MARZO

Comincia il mese che un tempo segnava l’inizio dell’anno, quello in cui la natura si risveglia dal sonno che l’ha paralizzata. Tutte le cose fremono per compiere un nuovo giro del loro ciclo di rinascita e morte. L’andamento della natura è circolare, cerchio su cerchio, ciclo su ciclo, si ripete regolarmente la sua necessità. L’andamento dell’uomo è diverso: è una spirale. Compie i suoi cerchi, il suo destino, ma ogni volta a un livello diverso, a una profondità diversa, a un’altezza diversa. Il suo destino è la libertà e nulla di previsto o prevedibile può ripetersi allo stesso modo, ma può accadere l’impossibile.

Ho rilasciato un’intervista alla giornalista dell’articolo sull’Appello, ma a modo mio. E così ho firmato la mia condanna, è solo questione di giorni, ma intanto l’Appello è diventato un fenomeno nazionale. Si diffonde in modo imprevedibile, contagiando singole classi o intere scuole. È la conferma che la scuola ha tradito la sua vocazione e si è appiattita sui desideri del nostro tempo: dovrebbe essere un luogo in cui diventare più liberi ed è bloccata da apparati burocratici e politici a cui interessa soprattutto preservare se stessi; dovrebbe essere un luogo dove conoscere se stessi e il mondo per poi prendersi cura di se stessi e del mondo, e invece spinge a odiare un sapere che non serve a vivere meglio; dovrebbe essere un luogo dove imparare a discernere tra ciò che vale e ciò che non vale, ma si è ridotta a un calderone di attualità e conformismo, che non incide sulla vita quotidiana dei ragazzi. Quando le relazioni non sono più l’origine della scuola, la scuola non può essere se stessa e diventa un esercizio di potere, o agito o subito.

L’attenzione dei media sull’Appello è diventata costante e, puntuale, la politica sta cercando di intestarsi un fenomeno che non può più controllare, provando a addomesticarlo, come quando si inaugura un’opera pubblica che altri hanno voluto. Nel nostro caso sarà il ministro in persona a incontrare i ragazzi, proprio dove tutto è cominciato. L’attuale situazione di crisi del suo partito e della sua leadership l’ha indotto a vedere nell’Appello una opportunità di riscatto.

Ha annunciato di voler incontrare i ragazzi durante il regolare orario scolastico, per ascoltarli e comprendere che cosa si aspettino. Almeno così viene spacciato l’evento dalla comunicazione del ministero. In realtà si tratta della solita mossa politica per appropriarsi delle energie e dei volti ancora puri dei ragazzi a scopo di consenso. A questo parassitismo politico si affianca sempre quello dei media, che non vedono l’ora di trasformare in emozione facilmente digeribile ogni cosa: più è virale più è vero. La verità ormai non c’entra più nulla con la realtà, ma solo con l’audience. Tutto diventa spettacolo che ci ipnotizza. È una delle prime cose da cui mi ha liberato la cecità: l’ipnosi delle immagini e la manipolazione dello sguardo attraverso le regole dell’algoritmo, che fa vedere cose diverse a ciascuno e ci convince che siano il mondo, e invece è solo la nostra tribù con i suoi idoli. A poco a poco la mia mente si è disintossicata da una droga da cui era dipendente senza averlo deciso. Abbiamo così preparato un piano degno di un racconto di Philip Dick o della prima puntata di Black Mirror.

