Quando apro gli occhi la mattina è già lì da un pezzo, ma io non posso vederla. Sento solo il lievito dell’esistenza che in questo mese fermenta nei raccolti di grano. Tutte le volte che apro gli occhi al risveglio mi spavento. Ogni mattina c’è un istante in cui cerco la luce come quando ci vedevo, più che mai nel mese che contiene la vittoria definitiva della luce sul buio e il giorno più lungo dell’anno. Ogni mattina il mio istinto per la luce deve accettare la notte, ma in fondo è quello che dobbiamo fare tutti nella stretta scatola del mondo e nel breve giro di giorni che ci sono dati. La luce è un istinto, è l’istinto che ha la vita, perché tutto è chiamato a venire in piena luce, senza più vergogna, senza più menzogne. Tutte le cose, da millenni, hanno un unico fine: essere belle, e la bellezza è la quantità di luce che riesce ad attraversarle. E poiché venire alla luce è vita, la bellezza è la quantità di vita che riusciamo a realizzare. Dagli stessi atomi di carbonio possono avere origine un pezzo di carbone o un diamante, anche se, posti l’uno accanto all’altro, sembrano non avere niente in comune. Il primo inghiotte tutta la luce, il secondo tutta la restituisce. Del primo non diciamo che è bello, ma che è utile per produrre calore, del secondo invece ammiriamo la bellezza, perché è luce, e perché è raro. Il calore, la pressione, il tempo hanno trasformato il carbonio in una rara pietra di luce: il carbonio ha raggiunto il massimo della sua possibilità di vita. Noi siamo chiamati a fare lo stesso, a diventare tutta luce. Non la luce riflessa su superfici proporzionate, condivisa con pietre, piante e animali, che inevitabilmente si perde e invecchia, ma la luce che portiamo dentro e che trasforma ogni atomo in vita che non invecchia. In amore.
«Signor Romeo, si accomodi.»
A scuotermi dalle mie riflessioni sulla luce irrompe la voce dell’infermiera, che mi invita a entrare nella stanza del dottore che mi segue da anni per la mia patologia oculare. Mi spiega che potrei affrontare l’intervento, approvato dai nuovi protocolli medici in via sperimentale, a fine luglio, così da sfruttare la pausa lavorativa per recuperare al meglio, dal momento che dovrò rimanere in assoluto riposo.
Chissà quanto durerà la mia pausa lavorativa, penso dentro di me, mentre il dottore mi spiega che le probabilità di riuscita sono alte, grazie all’uso di cellule capaci di riparare i tessuti danneggiati. Non si sa quanto potrò recuperare nella nitidezza, ma sicuramente nella luce e nelle forme. Le sue parole mi fanno paura: ricominciare tutto da capo, proprio ora che ci avevo fatto l’abitudine. Però rivedere mia moglie e mio figlio, vedere mia figlia e i miei alunni è un pensiero che mi conforta e mi incoraggia ad affidarmi alla più avanzata chirurgia oculistica. E con questa sono due le notizie che devo dare ai miei studenti.
«Potremo sostenere la maturità!»
Il loro entusiasmo mi travolge, non appena entrano in casa.
«È merito del suo video!»
«No, è merito vostro… Tanto vi bocceranno lo stesso, ignoranti come siete!»
«Effettivamente…» riconosce Oscar.
Ciascuno di loro prende posto nel mio soggiorno, per una delle nostre lezioni clandestine. Rimangono in silenzio, segno che possiamo cominciare.
«Mi sottoporrò all’operazione per recuperare la vista.»
I ragazzi accolgono la notizia con un urlo di gioia e mille domande, per le quali ho poche risposte.
«Sarebbe bellissimo che lei tornasse a vedere, professore. Chissà come si immagina ciascuno di noi. E come rimarrà deluso, soprattutto con alcuni…» dice Stella.
«Chissà come rimarrò sorpreso: che scoperte farò, rispetto a quanto mi ero immaginato solo dalle vostre voci, dai vostri racconti, dai vostri volti…»
«Non ci ha mai chiesto di che colore abbiamo gli occhi, i capelli…» interviene Aurora, come se ragionasse ad alta voce.
