perché adesso l’indagine si è allargata e hanno pure un motivo per cercare quella zoccola di mia moglie, che invece pareva che non interessava piú a nessuno. Se la trovano è un problema enorme. Ma se il problema ce l’ho io, lo tiene pure Sorbo. E di conseguenza, ancora piú grosso, lo tenete voi.
Un gabbiano stridette lugubre fuori dalla finestra, e i due sobbalzarono appena. Picariello proseguí, freddo e inespressivo:
– Muore o no, dell’americano non me ne fotte proprio, perché chiunque sia è evidente che non sa dove sta la zoccola. Mi importa di lei, perché è al corrente di tutti i cazzi nostri. E perché ha mio figlio in corpo e senza il permesso mio non va da nessuna parte. Quindi, per prima cosa dovete trovare Angela. Sono stato chiaro?
Baffone mormorò:
– Dotto’, non è una cosa semplice. La signora, lo sapete meglio di noi, frequentava pochi amici; abbiamo fatto visita a tutti e non l’hanno vista. Noi non…
Picariello gli rispose, fermo:
– Da qualche parte però è andata, no, Baffo’? E come c’è andata lei, potete andarci voi. Ora voi la trovate. Con discrezione. Poi me lo venite a dire, dopodiché decidiamo.
Si avvicinò a Carluccio, fissandolo negli occhi. L’uomo arrossí fino alla radice dei capelli.
– Senza farsi prendere la mano. Un lavoro per bene, senza sbagli. Perché con Nicola Picariello una volta si può sbagliare, due no. Ci siamo intesi, coglione?
Carluccio aprí e chiuse le mani, sforzandosi per resistere alla tentazione di metterle al collo di quell’arrogante, inutile ometto. Baffone gli strinse di nuovo il braccio e replicò:
– State tranquillo, dotto’. È cura nostra. Permettete.
Senza aggiungere altro trascinò via il fratello di peso.
Quando furono usciti il giovane parlò con voce tremante di rabbia.
– Al momento giusto lo secco io a quell’uomo di merda. Me lo devi giurare.
Baffone rispose:
– Sempre se prima, per mezza sua, non ci seccano a noi. Andiamocene, va’.
Montarono in macchina e partirono con una sgommata verso la città.
Il gabbiano li guardava indifferente.