In perfetta e furba eleganza istituzionale, il ministro ha occupato il posto dell’insegnante, il mio trattandosi della mia ora, alla cattedra. Io mi sono sistemato in un angolo, per godermi lo spettacolo (almeno l’audio). Doveva sembrare una normale lezione: nell’aula, che è piuttosto piccola, potevano rimanere solo il preside davanti alla porta e il cameraman nell’angolo opposto all’entrata. Tutti gli altri assistevano dal corridoio, alle spalle del preside. Poi è scattata la trappola, che nessuno si aspettava da quei dieci avanzi di scuola dell’obbligo, che fino a quel momento avevano interpretato la parte dei contestatori che però alla fine si consegnano gioiosamente complici al gioco dell’audience e del consenso. Oscar si è alzato, con un gesto rapido ha spostato il preside fuori dall’aula, ha chiuso la porta e l’ha bloccata con la forza, mentre Cesare la chiudeva con la chiave che avevano duplicato, prelevandola dal mazzo del bidello. Il ministro, in diretta, aveva già preso a srotolare il suo discorso autocelebrativo e non ha capito cosa stesse succedendo, così ha continuato a parlare come se nulla fosse: «… siamo impegnati da sempre per garantire agli studenti il meglio della didattica, e per questo abbiamo guardato con attenzione all’iniziativa sorta in questa scuola come a un progetto pedagogico all’avanguardia, l’Appello, lanciato proprio in questa classe, ritenendolo un valido spunto per il sistema nazionale che si sta attrezzando per…».

Immerso nella diretta, l’operatore ha continuato le riprese, fino a che i ragazzi non hanno interrotto il discorsetto.

«Ministro, per favore, la smetta di ripetere sempre le stesse cose. Siamo stufi di questi discorsi di circostanza», è la voce di Elena.

L’uomo si è paralizzato sulla sedia e ha capito che una reazione indispettita o violenta gli si sarebbe ritorta contro, anche perché i ragazzi, che si era immaginato ammaestrati a dovere, non stavano facendo nulla di male. Avevano semplicemente interrotto lo spettacolo.

«Vogliamo che lei ci ascolti, e con lei tutti quelli che vedranno questa diretta.» A parlare è stato Achille.

L’operatore ha continuato a riprendere i ragazzi, tranquillizzato anche dall’atteggiamento accomodante del ministro.

«Vi ascolto, siamo a scuola per questo.»

«Saremmo a scuola per questo» puntualizza Mattia. «Per cercare insieme la verità, studenti e docenti. Non si viene a fare propaganda politica o a prendere in giro un gruppo di studenti con il solito paternalismo d’occasione. Siamo arrivati all’ultimo anno di superiori, e da 5 anni sento ripetere la parola magica di cui vi siete riempiti la bocca: spirito critico. Cioè? Che cos’è, ministro?»

Dopo una pausa il ministro ha risposto.

«La capacità di giudicare qualcosa con lucidità e senza lasciarsi influenzare.»

«Benissimo. Ed è proprio quello che adesso faremo. La scuola ci tratta come animali da circo. Veniamo addestrati a ripetere ciò che dicono gli adulti – istruzione – e se lo ripetiamo bene allora siamo bravi e andiamo avanti – prestazione. Siamo prodotti di una catena di montaggio. Ma noi non siamo né animali né prodotti: veniamo qui 5 o 6 ore al giorno per diventare più liberi, non più ammaestrati. Ci dite cosa fare, ma non il perché. Veniamo farciti come oche da ingrasso: il programma, più ne fai meglio è… per poi essere divorati da un mondo che non capiamo. Non sappiamo più che farcene di questa scuola per teste vuote. Questo sistema invece di dare vita la toglie, perché è basato sulla ripetizione e non sulla scoperta, sulla interrogazione e non sull’interrogativo, sulla prestazione e non sulla presenza.»

«Che cosa intendi?»

A questo punto ha preso la parola Caterina, a soffiare sul fuoco che Mattia ha così ben acceso.

«La fisica attuale ci insegna che le cose non sono date una volta per tutte, ma che esistono nella misura in cui si instaura una relazione tra fenomeni. Quello che la fisica dei quanti ci ha svelato vale anche per le persone. Esistono solo nella misura in cui le relazioni le attivano, si esiste sempre almeno in due. Sono gli insegnanti a innescare le nostre vite e la nostra intelligenza, non bastano i programmi. Ogni persona è la somma di un dato di fatto e di un dato da compiere. E il dato da compiere è affidato a voi, che invece siete prigionieri sempre e solo del dato di fatto: della nostra storia non ve ne importa nulla. Per questo noi vogliamo che la smettiate di prenderci in giro e cominciate a seguire le leggi della fisica.»

