Andreas
Mi alzo in piedi e poi praticamente corro alla porta del mio ufficio, urlo a Violetta di non disturbarmi per un po’ e me la chiudo dietro. A chiave.
Sospiro appoggiandomi al muro, vicino all’attaccapanni, con il cellulare fra le mani.
D’un tratto la giacca è troppo stretta e la cravatta mi stringe il collo, così tolgo la prima e allento la seconda, tirando un sospiro di sollievo, che però si affievolisce subito perché il mio cervello inizia a rincorrere mille quesiti di cui non so ancora la risposta.
Mi chiamerà?
Non mi chiamerà?
Non l’ho mai vista e ora voglio mi chiami per fare cosa?
Ma non ho il tempo per rispondere alle domande che sono sorte nella mia testa, perché il mio telefono s’illumina per un numero sconosciuto che mi sta chiamando.
«Pronto?»
«Sono io, Manuela».
Sorrido. «Dove sei?»
«Sono seduta sul bordo della vasca, indosso solo un piccolo asciugamano bianco e…»
«Quanto piccolo?» domando senza farle finire la frase.
«Diciamo che copre ben poco, era solo per non uscire nuda a prendere il mio telefono sul comodino…»
«Quindi sei praticamente ancora nuda?» chiedo sedendomi su una delle poltrone che danno la schiena alla porta del mio ufficio. «Dimmi di più, Manuela. Sempre che vada anche a te, non voglio costringerti a… Perché dopo cambierà tutto e io…»
«È morbido» comincia a dire e io sospiro questa volta di gioia, perché ha deciso di approvare questa mia pazzia, che immagino, alla fine, diventerà nostra. «Bianco come le nuvole che riempiono il cielo d’estate. Adoro sentire questo materiale sulla pelle… È bello da toccare, lo adoreresti anche tu».
«Possibile, ma credo che mi piacerebbe di più toccare la tua pelle, non quell’asciugamano che ora come ora sto invidiando moltissimo!»
«Dici?»
«Sì, sicuramente»
«Peccato che ora possa farlo solo io» poi sento un fruscio e capisco che adesso è nuda, probabilmente davanti ad uno specchio, o meglio, io immagino che lo sia, come in una delle mie fantasie ricorrenti. «Sfiorarmi con la punta delle dita, farmi accapponare da sola la pelle... Eccitarmi».
E Dio, la sua voce melodiosa e calda, riesce a risvegliare anche il mio inguine, che si ingrossa e pulsa per lei. «Toccati…»
La sento sospirare. «Lo sto facendo, Andreas. Le mie mani corrono dal collo al mio seno, per poi tuffarsi giù lungo il monte di Venere».
«Manuela», dico in un sussurro, sbottonando i pantaloni eleganti del completo che indosso e tirando fuori la mia erezione, che brilla già di eccitazione.
«Dovresti sentire come sono bagnata», mormora lei, senza sapere ciò che mi sta facendo. «E tu? Ti stai toccando?»
«Sì, era impossibile non farlo, visto il modo in cui descrivi le cose che fai…»
«Sono una scrittrice, Andreas, sono brava con le parole. Ma adesso vorrei che anche tu mi dicessi cosa sta succedendo da quelle parti!»
Sorrido e poi decido di accontentarla, cominciando a descrivere ciò che di solito faccio di notte in camera mia e non in ufficio a metà della mattinata.
«Sto stringendo la mia erezione nella mano destra, facendo scivolare la mano su e giù, utilizzando le gocce che erano già fuoriuscite come lubrificante e sai una cosa? Sto immaginando che siano le tue mani, Manuela… E mi rendo conto che devo farlo per forza, perché non so come sei fatta, tesoro».
Ridacchia, soffocando un gemito, prima di rispondere. «Stessa cosa sto facendo io, perciò immagino che siamo pari… Ah!» conclude la sua frase con un piccolo urletto che sembra propagarsi da lei al telefono alla mia virilità.
«Ora, che stai facendo ora?» domando aumentando la velocità e mordendomi un labbro per non urlare, perché dall’altra parte della porta c’è pur sempre la mia segretaria.
«Un dito non basta più…» esclama soltanto lasciandomi immaginare ogni cosa.
Non parla più, sento solo rumori bagnati e i suoi mormorii che mi sembrano la cosa più sensuale che io abbia mai sentito in vita mia.
