Capitolo 11
Azzurro
In televisione, ultimamente, fanno un sacco di trasmissioni sulla ricerca di persone scomparse e se solo avessi qualcosa in più sulla mia Bianca, non esiterei a cercarla anche tramite una di esse.
E la cosa assurda di questa situazione è che non posso parlarne neanche con nessuno, perché sono sicuro che i miei amici mi prenderebbero in giro.
Mi sono innamorato di una ragazza da favola e ora non so dove sia, non so il suo nome e non so come ritrovarla.
E ci ho provato.
Ma nulla, niente su di lei.
Mi sono detto più volte che sarebbe più facile dimenticarla, ma non ci riesco, non posso proprio, perché ogni volta che ci provo mi tornano in mente i suoi occhi, la sua voce, la sua pelle e il sapore delle sue labbra. Dio, le sue labbra…
E oggi, non so perché, la sua presenza è ancora più vivida in me.
Se fossi un artista, magari un pittore, la ritrarrei immediatamente, anche se riportare su una qualche superficie la sua bellezza sarebbe pressoché impossibile, perché la mia Bianca era la perfezione fatta donna.
E non parlo solo della nostra affinità sessuale, perfetta anche quella, parlo dei suoi occhi, del suo modo di scherzare, della sua voce, di tutto il contorno.
Non avevo mai sentito quello che sento per Bianca, per nessuna delle donne con cui sono stato nei miei ventisette anni, che ora sono quasi ventotto.
Ci ho messo un po’ per capirlo, ma ora lo so, quello che ho sentito quella notte era amore.
E probabilmente lei, ora, mi avrà già dimenticato, mentre io la mattina mi sveglio ancora sospirando il suo nome.
Il mio cellulare suona e quando vedo il nome di chi mi sta chiamando, accenno un sorriso.
«Ciao mamma»
«Ciao tesoro, tutto bene? Come procede lì?»
«Tutto bene, credo. Non c’è nulla di nuovo, a parte le solite cose…»
«Tu sei come tuo padre, non mi dici mai nulla… Ti chiamavo per sapere se stasera ti andasse di venire qui a cena: potrei fare i tuoi piatti preferiti, viziarti un po’, come ai vecchi tempi! Ti va?»
Sorrido, perché so già che questa cena sarà solo uno dei suoi dolcissimi modi per farmi capire che mi vuole bene, come quando mi lasciava un cioccolatino accanto alla sveglia quando ero piccolo, perché sapeva quanto mi scocciasse svegliarmi presto. Adoro mia madre, una donna forte come un leone e testarda come un mulo.
Lei mi ha insegnato tanto, soprattutto a difendermi dal dolore che, nella mia vita, pare trovare sempre spazio.
«Certo, mamma, ci vediamo dopo. Ti chiamo quando finisco qui…» lei mi saluta col suo solito bacio e io attacco, proprio quando il telefono che ho in ufficio squilla.
Non ho più tempo per pensare a Bianca e a mia madre, ora è il momento di lavorare, ed è questo che mi tiene ancora a galla: perdermi fra scartoffie e telefonate, mail e contratti.
Anche se, in realtà, il pensiero di Bianca che sarà oramai andata avanti con la sua vita, non mi lascia mai del tutto.