«Sono cose sopravvalutate. Non le dicono più neanche nei romanzi. Il segreto di una persona è altrove.»
«Per questo lei ci vede meglio di tanti altri che ci hanno avuto sempre sotto gli occhi» mi interrompe Ettore.
«Io avevo solo bisogno di conoscervi nel minor tempo possibile per poter fare al meglio il mio lavoro. Il fatto che qualcosa di così ordinario sembri eccezionale significa che da troppo tempo abbiamo dimenticato come stare insieme. Comunque sia, c’è un’altra cosa che voglio confidarvi, e siete i primi con cui lo faccio, dopo mia moglie.»
«Aspetta un bambino?» mi canzona Oscar.
«Sei il solito fesso! Ho ricevuto una telefonata. Il ministro si dimetterà. L’Appello ha avuto un effetto devastante sul suo gradimento politico e hanno bisogno di rinnovare l’immagine del partito, che mi ha chiesto se sono interessato ad avviare con loro la rivoluzione di cui la scuola ha bisogno.»
«E lei?» chiede Achille.
«Ho risposto che non sono interessato.»
Il silenzio tradisce la delusione dei ragazzi.
«Perché? È un’occasione unica! Non può tirarsi indietro.»
«Io non ho fatto niente, ragazzi. Io sono solo un prof di scienze cieco, che la sua politica la porta avanti in classe, facendo lezione e occupandosi dei suoi studenti.»
«Ma lei ci ha sempre spinto ad avere coraggio, a metterci in gioco, a rischiare…»
«Proprio questo è il punto: il maggior rischio che corro è provare a volervi bene. È molto più impegnativo. Senza contare che mi sembra una mossa molto banale, dettata dall’ossessione del consenso immediato. La politica ha un disperato bisogno di intercettare la gente, ma non sa come fare, e per questo cerca di appropriarsi della vita di chi ci riesce. Mi userebbero a fini elettorali e tutto si esaurirebbe. Fino a che questa è la rivoluzione di un singolo non cambierà niente. Dobbiamo far loro capire che invece è la rivoluzione di dieci ragazzi che fanno la maturità, altrimenti tutto verrà presto digerito e dimenticato.»
«Potrebbe essere vero, ma valeva la pena provare, professore. Occasioni così non si presentano due volte nella vita.»
«Lo so. Infatti ho proposto un’alternativa…»
«Quale?»
«Che andiate voi a presentare in Parlamento la riforma della scuola che sognate.»
«Noi?» replica Stella con voce tremante.
«Voi. Siete stati voi a mettere in piedi questo casino e ora andate fino in fondo.»
«E che dovremmo fare?»
«Studiate, confrontatevi e proponete i punti essenziali della scuola del futuro. Per la prima volta degli studenti potrebbero riuscire a dire la loro ed essere presi sul serio, senza il falso paternalismo da telecamera: avete voi la palla.»
«Ma che ne sappiamo noi?» mi interrompe Elisa.
«Solo un mondo marcio, un mondo a rovescio, crede che dei diciottenni siano dei cretini incapaci di affrontare la realtà. Le possibilità sono due: o è vero o è falso. Avete l’opportunità di dimostrarlo. E credo che questo sia il vostro esame di maturità, più che quella farsa in cui vengono promossi tutti a fine anno.»
«Io ci sto. Facciamogli vedere di cosa siamo capaci!» esplode Caterina.
«Voi siete pazzi… Ci riderà dietro tutta l’Italia» le risponde Achille.
«Almeno li avremo fatti ridere. Non mi sembra che manchino i comici nella nostra politica» interviene Mattia.
«Potrete dimostrare che non è la politica a farvi schifo, ma i politici incapaci di lottare per il bene comune, per le persone, per le loro vite. In fondo l’Appello vale in tutti gli ambiti. Se solo le persone tornassero ad ascoltare gli altri e a condividere progetti per un bene più ampio della loro pancia…»
«Sono cose più grandi di noi, professore» dice Ettore.