«Come?»

«Prendendovi cura di noi, uno per uno. Siamo qui perché questo è l’anno della nostra maturità e nessuno di noi si sarebbe sentito in pace con se stesso se avesse affrontato l’esame di fine anno come una scimmia ammaestrata. A che serve un esame che non viene preso in considerazione per iscriversi all’università? A che serve un esame che promuove tutti? A ripetere un rito vuoto? Non siamo qui per chiedere di fare di meno, ma per fare tutto quello che serve, anche di più, purché abbia senso!»

Il ministro non ha parlato. I ragazzi lo stavano smascherando con una precisione sorprendente.

«Gestire il sistema scolastico nazionale non è una cosa che si improvvisa, ma sono qui ad ascoltarvi per capire come si potrebbe intervenire…»

«Per quello che vogliamo noi non servono soldi o riforme, solo un po’ di attenzione, tutti i giorni, o almeno una volta alla settimana», a parlare è stata Elisa. «E per questo cominceremo proprio qui, oggi, con lei, che farà l’Appello con noi.»

Aurora e Stella hanno raggiunto il ministro alle spalle e con delicatezza gli hanno mostrato una benda.

«Io?»

«È venuto qui per capire che cosa è l’Appello? Bene. Si faccia bendare, stia in silenzio e rinunci a imporre le sue parole. Ascolti. Uno per uno. In diretta nazionale. Giusto per dare il buon esempio richiesto a un ministro», la voce è quella di Aurora.

Il ministro non ha risposto, ormai prigioniero del meccanismo che lui stesso aveva costruito: ribellarsi avrebbe distrutto la sua immagine, perché i ragazzi stavano conducendo tutto in modo ineccepibile. Le ragazze lo hanno bendato, poi ognuno si è avvicinato, ha preso le mani del ministro, le ha poggiate sul proprio volto e ha pronunciato una frase.

MATTIA

Chi nomina male le cose aumenta l’infelicità del mondo e il mondo non può più sopportare tanta infelicità. La scuola è un luogo dove si impara a nominare le cose.

AURORA

Il mondo è fatto di nomi comuni e nomi propri. Chi vuole aderire all’Appello si impegnerà a “salvare” almeno un nome proprio al giorno.

ACHILLE

Salvare un nome significa farlo esistere di più e questo può accadere ogni giorno a scuola, in famiglia, per strada. L’Appello è un esercizio degli occhi e del cuore.

ELISA

Ciascuno potrà farlo come preferisce: un passante, un familiare, un amico… al quale permetterà di raccontare la propria storia, senza fretta, rimanendo in silenzio.

ETTORE

A questa sfida sono chiamati tutti, ragazzi e adulti, ciascuno con chi gli è affidato, con chi ha accanto, con chi gli capita a tiro. Ma è a scuola che tutto deve cominciare.

CATERINA

Perché solo da qui può prendere il via un cambiamento: è nello spirito che avvengono i cambiamenti. Tutto il resto è apparente. Noi crediamo in un umanesimo carnale e non mentale.

ELENA

Ognuno faccia la sua parte, con un nome solo, ogni giorno. È venuto il momento di costruire un mondo all’altezza della fisica che lo regola, come ci ha insegnato il nostro professore.

CESARE

Non siamo atomi ma molecole, non siamo individui ma nodi, non siamo isole ma arcipelaghi. Tutte le cose sono fatte così, non sono una qui e una lì, sono collegate con fili invisibili: dietro ogni reazione c’è sempre una relazione.

STELLA

Esistiamo nella misura in cui ci aiutiamo a esistere, per questo possiamo essere contemporaneamente vivi e morti, come il famoso gatto di Schrödinger. Dipende tutto dall’essere o meno chiamati all’Appello. E dal rispondere: presente!

OSCAR

Sei vivo solo quando qualcuno ti chiama per nome e ti tocca il volto per dirti che vai bene e che senza di te la vita non si può fare. Sei necessario, anche se fai un po’ pena!

