Capitolo 13
Andreas
Sono le tre in punto quando la mia segretaria mi avverte della chiamata in attesa.
«Preciso come un orologio, Pancrazio…» esclamo non appena tiro su la cornetta.
«Buon pomeriggio Andreas e sì, lo sono, perché ho imparato anni fa che la puntualità, spesso, paga più di un buon contratto!»
Sorrido. «Lo diceva sempre anche mio padre…»
«E, infatti, è da lui che l’ho imparato, ma se ti sto chiamando, purtroppo, non è per dirti quanto io volessi bene a Lorenzo. E credimi vorrei fosse per quello…»
Mi siedo composto sulla poltrona e poi la faccio ruotare fino a quando non mi ritrovo davanti alla mia enorme finestra dalla quale vedo quasi tutta Firenze. «Ernesto, che cosa hai scoperto?»
L’uomo dall’altra parte della cornetta sospira. «Non so da quanto vada avanti questa storia, ma credo che Michele stia rubando alla Pitti. Ci sono degli ammanchi in tutti i registri…»
«Non può essere…», gli rispondo sicuro. «Controllo personalmente tutto e non c’è mai nulla di sbagliato!»
«Non se chi ti deruba, lo fa dopo che tu hai controllato i numeri!»
«Non capisco», esclamo sincero, perché non so davvero cosa stia dicendo. O meglio, lo so, ma non voglio crederci.
«Fra il controllo dei conti e l’invio dei liquidi in banca, qualcuno interviene, riscrive i conti e ruba le cifre che toglie dalle carte. Chiaro?»
«Cristallino, ma se è così, c’è un problema: Afferti non tocca i resoconti».
Pancrazio dice una parolaccia e poi continua a parlare: «Se non è lui, è comunque qualcun altro, perché i soldi spariscono e se prima erano piccole cifre qua e là, adesso iniziano ad essere più cospicue».
«Di quanto stiamo parlando in totale? A che cifra siamo arrivati?» domando mentre il mio cuore trema, perché chiunque ci stia derubando, lo sta facendo da mesi e con un’abilità che mi spaventa quasi.
«Siamo arrivati a quasi trentamila euro totali»
«Che cazzo!» sbotto sorpreso. «Stai dicendo sul serio?»
«Ho controllato due volte, purtroppo. Quindi non ci sono dubbi!» afferma tristemente, rendendomi furioso.
«E adesso che facciamo? Come lo fermiamo?»
Pancrazio sbuffa. «Non ne ho idea, immagino che sia una buona idea iniziare a portare di persona i documenti finanziari e i soldi del tuo e dei nostri hotel in banca»
«Sono d’accordo, ma così facendo non troveremo mai il colpevole!»
«Quindi cosa vuoi fare? Tendergli un’imboscata?» mi domanda con tono cospiratorio.
«Potrei, ma devo pensare bene il come e il quando. Ci aggiorniamo, ma già per quello che stai facendo: ti ringrazio, Ernesto»
«Scherzi ragazzino? Sei in gamba e tuo padre, se non lo facessi, probabilmente verrebbe a tormentarmi», ridacchia per un attimo e poi mi saluta, lasciandomi da solo a meditare su questo casino che mi è piombato tra capo e collo.
Sto per dare di matto, quando il mio computer mi avverte dell’arrivo di una mail. E il sorriso torna sulle mie labbra.
Da: hellomanu@gmail.com
A: helloandreas@gmail.com
Oggetto: Dio sei un maiale!
Ho letto la tua mail tre volte e siccome non ero ancora sicura, l’ho fatta vedere anche a Melissa, una mia amica.
E abbiamo entrambe concordato sul fatto che sei un maiale!
Ma ti rendi conto che sono incinta? E mi chiedi foto?
Che cazzo hai nella testa: barattoli? Una scimmia che batte le mani? Un sasso?
Oltretutto, stai leggendo una cosa che non ti compete e della quale tu, evidentemente, non stai capendo un cavolo.
Francesca non amerebbe Mattia se lei non fosse convinta del fatto che prima o poi, anche lui, ricambierà il suo amore.
Lui torna ogni giorno, pomeriggio, sera da lei, perché non ne può fare a meno, perché
Francesca gli è necessaria come l’aria.
Ma che ne puoi sapere tu, che cambi donna come cambi i calzini? (Sì, ho appena citato Katy Perry e ne vado fiera! Grande canzone Hot ‘N’ Cold
!)
Quello che parte come la cosa di una notte, finisce per essere la storia di una vita!
