Capitolo 8
Andreas
«Cosa vuoi che ti dica?» sbotta Gaele, la mattina dopo la mia conversazione con quella stronza di Manuela, la migliore amica di Alessia.
Stiamo facendo colazione al bar all’interno della sua casa discografica, insieme ai suoi colleghi musicisti, e stiamo parlando proprio di quella donna.
«Magari avresti potuto non dire quelle cose prima di sapere tutta la verità», aggiunge Tommaso, il batterista, sorseggiando un caffè.
Giorgio il bassista annuisce, mentre anche Massimo, il violinista, dice la sua: «Non avresti dovuto dire quelle cose, poi a Manuela che è una così dolce e cara ragazza…»
«Ragazzi, la verità è che anche voi avreste fatto quello che ho fatto io, perché da fuori sembrava così!»
«Da fuori!» ribatte Gaele, dando l’ultimo morso al suo cornetto. «Ma te l’avevo già detto che non era così!»
«E Manuela…» inizia a dire Alessandro, che finora ci ha ascoltati in silenzio, forse troppo impegnato a sorseggiare il suo cappuccino.
«Tutti a santificare questa donna, che avrà così di speciale?» domando e tutti loro sorridono.
«Ma l’hai vista?» domanda Giorgio, ammiccando.
«No, e non ci tengo»
«Sei sicuro? Basta una piccola ricerca e…»
«Ale», asserisco con calma rispondendogli. «Non ho bisogno di vedere questa tipa, che oltretutto è incinta di uno di cui non sa nemmeno il nome»
Gaele mi fulmina, sta per rispondermi male come ha fatto già ieri sera, ma fortunatamente a togliermi dall’impiccio arriva quello che deve essere il suo capo, Luca Moretti, con la sua assistente al seguito.
«Buongiorno ragazzi» saluta tutti e poi mi guarda storcendo il naso e girandosi verso la ragazza che lo segue. «E lui, chi è?»
«Non lo so» risponde lei, proprio mentre Gaele poggia la tazzina e risponde: «Luca, lui è il mio migliore amico: Andreas Pitti».
Luca sorride, poi stende la mano verso di me. «Piacere»
«Piacere mio»
Il capo, poi, mi guarda da vicino e s’illumina. «Parente di Lorenzo Pitti?»
Annuisco. «Sì, era mio padre. Non so se lo sa, ma è venuto a mancare da poco»
Luca mi dà una pacca amorevole sulla spalla. «Sì, lo sapevo. Condoglianze»
«Grazie mille».
Luca mi guarda in viso e nei suoi occhi vedo tanta, troppa comprensione, come se sapesse quello che sto passando. «Mi è dispiaciuto molto per lui, l’ho conosciuto qualche anno fa ad una festa organizzata in uno dei vostri hotel. Era una brava persona»
«Era il migliore», asserisce serio Gaele. «Uno di quegli uomini per i quali la ricchezza non è importante, quanto lo è la famiglia»
«In quell’occasione mi parlò di te, sai?» dice Luca, sorprendendomi.
«Ah sì?»
Lui annuisce. «Mi disse che aveva un figlio di cui andava molto fiero, perché aveva lasciato la sua vita per raggiungerlo a Firenze e si era messo a studiare economia per entrare nell’azienda di famiglia. Era orgoglioso di te, posso dirtelo di certo, perché lo vedevo nei suoi occhi, mentre mi parlava».
Due lacrime sfuggono al mio controllo per questa rivelazione improvvisa, non riesco a fermarle, corrono giù dai miei occhi, bagnano le mie guance e non posso fare altro che eliminarle con una mano, mentre Gaele mi stringe un braccio e Luca continua a sorridere mesto.
«Grazie», riesco a dire, senza riuscire a mascherare la voce tremula. «Ne avevo bisogno!»
Luca mi sorride ancora, poi ordina un caffè alla barista e chiede alla segretaria di portarglielo in ufficio quando sarà pronto, prima di andarsene.
Gaele riprende a parlare con la band, mentre io, finalmente, mi avvicino al mio cappuccino.
«Eleonora, io non capisco perché ti fai trattare così!» asserisce la barista seria, guardando l’assistente di Luca che sembra uscita dagli anni cinquanta con quei capelli cotonati e quel vestito a pois rossi.