«Vi hanno fucilato l’anima, vi hanno spezzato i sogni, vi hanno avvelenato la libertà. Ricordatevi dei ragazzi della Rosa Bianca: avevano la vostra età quando cominciarono a riunirsi di notte per leggere, pensare e rimanere liberi. Voi siete una piccola Rosa Bianca. Non avete visto quanti ragazzi si sono risvegliati grazie a voi?»
«Ma noi non abbiamo idee geniali!» ribatte Elena.
«Il mondo non lo cambiano le persone geniali, ma le persone libere.»
«Noi al massimo possiamo occuparci dell’esame di maturità e di che cosa metterci al mattino.»
«È quello che vi hanno fatto credere per anni: vi trattano da contenitori di desideri da sfruttare. Vi hanno prima illuso che per essere felici bastasse il piacere, poi vi hanno fatto credere che la libertà servisse a procurarsi quel piacere e così vi hanno reso dipendenti, schiaffandovi un cellulare in mano a otto anni. Ma la libertà serve ad amare! A prendersi cura del mondo e degli altri! Solo questo rende la vita bella, perché la riempie di senso! Non è ora di essere liberi e di liberare tanti altri? Dante, Magellano, Galileo, Einstein non si sono accontentati di pensare al loro orticello, e proprio per questo hanno realizzato cose che non verranno mai più dimenticate e lo hanno fatto in mezzo a mille difficoltà: ne andava della loro vita e sono sicuro che anche loro non si sentivano all’altezza. Tutto sta a farsi trovare pronti. E questo è il vostro momento.»
«Certo che lei è furbo, professore, prima ci mette nei casini e poi se ne scappa.»
«Io vi copro le spalle, come sempre. Qualsiasi cosa succeda, saprete sempre dove trovarmi. Io mi sottopongo all’intervento, anche se ho una paura folle, e voi preparate la vostra riforma da raccontare a tutti. L’Appello era solo la fase uno, ora bisogna passare alla fase due.»
«E poi ci fermiamo?» chiede ironicamente Elena.
«Questo dipende da voi. Di certo sarà una maturità indimenticabile.»
«Però lei viene ad ascoltarci…» si assicura Achille.
«Ma avrò gli occhiali da sole, così nessuno mi riconoscerà.»
I ragazzi scoppiano in una risata.
«E ora mettiamoci al lavoro con le cose serie: perché l’acqua nel lavandino gira in senso orario?»
«Che palle, professore, ma chi se ne frega?» sbotta Oscar.
«Se non sai rispondere a questa domanda e non impari il metodo per farlo, è inutile tentare qualsiasi rivoluzione: sarebbero tutte chiacchiere. Mi sa che nei prossimi giorni sarete indaffarati tra studio e preparazione del vostro più memorabile Appello.»
L’ultimo nostro giorno di scuola si svolge in Parlamento. Sono venuti anche Anna, Virgilio e Patrizia. Ho paura e mi tremano le gambe come se dovessi sottopormi al mio intervento. Ormai li amo così tanto che le loro cadute sono mie, i loro successi sono miei. Me ne sto seduto in un angolo ad ascoltare: Virgilio mi protegge da indebite intromissioni di giornalisti o curiosi, Patrizia ha incoraggiato i ragazzi uno per uno durante il viaggio in treno, Anna li ha spronati a ripassare il loro discorso sino all’ultimo istante, perché familiarizzassero con la paura di essere ascoltati da un pubblico del genere. Non sarei voluto venire per lasciarli più liberi, ma mi hanno detto che si sarebbero sentiti più tranquilli se fossi stato presente. L’aula è gremita, come accade per le votazioni più importanti. Tutti, con la loro presenza, vogliono dimostrare, a beneficio delle telecamere, che la loro forza politica è in prima linea per la scuola, salvo poi scoprire dal curriculum di molti che la scuola non è mai stata la priorità e mai lo sarà: solo chi ha scoperto se stesso e il mondo attraverso la cultura farà qualcosa per la cultura.
