L’agente scelto Marco Aragona sembrava uno di quei giocattoli che continuano a sbattere contro il muro, a indietreggiare e a sbattere ancora.
L’aspetto esteriore tradiva il suo stato interiore. Non sapeva cosa decidere, era sottoposto a due forze di uguale intensità ma di segno contrario: si avvicinava al magazzino di vico Striano 22, si approssimava all’ingresso della stradina cieca e se ne tornava all’inizio di via Serra, per poi avviarsi ancora verso l’imbocco del vicolo.
Non era il genere di luogo in cui è opportuno occuparsi delle stravaganze altrui, e poi faceva freddo, pertanto nessuno prestò attenzione allo strano personaggio piccolo di statura, con una sciarpa che gli copriva, stavolta opportunamente, metà del viso e un paio di occhiali azzurrati che nascondeva l’altra metà; ma sarebbe stato curioso capire che cosa avrebbe pensato di lui chi si fosse fermato a osservare quello strano rimbalzo: cento passi avanti e cento indietro, senza sosta.
Anche i pensieri di Aragona seguivano un percorso inconcludente.
Marco era uno che aveva ben chiari i propri interessi e voleva sopra ogni cosa il bene dell’agente Aragona, alla cui felicità votava ogni fibra del proprio essere. Da questa considerazione derivava, senza incertezze, la decisione di assecondare le richieste del genitore. L’aiuto fornito dal misterioso personaggio di cui ignorava l’identità e, fino a poco prima, pure l’esistenza, era una forza motrice di cui non avrebbe saputo valutare la portata precisa, ma certo doveva essere notevole. Perderlo poteva avere conseguenze terribili per il suo futuro professionale.
Poi c’era suo padre, che non si dimostrava certo tenero se non si faceva quello che gli era utile. Non ricordava, Marco, un’altra circostanza in cui gli avesse domandato un favore, e nemmeno l’aveva mai visto cosí teso e preoccupato. Ne conseguiva che, se le cose non fossero andate secondo il suo volere, la reazione nei confronti del figlio sarebbe stata pesante e violentissima. Ciò rappresentava di per sé un ottimo motivo per attenersi alle sue istruzioni.
D’altra parte, se gli avesse disobbedito, sarebbe terminato il suo periodo di permanenza all’hotel Mediterraneo. Una comodità straordinaria, una sistemazione che gli dava modo di vivere una vita da agente speciale (d’accordo, la dizione giusta era «scelto», ma l’iniziale della parola era la stessa) potendo concentrarsi sul lavoro senza provare la strisciante frustrazione di uno stipendio da fame. Con la presenza di Irina, per di piú, che era tornata, che non si era trasferita chissà dove, magari per sposarsi o per diventare la mantenuta di un milionario sfruttando la sua raffinatissima bellezza.
Inoltre, lasciare che le cose andassero come gli avevano chiesto sarebbe stato facile. Il deposito e il carico della merce sarebbero avvenuti quasi nello stesso momento e il magazzino la mattina successiva sarebbe stato vuoto come la sera precedente. Nessuno avrebbe potuto contestargli nulla, anzi, nessuno, forse, l’avrebbe mai saputo: figuriamoci se l’immissione sul mercato di un piccolo quantitativo di articoli di lusso contraffatti poteva essere rilevato. Doveva solo chiudere gli occhi e andarsene a dormire e l’indomani sorridere a Palma rassicurandolo: nulla da segnalare, capo. Che tecnicamente non sarebbe stata nemmeno una bugia.
E allora, cosa c’era sull’altro piatto della bilancia? Qual era il dilemma per cui l’agente, scelto o speciale che fosse, Aragona Marco stava consumando col suo isterico andirivieni i duecento metri che collegavano l’imbocco di vico Striano con l’incrocio di via Serra? Se tutto portava a un univoco e sereno farsi i fatti propri, perché non si trovava a letto, nel bozzolo caldo del benessere, invece di rabbrividire per l’umidità e la tensione, di notte, in mezzo alla strada?
Con fastidio Aragona rispose a sé stesso visualizzando l’immagine della sala agenti in una delle riunioni, con quella confidenza crescente, quella collaborazione e quell’affetto che erano ormai l’essenza dei Bastardi di Pizzofalcone, la squadra di outsider che ogni pronostico dava per sconfitta e che invece stava vincendo, alla faccia di tutti. Marco, che per tanto tempo era rimasto ai margini a osservare gli altri vivere, escluso dalle squadre di calcio e da quelle di pallavolo perché non aveva talento per lo sport, allontanato dai presunti amici perché troppo estremo nell’abbigliamento e nel modo di esprimersi, per la prima volta si sentiva parte integrante e attiva di una comunità.
Avrebbe saputo guardare negli occhi i colleghi, dopo quella notte? Si sarebbe sentito ancora un elemento del gruppo?
Mentre rimuginava, una voce uscí dall’androne di un fatiscente palazzo antico davanti al quale stava passando. Una voce lugubre, profonda, che lo fece sobbalzare e gli accapponò la pelle.
– Poi me lo spieghi, Arago’, perché stai andando avanti e indietro da un’ora?
Ricostruita la mappatura dei propri organi interni, che per lo spavento si erano scambiati di posto, Aragona rispose (o ci provò, giacché la voce non gli venne fuori ai primi due tentativi):
– Mpfff, mpffoff mpfiiiffff!
Districatosi dalla sciarpa, di cui nell’occasione aveva inghiottito almeno un ottavo del totale, ripeté:
– Madonna santa, che maniera è questa? Stavo per avere un infarto, cazzarola!
Dal buio emerse la figura intabarrata di Giorgio Pisanelli, la cui faccia preoccupata si intravedeva tra il bavero alzato e il cappello calato sugli occhi.