La ragazza sorride. «Perché è il capo?»
«È che è rimasto a chiacchierare qui coi ragazzi, poi è scappato via, lasciandoti qui ad aspettare un caffè per lui…»
«Che vuoi che ti dica?» le risponde Eleonora, storcendo il naso. «Lui è un uomo impegnato e va sempre di corsa!»
Io non posso fare a meno di intercettare la conversazione, così mi schiarisco la voce prima di dire: «Io non ti farei rimanere indietro».
Le due donne si voltano verso di me e io, dopo essermi leccato dalle labbra la schiuma del latte, aggiungo: «Ti farei sempre camminare avanti a me, sai, per godermi il panorama. Te l’ha mai detto nessuno che sei bellissima?»
Eleonora arrossisce, come anche la barista. «Grazie mille».
«Non c’è di che».
Eleonora, poi, prende la tazzina e, dopo avermi lanciato un’altra occhiata, se ne va ancheggiando, lasciandomi a guardarla come un fesso.
«Non ti conviene», esclama Gaele, dandomi un colpo col braccio sul fianco. «Crediamo tutti che abbia una relazione con Luca. O meglio, lo pensa Alessia e tutti gli diamo ragione».
I membri della band ridacchiano e io con loro. «Be’, può avere ragione o meno, fatto sta che un sedere come quello non si dovrebbe mai lasciare incustodito»
«Sei pessimo, Andre’. Pessimo!»
«Ga’, lo so, ma sono giustificato! Sai da quant’è che non sto con una donna?»
«Un giorno?» mi domanda il mio migliore amico, facendo ridere di nuovo tutti gli altri ragazzi.
«No, credo siano due mesi. Sai?»
Gaele si porta le mani al viso come l’Urlo di Munch e fa un suono che sembra il verso che fanno i gatti quando litigano fra loro. «E sei ancora vivo?»
«Imbecille. Che vuoi che ti dica? Sono troppo impegnato, ma ho intenzione di rimediare presto!»
«Dovresti amico!» esclama Tommaso, che ridacchia come un ragazzino. «Io dal canto mio, vuoi perché sono un musicista, vuoi perché sono bello…»
«E modesto», lo rimbecca Alessandro. «Non dimenticarlo».
Tommaso lo guarda malissimo, poi fa un gesto con la mano e continua a parlare: «Non
torno mai a casa da solo e la mattina mi sveglio con un bel sorriso!»
«Beato te», lo rimbecca Giorgio. «Io da quando mi sono lasciato con la mia ex, non esco con nessuna…»
«Io e Alessia non abbiamo problemi di alcun genere, anzi, ora che aspetta un bambino è come se avesse sempre voglia di…»
«Posso garantire!» esclamo sorprendendoli e interrompendolo. «Dalla camera degli ospiti, ragazzi, si sente tutto».
Gaele diventa rosso come un peperone e quasi mi pento di avergli detto questa bugia, ma poi fa un’espressione fiera e ribatte: «Be’, pensa, c’è gente che paga per vedere performance del genere, tu l’hai avuta gratis!»
I ragazzi ridono ancora, spintonando a turno Gaele, ma proprio quando sto per parlare ancora, Alessia entra nella caffetteria salutando tutti e lanciando a me un’occhiataccia.
«Non ti ho ancora perdonato, Andreas Pitti. E ti conviene che lo faccia, altrimenti col cazzo battezzerai mio figlio!» poi sbatte un faldone enorme sul bancone del bar, cosa che attira subito la mia attenzione.
«Hai portato quel coso per tirarmelo addosso?»
«No, anche se potrei farlo a pensarci bene…» mi risponde Alessia sorridendo.
«Che cos’è?» le domando, mentre Gaele le da un bacio sulla guancia e le dice che sta andando di sotto in sala prove per iniziare a registrare la nuova canzone che ha scritto per lei.
Alessia lo saluta con un bacio e ridacchia quando lui le posa una mano sul ventre e poi si abbassa a baciare anche quello.
Vorrei aver distolto lo sguardo, vorrei non aver visto i loro sguardi pieni d’amore e di gioia per il loro futuro bambino.
Ma non l’ho fatto.
