Ciro Meccaniello aveva preparato il caffè e disposto le tazze su un vassoio. La pioggia, che aveva ripreso a cadere, picchiettava leggera sulle imposte accostate, rendendo piú acuto il senso di isolamento e abbandono generato dalle sedie e dai tavoli accatastati e impilati.
Angela Capasso in Picariello era molto bella. Lo si intuiva nonostante l’assenza di trucco, i capelli scarmigliati, gli occhi cerchiati dalla stanchezza, l’espressione preoccupata, le labbra strette dalla diffidenza. La chioma nera e folta, i tratti dolci e i lineamenti raffinati, il lungo collo e il corpo snello e sodo suggerivano quanto potesse essere incantevole in circostanze diverse.
Quasi soprappensiero la donna continuava ad accarezzarsi il ventre arrotondato.
Lojacono cercò di rassicurarla:
– Signora, innanzitutto voglio dirle che noi siamo del commissariato di Pizzofalcone. Ci occupiamo di delinquenza comune. Non siamo noi che combattiamo la criminalità organizzata; le nostre competenze sono altre.
Lo sguardo di Angela andava dai loro volti a quello di Ciro, che se ne stava in piedi in disparte, ma seguiva la conversazione con attenzione massima.
– Quindi non siete uomini di Buffardi? Non vi manda lui.
Lojacono scosse il capo.
– No. E le dirò di piú, anche se non dovrei: il dottor Buffardi non sa che l’abbiamo rintracciata. E non lo sa nemmeno il magistrato che coordina le indagini sul caso al quale stiamo lavorando noi, che è quello dell’aggressione a Ethan Wood, il turista americano abbandonato nel cantiere della metropolitana.
I grandi occhi neri della donna si riempirono di lacrime.
– Come sta? Si… Si salverà?
Alex rispose:
– Ancora non si può dire. Ha subito un intervento importante; è stazionario, ma privo di conoscenza.
Angela si morse il labbro, voltandosi verso la finestra.
– È colpa mia… è colpa mia. Questo ce l’ho io, sulla coscienza. Ma che potevo fare? Ci ho provato.
Meccaniello sussurrò:
– Angela… Non ti torturare. È inutile.
La donna stringeva in mano un fazzoletto; se lo passò sul volto con un gesto brusco. L’ispettore domandò:
– Perché dice che è colpa sua, signora?
– Perché l’ho chiamato io. Gli ho scritto. E siccome sono… ero sorvegliata, non potevo dargli l’indirizzo di casa. Quindi…
– Sorvegliata da chi?
Angela fissò Lojacono, con freddezza.
– Ispettore, io devo sapere che tenore avrà questa conversazione. Non c’è un mandato di arresto nei miei confronti. Non mi si contestano reati. Non ci sono ordinanze restrittive. Sono una donna libera, quindi potrei anche pretendere che usciate subito da questa casa. Parlo con voi perché mi aspetto di discutere in maniera diversa da come è stato con i vostri colleghi della Mobile, o col dottor Buffardi. Se non è cosí, la nostra conversazione si è già conclusa. Vi ringrazio, vi saluto e vado a fare i bagagli, perché parto immediatamente.
Le ultime parole della donna stridevano con l’immagine della persona dimessa e debole che i due poliziotti avevano avuto fin lí. Per un attimo rimasero disorientati. Alex, senza pensare, sorrise di fronte a quella razionale, lucidissima analisi della situazione.
Lojacono si riebbe dalla sorpresa e rispose, conciliante:
– So benissimo che è libera, signora. So anche che è in grave pericolo. Come le ho detto noi stiamo indagando sul caso di Wood, ma vorremmo anche salvarla dalla sua attuale condizione. Mi risulta che il dottor Buffardi le abbia offerto…
Angela lo interruppe:
– Mi ha offerto una vita nell’ombra, di cambiare città e di campare nella perenne paura di essere rintracciata, di incrociare lo sguardo insistente di uno sconosciuto. Se fossi stata sola forse avrei accettato. Oppure sarei con mio marito, adesso, anche se mi ha mentito e per anni mi ha tenuta all’oscuro di… di quello che era davvero. Ma io, ispettore, non sono sola. Ho mio figlio, con me. E per mio figlio non voglio una vita nell’ombra.