È calato il silenzio. Il ministro è rimasto fermo. Gli è stata tolta la benda. Ha guardato in camera con un sorriso e non ha detto nulla, è riuscito a biascicare solo un grazie. Ho sempre creduto nella capacità istintiva di bambini e adolescenti di metterci in crisi proprio su ciò che pretendiamo da loro, chiedendoci conto del perché glielo chiediamo. Sanno bene che la verità o è di carne o è un’ideologia.

Quando la trasmissione è finita, i ragazzi hanno riaperto la porta. Il preside è entrato e il ministro lo ha investito di improperi e urla. Il preside proferiva solo dei monosillabi di costernazione, scuse e riverenza.

«Non finisce qui!» ha sibilato tra i denti quando gli strepiti del ministro si sono spostati in corridoio.

«Infatti abbiamo appena iniziato…» ha risposto freddamente Elena.

L’Appello è la prima notizia di tutti i telegiornali, occupa la prima pagina di tutti i giornali. Non c’è rete o sito che in un momento qualsiasi della giornata non trasmetta il video dei miei ragazzi con il ministro. La canzone di Cesare è diventata una specie di tormentone, qualcuno la canta persino per strada; i profili social creati da Achille sono presi d’assalto e migliaia di ragazzi mettono in atto la nostra rivoluzione gentile in centinaia di classi. Ci sono persino bambini delle elementari che mandano i loro video dell’Appello. Migliaia di storie inondano il Paese e si fanno strada come canti che non possono più essere ignorati, perché, una volta raccontate, le storie non puoi più nasconderle. Gli antichi dicevano che le parole dette a voce volano e quelle scritte rimangono ferme, e intendevano proprio il contrario di quello che noi oggi tramandiamo. Per loro solo la parola orale era libera di viaggiare, di superare i confini, di trasformare pensieri e idee, mentre le parole scritte rimanevano incatenate al supporto che le aveva accolte. E se non viaggia, quella storia rimane imprigionata sulla pagina. Le storie di centinaia di ragazzi adesso si propagano e non possono più essere arrestate, come i volantini della Rosa Bianca, piovuti a migliaia sulle città come bombe destinate a portare vita e non morte.

I miei studenti sono diventati degli eroi. I giornalisti li cercano per intervistarli, per sentire le loro storie direttamente: ciò che prima veniva ignorato ora è oggetto di curiosità morbosa. Non c’è via di mezzo, o non esisti o esisti troppo, inevitabile conseguenza di un occhio ugualmente malato, o indifferente o rapace, che determina la morte delle cose.

Poi arriva la telefonata che stavo aspettando.

«Professor Romeo, sono la segretaria della scuola, le passo il preside.»

«Grazie, signora, come sta?»

«Sto bene. Spero anche lei. Mi mancherà… Glielo passo…»

Una pausa di qualche secondo.

«Il suo incarico è stato revocato per inadeguatezza disciplinare. Non si presenti più in classe.»

«Quale sarebbe l’inadeguatezza disciplinare?»

«Riceverà una lettera con i dettagli. Stia bene.»

«Scusi, preside.»

«Che c’è?»

«No, dicevo, scusi per quello che le abbiamo fatto passare. Non c’era niente di personale contro di lei, volevamo semplicemente difendere la verità.»

«Ancora, con questa verità… Quale sarebbe lo sa solo lei!»

«Le persone, preside, le persone. Vengono sempre prima di qualsiasi idea, teoria, programma, progetto, regola… Tutte le volte che non va così non può che andar male, perché la vita viene sempre prima e noi abbiamo rinunciato alla vita da un pezzo.»

Interrompe la comunicazione.

Suonano al citofono.

«Omero! È un certo Virgilio!» Mia moglie mi urla quella che potrebbe sembrare una battuta.

«Scusa la sorpresa…»

«Virgilio!»

Lo accolgo con un abbraccio, dimenticandomi della sua presa poderosa che mi stritola. Da quando sono cieco il mio lessico fisico è diventato molto più spregiudicato.