L’ho visto e qualcosa, dentro di me, si è mosso.
Qualcosa che non ha motivo di muoversi oltretutto, perché sono l’essere umano più single sul pianeta.
«Ciao Musa, a dopo!» dice ancora il mio migliore amico, distogliendomi da quei pensieri.
Alessia torna a guardarmi male, poi si siede ad uno dei tavolinetti, portandosi dietro quel malloppo di fogli e costringendomi a voltarmi verso di lei.
«Allora? Continuerà così fra noi?» le chiedo sfoggiando il mio miglior sorriso. «Mi guarderai
male e lancerai frecciatine per sempre?»
«Probabilmente», esclama proprio mentre la ragazza del bar le porta un cappuccino e un cornetto con la crema.
Chiudo gli occhi e poi faccio quello che avrei dovuto fare ieri sera. «Ti chiedo scusa ok?»
Lei alza gli occhi dal cappuccino che sta bevendo e mi fissa intensamente prima di dirmi: «Non devi chiedere scusa a me. Non credi? Comunque, avrai modo di farlo quando la conoscerai, tanto sta per tornare a casa…»
Storco il naso. «Io riparto a breve, Ale».
Lei mi guarda ancora, prima di divorare in pochi morsi il cornetto con la crema. «Va bene, almeno ieri sera vi siete chiariti…»
«Se per chiariti intendi essermi preso un po’ di parolacce senza aver la possibilità di parlare, allora sì».
Alessia ridacchia. «Molto da Manu, in effetti»
«Be’, io avrei voluto…» inizio a dire, ma un ragazzo magrissimo e coi capelli neri sparati in aria arriva di corsa, interrompendomi.
«Signorina Lazzari?»
La mia amica gli sorride. «Massimo, quante volte ti ho detto di chiamarmi Alessia? Abbiamo la stessa età»
«Lo so, ma lei è il mio capo!»
«Sì, e ho la facoltà di licenziarti se non smetti anche di darmi del lei…»
Massimo scuote la testa. «Non sono abituato a questo, credo. Di solito chi ricopre una posizione di rilievo…»
«Ti smentisco subito», mi sento in dover di dire. «Anche io odio sentirmi dare del lei da chi lavora per me, anche perché la trovo una cosa davvero antiquata. Mio padre, è stato lui a vietare la cosa, credo. Voleva che fossimo una grande famiglia e in famiglia non ci si dà del lei».
Alessia annuisce verso me e poi torna a guardare Massimo. «Hai capito? E lui non è uno qualsiasi, lui ha un impero di hotel»
«Va bene, cercherò di ricordarmelo, anche se dare il lei è radicato in me…» e conclude la frase con fare teatrale, portandosi una mano sul petto, cosa che fa sorridere sia me che Alessia.
«Perché mi cercavi?» domanda poi lei, alzandosi in piedi.
Massimo torna serio in un battito di ciglia e le mostra il telefono. «Stamattina il nostro concorrente, quello che ha scritturato Primo, ha rilasciato un comunicato assurdo e credo che dovremmo rispondere con qualcosa di sensato».
Alessia afferra il telefono, scorre velocemente il testo e poi sorride. «Se vogliono la guerra, hanno sfidato la donna sbagliata!» poi si volta verso di me e aggiunge: «Be’, il lavoro chiama, tu fai buon viaggio e tranquillo: ti perdono, anche se sei uno stronzo!»
La mia amica se ne va, camminando spedita verso il suo ufficio e lasciandomi da solo, sto per andarmene anche io dal bar, quando la ragazza dietro il bancone mi richiama.
«Sì? Devo pagare?» le domando, voltandomi.
Lei scuote la testa. «No, ha offerto tutto il capo…»
«Allora che c’è?»
«Quello…» indica il malloppo di fogli che aveva con sé Alessia e che ha, evidentemente, dimenticato sul tavolo al quale era seduta. «Lo stavi dimenticando!»
La ringrazio con un cenno, sto per dirle che non è mio, quando vedo una nota a matita su un angolo del frontespizio.
È una mail e credo proprio di sapere chi sia.
«Arrivederci…» esclamo uscendo dal bar e pensando a cosa scrivere alla migliore amica di Alessia Lazzari, per scusarmi.