– Caspita, sarei io a fare paura, adesso. Ti sei visto? Vai avanti e indietro come un pazzo, sembri scimunito. Se abitassi da queste parti avrei già chiamato la polizia. Si può sapere che accidenti ti piglia?
Aragona si irrigidí.
– Io… io devo fare una sorveglianza, e…
– Sí, ho sentito il capo che te ne parlava. E sono andato a controllare la pratica; sai che ho amici in questura. Hanno chiesto di te esplicitamente. Non è una cosa frequente.
Il giovane si difese.
– Be’, che c’è di strano? Adesso uno non può godere di una certa stima da parte di…
Il vicecommissario avanzò, minaccioso.
– Guaglio’, non pensare di prendere me per i fondelli. Io sono vecchio, come tu non manchi mai di farmi notare, ero già un poliziotto quando tu eri una fantasia terribile dei tuoi genitori. Quindi non mi sfottere, io lo so che significa se arrivano segnalazioni nominative. Le ragioni possono essere solo due.
Aragona si tolse gli occhiali; la mano gli tremava.
– Cioè?
– Uno: qualche cattivo soggetto, in questura, ha recepito l’indicazione di un malvivente a cui serve che tu, proprio tu, ti occupi della cosa. Due: qualcuno, in questura, ti tiene d’occhio.
Questa seconda eventualità ad Aragona non era venuta in mente.
– Tenere d’occhio me? E per quale motivo?
– Tu perché vorresti tenere d’occhio uno? Perché non ti fidi di lui.
Marco rimase a bocca aperta. Adesso era davvero terrorizzato.
– E allora… Che si fa, in questi casi?
Giorgio avanzò di un passo, lo prese sottobraccio.
– In questi casi, bisogna capire che cosa si vuole diventare. È semplice. Vieni, spostiamoci da qua.
– Pisane’, spiegati, non ti capisco.
– È semplice, ti ripeto. Ricordi i miei colleghi che mo’ stanno giustamente in galera? Il giorno in cui fecero irruzione nel magazzino e trovarono tutta quella droga si guardarono in faccia, mi pare di vederli, e scoprirono che non volevano essere bravi poliziotti, ma uomini ricchi. Volevano le comodità, il benessere per sé stessi e per le loro famiglie. Non c’è niente di male, si dissero. Ci provarono, e le cose sono finite come sono finite. Ma il bello sai qual è?
Aragona procedeva come un automa. In piena notte, nel primo freddo dell’autunno, nel quartiere di Pizzofalcone che dormiva. O almeno cosí sembrava.
– No, qual è?
– Il bello, caro Marcolino, è che ci potevano riuscire. Chissà a quanti è andata bene prima di loro e a quanti andrà bene ancora.
– Però, di per sé, a voler stare meglio non c’è niente di male, no? I bastardi si misero a vendere la droga, e quella ammazza le persone, ma un paio di borse di marca… Cioè, mica muore nessuno. E se uno invece deve cambiare la vita per…
Con orrore, Marco si accorse di aver ripreso i ragionamenti elaborati in precedenza da solo, ma ad alta voce e davanti a un testimone. Si interruppe, serrando le labbra, ma Pisanelli sembrava non essersi reso conto dell’entità di ciò che aveva sentito.
– Qui non si tratta di male e bene. Qui si tratta di chi si vuole essere. Se si entra nella spirale dell’io faccio un favore a te e tu ne fai uno a me, tutto si può diventare, tranne che un buon poliziotto. Sia che ti stiano sorvegliando, sia che ti abbiano assegnato apposta un lavoretto.
Aragona si fermò, passandosi una mano sulla faccia.
– Pisane’, io… mio padre… lui… è venuto da me. Io non so nemmeno chi… Ma mio padre, capisci? Mio padre! E allora, ‘sto cazzo di magazzino, proprio stanotte…
Il vicecommissario non smetteva di fissarlo, gli occhi acquosi dietro le lenti; sembrava il fantasma della coscienza materializzatosi nell’oscurità.
– Ascoltami. Tu dici sempre che sono un vecchio rincoglionito, e forse è vero. In tanti anni uno accumula una quantità enorme di rimpianti e di rimorsi, è inevitabile, e ho imparato che sono meglio i primi, almeno ti assolvi dalle colpe. Solo che io tengo un rimpianto che è enorme.
Aragona credeva di essere in un incubo. Mancava poco alle due, la sua vita era a un bivio e se ne stava là con Pisanelli a discutere di rimpianti e di rimorsi.
– Pisane’, io vorrei tanto stare qua a chiacchierare con te, però…
Come se niente fosse, il vicecommissario proseguí:
– Riguarda proprio i bastardi di Pizzofalcone, quelli veri. Io avrei potuto, dovuto fermarli. E il rimpianto non è nei confronti della legge, dei poliziotti, dei ragazzi che comprarono la droga. È verso quei quattro, verso i miei colleghi. Potevano essere ottimi poliziotti, tra mille difficoltà. E io non ero là ad aiutarli nel momento in cui avevano bisogno di me.
– Giorgio, ma che dici? Quelli si fottono la droga, la vendono per cazzi loro e la colpa mo’ sarebbe la tua?
La mano di Pisanelli, sotto il braccio di Aragona, era calda, l’unica cosa calda che Marco sentisse su di sé.
– Sí, è mia. Perché i vecchi a questo servono. A prendersi le colpe, e a coltivare i rimpianti.
Si erano fermati in mezzo alla strada. Aragona notò che erano di nuovo all’imboccatura di vico Striano.
Pisanelli abbassò il tono della voce.
– Per che ora è?
Marco si sentí sprofondare nell’abisso.
– Per le due. Tra un quarto d’ora.
Il vicecommissario si guardò attorno e disse:
– Ecco come faremo.