XLIV.

A un certo punto, Laura ebbe la netta impressione che qualcuno la stesse chiamando.

Sollevò la testa dal foglio che stava leggendo, la penna in mano per annotare qualcosa a lato; emergeva da una profonda concentrazione, favorita dal silenzio che regnava nel palazzo a quell’ora. La sera tardi era infatti l’unico momento al riparo dalla confusione del giorno, perfetto per affrontare le questioni piú spinose.

Dall’esterno non provenivano né rumori né voci. Si guardò attorno senza cambiare posizione, il battito accelerato nel petto, la punta della stilografica a pochi millimetri dalla carta. Non c’era nessuno: l’ufficio ordinato, la giacca del tailleur appoggiata allo schienale di una sedia che si intravedeva nella penombra, fuori dal cono di luce della lampada accesa sulla scrivania.

Eppure aveva sentito forte e chiaro, come un colpo di pistola, pronunciare il proprio nome, Laura, con quell’accento un po’ aperto di chi proveniva da un’isola. Che non era la sua.

Sapeva che la sua mente funzionava su due piani diversi, come tutta la sua vita, del resto. La capacità di tenerli distinti e distanti, come binari senza scambi e senza confluenze, era una costante dell’esistenza che si era scelta. Pertanto, un passo dietro di lei, dietro la determinazione della dottoressa Piras, dietro i suoi modi aspri, dietro la chiarezza delle sue idee e la nettezza dei principî, camminava la ragazza insicura e terrorizzata che era nata nell’attimo in cui le avevano comunicato la morte di Carlo.

Ed era la voce di Carlo che sentiva di notte, a volte, mentre stentava a addormentarsi e rimaneva sospesa tra veglia e sonno e la fantasia incontrava la realtà. Adesso però non stava per addormentarsi; stava lavorando, e la voce che l’aveva chiamata era quella di Lojacono.

La scelta di non cercarlo piú era stata dettata dalla ragione, Laura se ne rendeva conto; pelle e cuore non l’avrebbero mai compiuta. Quindi, rifletté posando la penna e abbandonandosi contro lo schienale per sgranchirsi, era naturale che il desiderio venisse a galla non appena le difese calavano per stanchezza o distrazione.

Vederlo le aveva provocato un’emozione violenta. Trovarselo vicino, con quegli occhi a mandorla e quell’espressione imperturbabile, le aveva riportato alla testa e al ventre il ricordo delle sue mani, del suo corpo muscoloso, del suo volto trasfigurato dalla passione.

Non è finita, dottoressa Piras, si disse. Non è affatto finita, e non c’è Buffardi che tenga. Non puoi accenderti e spegnerti come un televisore, né cambiare canale in caso di necessità. Non puoi farlo, anche se sarebbe assai comodo.

Si alzò e andò alla finestra. Le strade illuminate dai lampioni erano deserte e pericolose, fredde e inospitali. La patina lucida lasciata dalla pioggia, l’umidità che riem­piva l’aria raccontavano dell’autunno ormai inoltrato e della minaccia dell’inverno. Che farai, dottoressa Piras? Che ne sarà di te?

Si era tenuta aggiornata sul caso di Ethan Wood attraverso Palma, suo tramite istituzionale. Sapeva che Lojacono si muoveva in maniera autonoma e conosceva la sua tendenza a «dimenticarsi» di informare il superiore di un certo tipo di novità, quando temeva che barriere e ostacoli esterni gli impedissero di seguire la sua strada. Le piaceva anche per questo, ma non lo avrebbe mai ammesso.

D’altra parte, la stretta del consolato americano non accennava ad allentarsi. La figura di Charlotte Wood era ancora molto popolare oltreoceano e l’aggressione subita dal figlio aveva suscitato grande clamore. Dopo le telefonate dei funzionari era arrivata quella del console, una signora all’apparenza amabile e formale che sapeva diventare dura e tagliente come una spada affilata. Pretendevano una soluzione, soddisfacente e veloce. Esigevano di vedere in galera i responsabili o presunti tali, e poco importava se al termine di un lungo processo sarebbero stati scagionati con tante scuse perché le prove erano insufficienti. Gli americani volevano una testa sul piatto.

Nel contempo avevano cominciato a contattarla anche dal Comune, perché l’evento poteva avere potenziali, terribili conseguenze sul turismo in città. Ci mancava solo che viaggiatori eccellenti, celebri e con notevoli disponibilità economiche fossero ammazzati o ridotti a vegetali da rapinatori di strada: che sarebbe successo ai viaggiatori normali, quelli che mangiavano panini e si mettevano in fila all’entrata dei musei?

La doppia pressione, che si traduceva in altre chiamate del questore, del prefetto, del procuratore, non era adatta a lei, che diplomatica non era stata mai. Provava la fortissima tentazione di portare il fascicolo nell’ufficio di Buffardi e di dirgli tieni, grazie ma noi non siamo in grado di approfondire questo ramo dell’indagine. Avevi ragione tu.

Si sarebbe liberata in un colpo di tutte quelle telefonate, quelle mail e quelle convocazioni. Avrebbe dato dignità al fatto di sangue rendendolo una faccenda di criminalità organizzata, e pazienza se in America si sarebbe scatenata una ridda di ipotesi sulle attività collaterali e sulle relazioni misteriose del signor Wood. Stava comprendendo solo adesso la strategia di Buffardi, che si era scansato proprio per far gravare su di lei questa tortura. Era stato come sempre abilissimo a curare il proprio interesse. Tanto era certo che quelli di Pizzofalcone non sarebbero venuti a capo di nulla, e che tantomeno avrebbero rintracciato la Picariello.

Con ogni probabilità, poi, la donna era morta da piú di un mese, vittima di quella che una volta si definiva lupara bianca; i progressi tecnologici, del resto, fornivano ormai innumerevoli soluzioni per disfarsi di un cadavere.

Laura, però, condivideva l’idea di Lojacono, e mentre osservava il lampeggiare di una volante che procedeva lenta a centro strada venti piani sotto, ne fu ancora piú consapevole; questo era importante, perché un magistrato non può obbedire a logiche opportunistiche, deve inseguire la verità. E ciò che la incantava maggiormente del Cinese era forse la sua «logica calda», il suo modo di seguire le tracce, magari un po’ sentimentale, ma che non si spostava di un millimetro dalla stretta consequenzialità degli indizi.

Wood cercava Angela. E se era venuto fin qui dall’Ame­rica era perché contava di trovarla. E se poteva farlo lui, potevano riuscirci pure quelli di Pizzofalcone.

Sperò che qualcuno la informasse degli sviluppi, e soprattutto sperò che ce ne fossero, di sviluppi. Non poteva sostenere la situazione ancora a lungo, prima di dichiararsi sconfitta.

A margine del ragionamento professionale, la ragazza Laura che camminava un passo dietro il magistrato si chiese se le sarebbe stato concesso di fare di nuovo l’amore con l’ispettore Giuseppe Lojacono.

Perché senza di lui la vita le pareva davvero vuota.