Alex disse, a bassa voce:
– È per quello che ha contattato Wood, vero? Per essere portata via. Lei voleva andare in America.
Lojacono guardò la Di Nardo; non gli aveva parlato di questa intuizione.
Angela annuí, decisa.
– Sí, esatto. Chi nasce negli Stati Uniti è cittadino americano. E cosí il mio bambino sarebbe stato protetto da un altro paese. Ho considerato che quest’uomo, sebbene non l’avessi mai visto, era per metà mio fratello, dunque anche zio di mio figlio. Se il sangue ha una voce, lo avrebbe chiamato.
Meccaniello intervenne, calmo:
– Ispetto’, ci dovete chiarire che intenzioni avete. Se siete qua per dare un aiuto ad Angela o per ricevere informazioni e basta. Nel primo caso potete restare e io vi preparo un altro caffè. Nel secondo, per favore, vi prego di lasciarci.
Era il bivio davanti al quale Lojacono e Di Nardo sapevano che si sarebbero trovati. Lo avevano previsto la sera prima con Palma e ne avevano discusso in macchina venendo a Sorrento. Il Cinese non ebbe bisogno dello sguardo d’approvazione della collega.
– L’aiuteremo. Può contare su di noi. Non è un caso che qui ci siamo noi e non Buffardi. Ma ci deve dire tutto. Senza reticenze.
Angela li scrutò, mentre la pioggia fuori rinforzava. Poi spostò gli occhi su Meccaniello: i due comunicarono a lungo senza scambiarsi una parola. Alla fine si alzò con un po’ di fatica, sostenendosi con le braccia, e si girò per tornare nell’armadio.
Alex fece per alzarsi a sua volta, ma Lojacono la fermò toccandole il polso. Dopo un paio di minuti, Angela era di nuovo lí. Aveva in mano un fascio di lettere legate con un nastro e un taccuino con la copertina nera. Si risedette, trattenne il taccuino in grembo e allungò le lettere verso Lojacono, facendole scivolare sul piano del tavolo.
– Ho trovato queste l’anno dopo la morte di mio padre, quando ho sgomberato l’appartamento di vico Egizio. Volevamo… mio marito voleva affittarlo. Ci mise dentro quel… quella là; l’ho saputo molto tempo dopo, altrimenti gliel’avrei impedito. Una delle cose schifose che ha fatto approfittando della mia buona fede.
Lojacono prese le lettere e cominciò a sfogliarle, passandole ad Alex. Erano di Charlotte, ordinate per data dagli anni Sessanta fino agli inizi del 2004. Di Nardo sospirò.
– Ho avuto modo di consultare quelle di suo padre. Si sono scritti con assoluta continuità per quarant’anni.
Angela sorrise, triste.
– Subito mi sono arrabbiata, scoprendole. Ho perso mia madre da piccola, quindi non saprei dire che sentimento mio padre provasse nei suoi confronti; la trattava con dolcezza, però, non le ha mai fatto mancare niente. Ma forse io ero innamorata di lui, come capita alle figlie, perciò sono stata un po’ gelosa quando le ho lette. Poi ci ho riflettuto e ho compreso che era stato un legame fortissimo. Per questo ho cercato Ethan.
Alex interloquí.
– Abbiamo visto anche la sua lettera. Ce l’ha mostrata l’altra sorella, quella americana.
La donna commentò:
– Holly, sí. Ne parla Charlotte nelle lettere e ne ho letto su internet. Mi pare una donna forte.
Lojacono riportò il discorso sul binario precedente.
– Signora, dobbiamo capire cosa è successo a Ethan.
Angela si strinse nelle spalle.
– Non ne sono certa, perché me n’ero già andata. Ciro era il solo vero amico di mio padre, e questa casa era l’unico posto dove potevo nascondermi senza che mio marito e… e quelli che sono con lui potessero ricostruire facilmente dove fossi. Ci eravamo sentiti per l’ultima volta un paio d’anni prima che papà morisse. Nicola non lo conosceva neanche di nome. E io mi ricordavo della stanza nell’armadio; ci giocavo da piccola.
Meccaniello precisò:
– Un posto dove mettere la merce comprata senza fattura conveniva sempre averlo, nel passato.