O forse no, ma non ho tempo di pensare al passato…
«Più veloce, Andreas… Ci sono quasi!» emette un piccolo grido e poi è il mio turno di spalancare la bocca, perché sento l’orgasmo arrivare come un’onda nel mio bassoventre.
Sto per venire così forte che credo, dopo, i miei pantaloni e la camicia saranno da lavare e ringrazio il cielo di essermi portato la tuta questa mattina, perché altrimenti mi sarei dovuto inventare una scusa per fuggire via di qui e cambiarmi.
«Oddio… Oddio… Oddio…», esclama Manuela dall’altra parte del telefono e io colgo l’occasione per dirle: «Sfiorati il clitoride con un dito, piccola, vieni per me… Immagina che sia la mia lingua su di te, immagina che sia io e non le tue mani. Mi senti?»
Manuela ansima. «Oddio, sì, ci sono», e poi emette un gemito lungo e sconnesso, accompagnato dal rumore del suo telefono che cade, proprio mentre mi sfioro più alacremente e il piacere sgorga fuori finendo, come previsto, sul mio addome coperto dal tessuto bianco della camicia.
Respiro pesantemente, proprio come fa lei dall’altra parte dopo aver raccolto il suo cellulare e rimaniamo così a respirare i nostri orgasmi a distanza per un bel po’.
Alla fine è lei a rompere il ghiaccio. «Non l’avevo mai fatto prima»
«Cosa?»
«Sesso al telefono…» risponde ridacchiando. «Dio, ma quante cose mi ero persa, finora? E adesso, tante non potrò più farle…»
«Perché?»
«Il bambino, no? Avrei voluto viaggiare, vedere monumenti di cui ho solo letto sui libri, fare pazzie… Invece sarò mamma fra pochi mesi!»
«E non credi che sarà già questa una bellissima avventura?»
«Una bella grossa anche».
D’un tratto mi rendo conto di una cosa e gliela domando, cercando di non sembrare un completo idiota. «Senti, io non so come funzionano queste cose, ma quello che abbiamo fatto non farà male al bambino, vero? sì, cioè, l’orgasmo non».
Manuela ride davvero adesso, con annesso piccolo grugnito. «No, non preoccuparti, anzi credo che sia piaciuto anche a lui, perché mi è passata del tutto la nausea».
Sorrido. «Be’, buono a sapersi! Usami quando vuoi… Se ti viene di nuovo, chiamami e dovunque sarò provvederò a fartela passare!»
«Potrei prenderti in parola, sai?»
«Fallo. Ci conto, anzi! Ora hai il mio numero…»
«Allora lo farò presto, promesso…» poi giurerei di sentire le rotelle della sua testa dal silenzio del telefono, perciò le domando: «Che c’è?»
«Pensi che io sia una brutta persona?»
«No, perché?»
«Be’, ho appena fatto questo con te e aspetto un figlio da un altro tipo: che cosa dice questo di me?»
«Dice che sei una donna sana con sane voglie, che io sono fortunato a accontentare e che quello che ti ha lasciata scappare è un cretino…»
«Non è proprio così, ma grazie!»
«E di cosa?» domando, riordinandomi i vestiti, anche se appena chiuderò la chiamata infilerò la tuta e correrò alla palestra aziendale.
«Per avermi fatto sentire di nuovo bene…»
«E lo farò ogni volta che vorrai…»
«Davvero?»
«Davvero. Lo giuro su “Come ti vorrei”»
«Allora devo crederci, vero?» domanda e sento il sorriso sul suo volto, anche se non riesco a vederla.
«Sì, Manuela, credici»
«Prima hai detto che sarebbe cambiato tutto, ma in fin dei conti», dice poco prima di chiudere la chiamata. «È cambiato tutto fin dalla prima volta in cui ti ho insultato, non credi?»
«Sì, è vero. Mi hai incuriosito»
«E spero di farlo ancora, perché ho appena aggiunto il tuo numero su WhatsApp e ho cambiato al foto profilo con una senza il mio viso, perché mi eccita non sapere come sei fatto…» poi attacca e poco dopo seguo il suo esempio, perché quando la guarderò in viso, sarà dal vivo e non tramite una fredda foto di un profilo social.