«Che ci fai qui?»

«Ho saputo… e volevo sentire come stai.»

«Come uno che ha perso il lavoro che aveva appena ricominciato. Un nuovo record da segnare nel mio curriculum. E i ragazzi?»

«Frastornati: chi li ama e chi dà loro addosso. Il preside non sarà meno severo di quanto sia stato con te…»

«Lo sapevano a cosa andavano incontro.»

«Sì, ma adesso diventa reale, e hanno paura.»

«È giusto che sia così.»

«Il supplente rivoluzionario! A proposito, che hai fatto ad Annamaria?»

«Perché?»

«È venuta a cercarmi e mi ha chiesto se avessi scoperto qualcosa in più sulla situazione di Elisa.»

«E tu?»

«Le ho detto che i segni sulle braccia ci sono… ma che non ho ancora parlato con lei a tu per tu. E lei mi ha chiesto e cosa aspetti? Sono rimasto a bocca aperta. E prima ancora che la chiudessi ha concluso che ci avrebbe pensato lei.»

«E come è andata?»

«Non ho avuto altri aggiornamenti, ma ti farò sapere.»

«Sarai la mia spia…»

«Vacci piano… qualsiasi cosa tocchi fai un casino, e io non voglio perdere il lavoro.»

«Portare sfiga è il destino di tutti i supplenti e di tutti gli indovini. Eppure non è colpa nostra! Ci limitiamo ad avvertire prima. Come Tiresia…»

«Chi è, un collega?»

«Ma no! È l’indovino a cui Ulisse chiede se riuscirà mai a tornare a Itaca. Anche lui era cieco: sembra che per vedere oltre il proprio naso sia necessario non vedere proprio nulla.»

«E di me cosa vedi?»

«Che hai il cuore grande il doppio del normale, come tutti i tuoi muscoli.»

Virgilio scoppia in una risata.

«Il mio segreto sono gli hamburger. A proposito, devo portarti a mangiare i più buoni della città, così magari metti su qualche etto e non voli via nelle giornate di vento» mi prende in giro e intanto mi solleva afferrandomi dai fianchi, senza che io riesca a reagire. Poi mi rimette giù: «Sei proprio uno sfigato…».

Cerco di colpirlo dando dei pugni all’aria, ma senza esiti apprezzabili.

«E per l’hamburger quando vuoi, tanto adesso non devo neanche più andare a scuola… Però offri tu!»

«Il solito taccagno…»

«Il solito morto di fame…»

Dopo una pausa aggiunge: «Come farai?».

«Mi inventerò qualcosa… Magari faccio come all’inizio… qualche ripetizione, sai, il mercato dell’ignoranza non conosce flessioni.»

«Se posso aiutarti in qualche modo…»

«Potremmo rapinare una banca!»

«Hai ragione: chi sospetterebbe di un cieco?»

«In confronto Breaking Bad sembrerebbe Cenerentola…»

Scoppiamo a ridere. Quando riesci a ridere delle cose più serie, allora puoi stare certo di aver trovato un amico.

«Ho parlato con Elisa.» Annamaria mi ha proposto di incontrarci in un bar, e ora è lei ad aggiornarmi direttamente.

«E lei?»

«Mi ha detto che non sono affari miei e si è alzata per andarsene.»

«E tu che hai fatto?»

«Le ho preso un braccio e le ho detto che invece sono affari miei, perché ho perso un figlio, che si è suicidato. E io non ho saputo stargli vicino come avrei dovuto… Allora si è seduta e ha cominciato ad ascoltarmi.»

Proprio perché quella di Annamaria è una ferita che non si chiuderà mai, riuscirà a farsi ascoltare da tutti quelli che portano i segni di quella stessa piaga. Lei rinnoverà il suo dolore, ma guarirà quello di molti altri, perché ci sono ferite da cui si guarisce solo quando qualcuno le prende su di sé. E questo è quello che Anna ha deciso di fare con Elisa.

«E poi?»