E per quanto riguarda le mutandine, io me le tengo addosso, col cazzo che le tirerei mai ad uno come te.
Manuela
P.S. RIMANDAMI IL ROMANZO!
Non posso fare a meno di sorridere come un cretino dopo aver finito di leggere la mail di Manuela.
In realtà, quando ho scritto quell’ultima frase, l’ho fatto senza minimamente pensare alla sua gravidanza.
Questo scambio di mail mi piace e per me è diventata come una valvola di sfogo: credo mi piaccia il fatto di non averla mai vista. È come se con lei potessi essere me stesso, quello che non posso più essere. Nelle mail sono solo Andreas, un ragazzo normale e non uno che ha la responsabilità di un intero impero.
E forse è per questo che mi sono lasciato andare.
Afferro il pc, sto per spingere il tasto “rispondi”, quando nel mio ufficio irrompe Violetta con un’espressione che può significare solo una cosa: lei è qui.
«No, non ce la faccio, non oggi», esclamo quando lei si ferma davanti a me. «Ti prego!»
«Sta salendo. Mi ha chiamata Antonio dalla portineria per dirmelo. E poi lo sai come la penso…»
«Lo so, è colpa mia. Non avrei dovuto mischiare lavoro e piacere, ma a mia discolpa: Elettra era troppo bella e facile, per non provarci… Solo che poi l’ho lasciata e lei è diventata Satana!»
«Satana o meno, nessuna donna merita di essere trattata così…»
«Perché io sì? Mi ha bucato le gomme alla macchina, cazzo!»
«Non sappiamo se sia stata lei…» ribatte Violetta, seria. «E comunque, ci devi lavorare ancora, perciò: fatti forza e preparati all’uragano Elettra Paterno!»
E quando finisce di parlare, la donna con cui dividevo il letto, e spesso la scrivania, entra
nel mio ufficio.
Porta i capelli lunghi e neri, pettinati in uno chignon ordinatissimo. Non è truccata pesantemente, perché non ne ha bisogno e lei lo sa benissimo. Il suo fisico asciutto è evidenziato ancora di più dal tubino azzurro al quale ha abbinato una giacca bianca e un paio di scarpe vertiginose.
«Buongiorno» esclama con voce tagliente. «Interrompo qualcosa?»
Violetta afferra un foglio bianco che tenevo sulla scrivania e poi dice: «Bene, dottor Pitti, manderò queste mail per lei…» poi mi strizza un occhio e se ne va.
Elettra mi guarda per un attimo, prima di iniziare a camminare verso la mia scrivania, attorno alla quale gira, fino a trovarsi accanto a me.
Mi volto e lei mi sorride, mentre accarezza il vetro. «Se questo tavolo potesse parlare, eh? Ricordi quando mi hai messo la tua cravatta fra i denti per non farmi urlare? Oppure quando mi hai seduta qui sopra e poi mi hai portata all’orgasmo due volte?»
«Che vuoi, Elettra?» le chiedo evitando il suo discorso e soprattutto la sua mano che mi accarezza la spalla.
Lei mi fulmina con lo sguardo. «Non hai cambiato idea?»
«Su cosa?»
«Su di noi…»
Scuoto la testa. «Noi? Non c’è mai stato nessuno noi»
«No?»
«No, Elettra. Io e te scopavamo solo e credevo che l’avessi capito, che fossi d’accordo…»
«Ma certo, certo», mi dà ragione, ma i suoi occhi dicono tutt’altro. «Ora, veniamo a noi: dobbiamo organizzare il solito evento di metà stagione!»
«Certo, come sempre. Ti do carta bianca!»
«Sei sicuro?»
«Ovviamente. Sei la migliore nel tuo campo», le dico e lei sorride, prima di rabbuiarsi di nuovo.
«C’è solo una cosa che mi chiedo: perché mi hai lasciata così, di punto in bianco?»
«Perché ho capito che quello che avevamo non era il meglio per me, né per te. Ho chiuso un rapporto morboso, che stava distruggendo entrambi. Ora non capisci, ma quando lo farai capirai che ho fatto un favore ad entrambi».
Credo che se potesse prendere il fermacarte in acciaio che ho sulla scrivania per uccidermi, ora sarei già morto, ma Elettra non lo fa, mi guarda malissimo, annuisce e poi esce dal mio ufficio, facendomi tornare alla mail di Manuela.
Devo sbrigarmi perché ho moltissime altre cose da fare e stasera ho un appuntamento a cui non posso, senza dubbio, mancare.