«Diamo inizio alla sessione straordinaria dei lavori del Parlamento con la proposta dei fondatori dell’Appello.»
Un applauso scrosciante si abbatte sui ragazzi, cadendo a cascata su di loro. Segue un lungo silenzio, durante il quale comincio a elencare le 10 forme delle nuvole in base all’altitudine a cui si formano: Cirri, Cirrocumuli, Cirrostrati, Altocumuli, Stratocumuli, Nembostrati… Potrei andare nel panico al posto loro da un momento all’altro, ma devo resistere. Poi passo a classificare i tipi di lava delle eruzioni vulcaniche, dalla più basica alla più acida. Finché sento la prima delle loro voci, quella che ha il compito di catalizzare l’attenzione di tutti, e capisco che non devo classificare più nulla, ma godermi questo istante di vera, irripetibile, entusiasmante politica.
MATTIA
Il mio nome è Mattia. La nostra riforma richiede una premessa, tanto semplice quanto disattesa: Nutre la mente soltanto ciò che le dà gioia, e la vita cresce soltanto grazie a relazioni buone.
Nella scuola che voglio:
1. Non c’è più l’obbligo: va a scuola solo chi vuole impegnarsi a conoscere il mondo e la memoria del mondo, perché il cosmo con i suoi misteri diventi una casa e gli uomini con le loro storie una famiglia.
2. Insegnanti, docenti e professori si chiamano Maestri. Ogni Maestro deve possedere tre requisiti: Sapienza, cioè amare e conoscere ciò che insegna; Empatia, cioè amare e conoscere le persone a cui lo insegna; Passione, cioè trovare il modo di adattare ciò che insegna a chi lo insegna.
CESARE
Il mio nome è Cesare. Nella scuola che voglio:
3. I ragazzi scelgono liberamente i Maestri. I Maestri usano la medesima aula, che deve avere una finestra sull’esterno e va arredata con buon gusto e armonia. Ci deve essere almeno una pianta. Le classi sono composte da 12 alunni.
4. La giornata scolastica va dalle 8.00 alle 13.30. L’Appello si svolge ogni giorno nella prima mezz’ora, con tutti i Maestri presenti: ogni alunno ha a disposizione circa un minuto per dire come si chiama, qual è stata la cosa più bella e quale la più brutta del giorno prima. Dalle 8.20 alle 8.30 si ascoltano due brani musicali, uno scelto dal Maestro della prima ora e uno dagli alunni, a turno. Nel pomeriggio, dalle 15 alle 18, il Maestro studia e riceve studenti per colloqui, recuperi e approfondimenti.
ETTORE
Il mio nome è Ettore. Nella scuola che voglio:
5. Le tappe formative (primaria, secondaria di primo e secondo grado) durano 4 anni ciascuna, all’ultimo quadriennio si aggiunge un anno incentrato sull’orientamento alla scelta universitaria o al lavoro. Ogni anno consta di 3 trimestri e la valutazione finale di ogni materia risulta dalla media ponderata dei voti dei 3 trimestri.
6. Per diventare tali i Maestri scelgono sin dall’inizio, ciascuno nel proprio ambito, un percorso specifico della durata di 7 anni: 4 di laurea e 3 di specializzazione. Ai posti di specializzazione, il cui numero è stabilito in base alle reali necessità, si accede tramite un concorso annuale. I 3 anni di specializzazione, retribuiti, consistono in un tirocinio attivo della durata di un anno a fianco di diversi Maestri della disciplina: uno per ciascuno dei 3 quadrienni. Parte dell’anno di tirocinio viene dedicata al sostegno di studenti con Bisogni Educativi Speciali.
AURORA
Il mio nome è Aurora. Nella scuola che voglio:
7. Lo stipendio dei Maestri consente loro di vivere in buone condizioni, senza fare altri mestieri o ripetizioni.
8. Non ci sono più interrogazioni e compiti a sorpresa. Ogni verifica viene pianificata con cura. L’apprendimento non si servirà più della paura. Il sapere non avrà bisogno del potere.