«Poi mi ha ringraziata, piangendo, e se n’è andata. L’indomani ho trovato una lettera infilata nel mio armadietto a scuola. Era sua. Te la voglio leggere.

“Ho viaggiato in tutti i continenti, mi sono rifugiata in mille personaggi, sono scappata in secoli che mi apparivano più miei di quello in cui sono precipitata. E l’ho fatto perché non ho mai accettato di essere stata distrutta quando ero soltanto una bambina. E proprio dalle mani di chi avrebbe dovuto proteggermi. Da quel giorno la realtà per me è una prigione da cui scappare. La mia immaginazione è diventata potente come quella della mia scrittrice preferita: ho imparato a modellare la realtà. Quando riesco a costruire il mio universo parallelo, allora il dolore, i ricordi, la fogna spariscono e trovo pace. Non posso stare troppo tempo nella realtà, altrimenti tutto comincia a ricordarmi ciò che è successo. Non posso avvicinarmi a un ragazzo, anche se vorrei, non posso ricevere un abbraccio, anche se vorrei, non posso prendere il sole in costume, anche se vorrei. Devo nascondere tutto, perché la fogna subito se lo prende. Non ne ho mai parlato con nessuno e ci ho messo un’intera notte a scrivere queste righe. Sono stanca, come se avessi urlato per ore…”.»

«Che vuol dire secondo te?» le chiedo.

«Che ha cominciato a guarire…»

«E tu?»

«Anche io.»

Sui profili ufficiali dell’Appello è apparso un video in cui una figura mascherata parla con voce grave. La maschera è quella di un costume di carnevale per bambini, di cartone ricoperto da una stoffa bianca, con le paillettes a incorniciarne i contorni. Nel video si vede solo la maschera. Gli occhi saettano attraverso lo schermo mentre le parole ne rotolano fuori come tuoni. La descrizione appartiene a mia moglie, mentre l’audio lo conosco ormai a memoria:

«Viviamo in un Paese al rovescio. Il professore dell’Appello, Omero Romeo, un uomo cieco che per conoscere i suoi allievi ha inventato un modo diverso di celebrare quel rito mattutino con cui i professori verificano se i nostri corpi sono presenti – delle anime non gliene importa niente –, quell’uomo è stato sospeso dal suo incarico di supplenza annuale pur avendo una classe da condurre alla maturità, classe che aveva assunto per questo anno con una supplenza da 1000 euro al mese. Questo professore è stato sospeso per motivi disciplinari, ma il vero motivo è che è stato incolpato di ciò che i suoi allievi hanno fatto con un ministro incapace, che aveva tentato di servirsi dell’Appello per ottenere visibilità e consensi. Noi chiediamo che a dimettersi sia il ministro e che il professor Romeo venga reintegrato nel suo ruolo di insegnante di scienze, che ha sempre svolto con passione, precisione e correttezza. Per questo invitiamo tutti quelli che hanno aderito all’Appello a un giorno speciale di Appello: il primo di aprile, alle ore 10, tutti i ragazzi si alzeranno in piedi e diranno: “Il professore in cattedra, il ministro a casa!”. E non il contrario, come è accaduto. Siamo stanchi del mondo al rovescio e vogliamo rigirarlo!»

Non avevo riconosciuto la voce di nessuno dei miei alunni in queste frasi di fuoco, perché il timbro è contraffatto da effetti audio, ma non mi è sfuggito il leggero rantolare in alcune pause, che tradisce l’asma di Achille. Solo lui, per rovesciare il mondo, poteva ricorrere a una maschera di carnevale residuata dalle scuole elementari. Ma quando un ragazzo intravede la possibilità di dare senso alla propria vita è disposto a qualsiasi azione, l’alternativa è usare quella stessa energia contro se stesso, una forza uguale e contraria che o costruisce o distrugge. L’homo sapiens è sopravvissuto non perché sa ma perché non sa e quindi rischia: si proietta nello spazio di una mancanza, e cerca di riempirla. La sua parte animale lotta per sopravvivere ma quella spirituale per vivere sopra.