Capitolo 20
Manuela
Sono passati tre giorni dalla visita con la Sannibale ed è più o meno da due che non riesco ad alzarmi dal letto, perché non appena lo faccio sembra che il mio mondo si capovolga e che tutto quello che ho mangiato dal mio battesimo voglia tornare a trovarmi.
Sono riuscita solo ad arrivare in cucina a prendere una bottiglia d’acqua, le vitamine e un paio di pacchetti di cracker, prima di tornare a stendermi, mentre mi sembrava di galleggiare come una barca in mezzo al mare.
Il mio cellulare trilla per l’ennesima volta proprio, mentre sento la porta di casa mia spalancarsi e qualcuno correre dentro.
«Oddio, Ga’! Andreas aveva ragione», esclama Alessia precipitarsi al mio letto e sedendosi accanto a me con un po’ troppa veemenza, cosa che lo fa oscillare e mi fa emettere un verso strozzato.
«Ti prego, Ale, non muoverti, se non vuoi che ti vomiti addosso!» la avverto, aprendo solo un occhio. «Non sto bene…»
«Lo vediamo!» dice lei con voce preoccupata. «Ci ha chiamati Andreas per dirci che non rispondi ai suoi messaggi da tre giorni e ci ha chiesto di venire a controllare…»
«E per fortuna, perché non mi piace quello che vedo qui!» asserisce Gaele, sedendosi sulla sedia che uso come appendice dell’armadio. «Chiamo un’ambulanza?»
«Ma che ambulanza», lo redarguisco, cercando di sedermi sul letto. «Sto benissimo!» e poi, come se Fagiolino ce l’avesse con me e parteggiasse per suo zio Gaele, si ribella e mi fa diventare così verde che Alessia, capendo ciò che sta per accadere, si scansa appena in tempo prima del potente getto che fuoriesce dalla mia bocca.
«Oddio, Manu!» asserisce Alessia, quando finalmente smetto di essere la cugina dell’esorcista. «Gaele! Va a prendere qualcosa per ripulire e visto che ci sei chiama anche Andreas per dirgli che siamo qui con lei! Io la aiuto ad alzarsi, la porto in bagno e poi sistemo il letto!»
«Va bene, Musa. Mi piaci quando mi dai gli ordini…» poi, dopo averle dato un bacio sulla guancia, scappa dalla camera, lasciandoci sole.
«Forza Manu, alzati di lì! Vedrai che un bel bagno caldo ti aiuterà…»
«Non ce la faccio nemmeno ad alzarmi, Ale! Come pensi che potrei fare un bagno?» le chiedo, quando mi aiuta a sedermi sul bordo del letto.
«Ti aiuterò io e vedrai che dopo starai meglio. Fidati di me», mi mette le braccia sotto le ascelle e poi mi aiuta a tirarmi su.
«Posso chiederti una cosa?»
«Certo, tesoro»
«Perché tu non soffri di nausee?»
Mi guarda tristemente, poi dice con voce tranquilla. «Non lo so, Manu, ma credo che ogni gravidanza sia diversa dall’altra. Magari, la prossima che avrò, sarà come quella che stai avendo tu… O più probabilmente mi stanno aspettando dietro l’angolo!»
«Dio, non te lo augurerei mai! Mi sento uno schifo», poi le domando la cosa che mi frulla in testa da quando l’ha detta lei prima a Gaele. «Davvero vi ha mandati qui Andreas?»
Alessia annuisce. «Quando non hai risposto ai messaggi che ti ha inviato, si è preoccupato e ci ha chiamati, così siamo corsi da te, Manu! Ma non avresti dovuto aspettare, sai? Avresti potuto chiamare tu! Cosa non hai capito del fatto che siamo una famiglia?»
Scuoto la testa. «Pensavo sarebbe passato da solo»
«Io non dico subito, Manu! Ma quando ti sei accorta che non smetteva, perché non hai alzato quel cazzo di telefono?»
«Avete la vostra vita, non voglio essere un peso…» affermo, mentre lei, che mi ha portata praticamente di peso in bagno, inizia a far scorrere l’acqua calda e mi siede sul water per spogliarmi.
«Non lo sei, Manu. Ti vogliamo bene e non sarai mai un peso, né tu né Fagiolino!» poi Alessia non parla più, ma anche senza le sue parole, capisco dai suoi gesti dolci e pazienti, che l’ha detto col cuore.
Saggia l’acqua con la mano, mette un bel po’ di bagnoschiuma e alla fine mi aiuta ad entrare nella vasca.
«Musa?» sento Gaele chiamarla dalla mia camera. «Inizio a disfare il letto, ho già pulito a terra!»
Alessia sorride, mi mette un asciugamano sotto alla testa e dopo avermi raccomandato di rilassarmi, esce dal bagno per raggiungere Gaele.