Angela proseguí:
– Gli avevo detto di rispondermi fermoposta, l’unico indirizzo che aveva era quello scritto sulle lettere inviate da mio padre a Charlotte. Non poteva chiedere direttamente di me, perché sapeva che ero in pericolo, quindi è probabile che sia andato per tentativi, fingendo di cercare Mimí Capasso. E cosí ha attirato l’attenzione.
Lojacono disse, quieto:
– Il portiere, vero?
Angela si mostrò disgustata.
– Quel viscido di Dell’Aquila. Un uomo loro. Mio marito mi diceva che costava un sacco di soldi, con la passione per le donne che ha. Per scappare ho dovuto aspettare che si allontanasse e anticipare i due che avevano il compito di sorvegliarmi. Li avranno crocifissi, non appena si sono accorti che ero fuggita. Secondo me sono stati loro ad aggredire Ethan.
Alex chiese, piano:
– Loro chi?
Sembrava una domanda normale in mezzo a una conversazione, e invece era la stipula di un patto. Se Angela avesse risposto avrebbe dimostrato di fidarsi; e i poliziotti, di conseguenza, avrebbero dovuto trovare il modo di aiutarla. Anche se ignoravano ancora come.
Tutti e quattro si resero conto che il momento era fondamentale. Ciro si spostò lievemente, senza cambiare espressione. Angela alzò gli occhi su di lui, quasi invocasse un’autorizzazione o almeno un sostegno.
Alla fine disse:
– I fratelli Spasiano. Gaspare, chiamato Baffone perché ha i baffi folti e spioventi, e Carlo, che è un animale. Girano in moto. Sono due tirapiedi, non gli affidano lavori seri perché sono violenti ma stupidi. Sorvegliare me doveva essere un compito semplice. Evidentemente, però, – il suo viso fu attraversato da un sorriso feroce, – non lo era.
Alex aveva preso nota.
– Se Wood non si sveglia e li riconosce, – disse, – non avremo prove contro di loro. Ma qualcosa la troviamo, no?
Lojacono confermò con un cenno, e domandò:
– Sono gli Spasiano che le stanno addosso, signora?
– Mica solo loro.
– Ma perché? Perché tutta questa paura di lei?
La donna rimase in silenzio. Si alzò, andò alla finestra e aprí appena l’imposta. Ciro accennò a fermarla, poi si bloccò. Dallo spiraglio Angela guardò la pioggia e attraverso di essa il mare.
– Mi cerca mio marito, perché non sopporta l’idea che suo figlio venga via con me. E mio marito, ispettore, è una figura importante. Molto importante. Piú di quanto creda il vostro famoso dottor Buffardi. E mi cercano loro, tutti loro, perché sanno di che cosa sono al corrente. Pure questo il dottor Buffardi non lo immagina.
Si girò e tornò lentamente al tavolo, sedendosi con cautela.
– Comincia a farmi male la schiena. È maschio, me lo sento. Si chiamerà Capasso, Domenico Ciro Capasso. E per me sarà Mimí. In un modo o nell’altro, nascerà libero.
Meccaniello, sentendo il proprio nome legato al bambino, trattenne il fiato. Alex si accorse che gli occhi gli si erano riempiti di lacrime, e provò un’immensa tenerezza.
Angela riprese, concentrandosi su Lojacono:
– Ispettore, mio marito non è il genio che sembra a tanti. È solo molto, molto astuto. Non ha mai rivelato integralmente i movimenti che effettua, cosí da diventare insostituibile; è una specie di assicurazione sulla vita, indispensabile coi clienti che ha. Ed è stato capace, nel tempo, di acquisire una rete di contatti, dei… fiduciari, chiamiamoli cosí, in giro per il mondo e nei posti giusti.
Un tuono rimbombò. Tutti sobbalzarono, tranne la donna.
Che continuò:
– La parte tecnica, però, quella strettamente operativa, la lasciava a me. Io sono brava coi numeri quanto lui lo è con le persone. Con quelle persone là.
Lojacono assorbí l’informazione e la incalzò:
– Quindi lei conosce…
Sul volto di Angela comparve una nuova determinazione.
– Io conosco tutto, ispetto’.
E, come se fosse un testo sacro, sollevò il taccuino con la copertina nera.
Fuori esplose un altro tuono.