ACHILLE
Il mio nome è Achille. Nella scuola che voglio:
9. Sono aboliti i banchi. Ogni aula ha un tavolo ovale da 13 posti (contro ogni superstizione): ci si guarda in viso. Il Maestro non ha la cattedra, ma siede al tavolo o passeggia attorno a esso. I supporti tecnologici sono: la parola, i libri, i quaderni, la penna (i cellulari sono spenti). Al centro del tavolo, dotato di tecnologia olografica, possono apparire le immagini o i testi necessari alla lezione. Nel giorno del compleanno di uno studente il tavolo viene addobbato a festa e l’Appello è sostituito dal festeggiamento.
10. I compiti, assegnati in quantità tale che si possano svolgere tra le 15 e le 18 (stesso orario del Maestro), sono preventivi. Gli alunni studiano prima le nozioni “attorno” all’argomento, e la lezione diventa la ricerca comune del tesoro. Il Maestro guida la caccia: non svela il tesoro (l’attenzione si attiva solo se può scovare il nuovo), ma mette in condizione di trovarlo (la memoria trattiene solo ciò che scopre, non ciò che ripete). Sono quindi abolite le domande-ripetizione: “Quali sono le fasi del pessimismo leopardiano?”, e caldeggiate le domande-scoperta, per rispondere alle quali si fa uso degli indizi per raggiungere conoscenze e soluzioni: “Dai Canti quale filosofia di vita possiamo dedurre?”. L’errore non è una colpa ma una leva per elaborare una nuova strategia. I ragazzi trovano le risposte in coppie/gruppi (il 12 dà tutte le possibilità), condividendo punti di vista e conoscenze. L’apprendimento individuale viene saggiato nelle verifiche personali (scritte/orali) pianificate.
ELENA
Il mio nome è Elena. Nella scuola che voglio:
11. Le aule non hanno le porte: chiunque può vedere e ascoltare dalla soglia.
12. Ai Maestri è vietato parlare della propria vita privata, se non è attinente e necessario alla lezione (esempio: “La prima volta che incontrai Leopardi avevo 13 anni”). La vita del Maestro si mostra solamente in: ciò che insegna, il modo in cui lo insegna, la cura per coloro a cui lo insegna. Alla fine di ogni settimana i ragazzi ringraziano il Maestro per ciò che hanno imparato con il suo aiuto. Il Maestro che parla male degli altri Maestri sarà multato.
CATERINA
Il mio nome è Caterina. Nella scuola che voglio:
13. Una volta alla settimana, a turno, nelle stesse modalità descritte prima, un Maestro offre una lezione della sua disciplina agli altri Maestri della stessa materia. Una volta all’anno il Maestro offre una lezione ai Maestri delle altre discipline.
14. Viene istituito: a) il Maestro di Lettura, con qualifica in drammaturgia. Legge, per 4 ore settimanali, ad alta voce, libri scelti con gli altri Maestri. In 13 anni sono 1485 ore di lettura. Leggendo almeno 30 pagine all’ora ne otteniamo 45.000 (100 libri da 450 pagine). Gli alunni ascoltano e vengono gradualmente coinvolti nella lettura. Non ci sono verifiche e interrogazioni: i testi non sono più pre-testi per fare altro. Per esempio: al primo anno delle superiori si legge integralmente l’Odissea, 24 libri, ciascuno dei quali per la lettura ad alta voce richiede 30 minuti: bastano 12 ore; b) il Maestro di Grafia per un’ora alla settimana, perché la mano unita alla mente è tutto; c) il Maestro di Latino (per le medie), per 2 ore alla settimana, perché sintassi, comprensione del lessico e logica non si sa più cosa siano.
OSCAR
Il mio nome è Oscar. E se proprio non se ne può fare a meno, nella scuola che voglio:
15. I colloqui con i genitori sono 3 all’anno e riguardano la vita intera dello studente, di cui i voti sono solo una parte. È necessaria la presenza di entrambi i genitori, se possibile. Durante gli ultimi 5 anni ad almeno 2 dei 3 colloqui sarà presente anche lo studente.