Li sento ridacchiare nella mia stanza, mentre un piacevole torpore si diffonde in me, probabilmente per l’acqua calda, o forse perché per la prima volta da tanto tempo mi sento amata.
Sto per addormentarmi, quando Alessia torna da me, parlando al telefono.
«Ti ho detto che sta bene! Sta facendo un bagno…» poi s’interrompe per ascoltare chiunque stia dall’altra parte e aggiunge «No che non l’ho lasciata da sola, non troppo, ecco…»
La voce ora è arrabbiata e me ne rendo conto dal volume che è molto più alto.
Alessia chiude gli occhi e, dopo aver tirato un sospiro, mi guarda negli occhi e risponde: «Sta bene, la sto guardando adesso. Sembra rilassata e… Cosa? Vuoi parlarci?»
E si sente un sì così forte che arriva anche alle mie orecchie.
«Non so se è una buona idea, sai?» risponde Alessia, ma siccome penso di sapere chi sia a averla chiamata, mi siedo più composta nella vasca, apro di nuovo l’acqua calda per riscaldare quella che c’è già, e poi tendo la mano verso la mia amica che mi passa il telefono.
Devo ammettere di essere un po’ emozionata, perché sto per sentire la voce del ragazzo con cui parlo da un bel pezzo, ma mi riprendo in fretta, perché non appena porto il cellulare all’orecchio, una voce maschile, piuttosto calda e un bel po’ arrabbiata, esclama: «Manuela! Che cazzo? Stai bene? Dio, non avevo mai provato una paura simile in vita mia!»
«Andreas?» chiedo per sicurezza e lui sospira, mentre rimango di nuovo sola in bagno.
«Sì, scusa, sono io. Piacere, a proposito…»
«Ciao», rispondo sorridendo. «Immagino di doverti delle scuse?»
«Ma che dici? Non mi devi delle scuse»
«Mi dispiace comunque che tu ti sia preoccupato! È solo che non riuscivo nemmeno a stare in piedi o a tenere gli occhi aperti…»
Andreas impreca. «Avresti dovuto chiamare Gaele o anche me!»
«Ma no, non ce n’era bisogno», inizio a rispondere, ma lui mi interrompe dicendo: «Non ce n’era bisogno? Dannazione, sei incinta, Manu, e se fosse accaduto qualcosa di più grave? Se fossi caduta? Se ti fossi tagliata? Se avessi avuto un qualsiasi altro problema?»
Ed è mentre lui dice queste parole che capisco l’intensità dello sbaglio che ho fatto, perché se mi fossi fatta male davvero e non avessi chiamato nessuno, probabilmente sarei morta o peggio: il bambino sarebbe morto.
Prima che io possa fermarle calde lacrime cominciano a bagnarmi le guance e mi sfugge persino un singhiozzo, che lui sente benissimo.
«Manu, stai singhiozzando? Non volevo farti piangere, cazzo…» sbotta lui dispiaciuto.
«Tranquillo» dico in un sussurro frignando in un modo di cui fra poche ore mi pentirò sicuramente. «Mi capita spesso, sai, gli ormoni…» poi inizio a uscire dalla vasca, provocando lo sciabordio dell’acqua. 
«Sei ancora nuda?» chiede con voce roca. «Tutta sola, in quella vasca piena di acqua calda»
«In realtà, stavo uscendo» rispondo, senza rispondere alla sua prima domanda.
«Non farlo, rimani lì e parla ancora con me» la sua voce è un mormorio basso, che sta risvegliando la mia intimità, proprio come accade alle protagoniste dei romanzi che scrivo. 
«Non so se è una buona idea», rispondo scuotendo la testa, ma tornando a sedere nell’acqua, fregandomene delle grinze sulle mie mani.
«Alzati, allora… Dì a Alessia e Gaele che stai per usare il bagno e chiudi quella porta», mi dà praticamente un comando e io, andando contro ad ogni mia intenzione, faccio come dice.
Esco dalla vasca e urlo verso l’esterno: «Ragazzi, devo fare pipì, perciò ora chiuderò la porta»
«Manu, aspetta», esclama Alessia, affacciandosi nel bagno. «Prendi questi e raggiungici in cucina, Gaele preparerà qualcosa per pranzo…»
«Va bene, grazie»
«Il telefono» mi ricorda lei e io sono costretta ad attaccare ad Andreas senza salutare, ma quando la sento allontanarsi dalla stanza, mi avvolgo in un asciugamano, esco dalla mia stanza in punta di piedi e prendo il mio telefono sul quale lampeggia un messaggio di Hangouts. 
384 23 39 531
Chiamami.
E io lo faccio, immediatamente.