16. Il Maestro ha un quaderno per ogni alunno. Ogni pagina è divisa in due colonne: nella prima annota i punti forti e le doti, nell’altra i punti deboli, le fragilità, le fatiche della crescita. Conta sui primi per migliorare i secondi: sanzionando solo i secondi non si ottiene quasi nulla. Ogni studente sceglie un Maestro-Tutor (parola latina che, mi hanno detto i miei compagni, si legge come si scrive e significa “colui che protegge”), con il quale avrà 3 colloqui all’anno sul suo percorso e sulle eventuali difficoltà. I Maestri si incontrano ogni trimestre per concordare l’azione educativa per ciascuno studente, in base a quanto osservato nei 3 mesi precedenti.
STELLA
Il mio nome è Stella. Nella scuola che voglio:
17. I Maestri indicano per ogni argomento quale aspetto della vita viene liberato da menzogna e luoghi comuni: la cultura non è un museo, ma vita che aumenta la vita grazie al vero, al bello, al buono. Distinguendo il vero dal falso, il bello dal brutto, il bene dal male, e le gradazioni intermedie, i ragazzi imparano a comprendere e a scegliere: la libertà, fondata su conoscenza ed esperienza della realtà, è il fine del percorso educativo.
18. Al termine dell’anno i Maestri ricevono valutazioni anonime sul proprio operato da parte degli studenti, in modo da migliorare i punti deboli e fare affidamento su quelli forti. I giudizi sono a esclusiva conoscenza dell’interessato. Il Maestro non si sente mai “arrivato”.
ELISA
Il mio nome è Elisa. Nella scuola che voglio:
19. C’è un’ampia biblioteca con sala lettura, in cui Maestri e studenti possono fermarsi (sino alle 18) a leggere e studiare, lontani da distrazioni (cellulari spenti) e protetti dal silenzio che è il terreno da cui nascono l’intelligenza, il pensiero e la memoria.
20. L’alunno non è mai un problema, casomai ha un problema, e lo risolve insieme agli altri o al Maestro. Nessuno viene lasciato solo.
Mi rendo conto che sto trattenendo il respiro per ascoltare meglio le loro parole. Sto per rilassarmi, in attesa della reazione dell’aula, ma la voce di Mattia riprende subito: «Vorremmo infine ringraziare il nostro Maestro, Omero Romeo, senza il quale tutto questo non sarebbe accaduto, e ci sembra assurdo che proprio lui sia stato sospeso dall’insegnamento. È stato lui a renderci più liberi, non dicendoci che cosa avremmo dovuto fare ma aiutandoci a scoprire, attraverso la sua materia, chi siamo già e chi possiamo diventare. Voi avete la responsabilità di rappresentare i nomi di tutti: ricordatevene. Perché se un solo uomo è riuscito a salvare dieci ragazzi semplicemente prendendosi cura di loro, voi siete chiamati a fare altrettanto con un intero Paese. Grazie per l’attenzione».
Dopo qualche secondo di silenzio un applauso corale si alza dagli scranni. Non è solo di circostanza, ma di chi sente che qualcosa dentro di sé si libera o desidera farlo, altrimenti che senso avrebbe quel gesto che porta le mani a chiudersi per produrre un suono ripetuto e con intensità diverse? Le braccia vogliono agire e lo sottolineano mettendosi in azione. Sono scettico sul fatto che questi signori trasformeranno il loro applauso in azione concreta, ma sono certo di una cosa: oggi i miei ragazzi hanno ricevuto la maturità. Quello che abbiamo ascoltato è il fuoco di un’orchestra impegnata in un’armonia che va oltre la somma dei singoli. Applaudo come un padre fiero dei suoi figli, ho gli occhi pieni di lacrime e vedo, vedo ancora la possibilità di qualcosa di nuovo al mondo, grazie a questi ragazzi che la vita e la cecità mi hanno donato. E quando li sento raggiungermi, abbracciarmi e prendermi il volto, so che questo è un giorno che ricorderò per tutta la vita, perché vivrà per sempre nelle pupille dei miei occhi ciechi.