Andreas
Oggi è il grande giorno, dovrei essere gasato e pronto per ciò che dovrò fare alla riunione aziendale che ho deciso di tenere oggi pomeriggio, prima della festa di metà anno, ma non lo sono.
Sono incazzato con Afferti, ma niente è pari alla rabbia che provo verso me stesso per com’è finita con Manuela, perché è stata colpa mia.
Lei mi odia e ha ragione.
Ci ho messo un po’ a capirlo, ma effettivamente come poteva dimenticare l’uomo che sarà il padre di suo figlio?
Solo un imbecille poteva pensarlo e a quanto pare quell’idiota sono io.
L’ho cacciata io dalla mia vita e ora posso solo pentirmene.
«Andreas?» domanda Violetta entrando nel mio ufficio e richiudendosi la porta dietro. «È tutto pronto di là. Ma tu lo sei?»
Annuisco sicuro. «Ovviamente…»
«Mi spieghi però, perché non hai mantenuto la tua idea iniziale? Perché non lo sputtaniamo davanti a tutti alla festa?»
Mi prendo un attimo per sorridere del plurale usato dalla mia segretaria, poi asserisco sinceramente: «Perché sono dell’idea che quella festa sia un momento in cui tutti debbano divertirsi! Se rivelassi tutto durante il party di metà anno, rovinerei il morale e non voglio. I miei ragazzi lavorano duramente tutti gli anni e per una sera mi piacerebbe che si divertissero senza pensare a niente! Infatti, per la prima volta dopo tantissimi anni, gli hotel saranno tutti chiusi per quella sera».
Violetta annuisce. «Va bene, sei tu il capo, ma rimango del fatto che sarebbe stata una bomba smascherarlo davanti a tutta quella gente!»
«La riunione di oggi sarà con moltissime persone, perciò immagino che sarà comunque un bello spettacolo!»
«Oh, lo so…» esclama sorridendo in un modo che mi fa tremare le gambe. «Torno alla mia postazione: ci vediamo fra poco Boss!»
La guardo uscire dalla porta e non appena se la chiude dietro, il mio morale ripiomba nell’oscurità.
Ho bisogno di bere… penso e un attimo dopo sto aprendo l’ultimo cassetto della mia scrivania, faccio per prendere la bottiglia di whiskey che di solito offro a chi viene qui per un colloquio con me, ma alla fine, non so nemmeno io come, mi ritrovo con il manoscritto di “Come ti vorrei” fra le mani.
Sulla prima pagina, fra titolo e il nome dell’autrice, c’è la sua mail. L’ha scritta con la sua bellissima calligrafia tondeggiante.
Ci passo sopra un dito e chiudo gli occhi, cercando di evocare la sua immagine e riuscendo a pensare solo all’altra donna che mi ha fatto sentire così, la stessa per la quale ho lasciato Elettra mesi fa.
Torno presente a me stesso e apro il manoscritto alla pagina dov’ero arrivato e riprendo a leggere, perché se non altro, in questo modo, la sento più vicina.
Le pagine scorrono fra le mie dita e la storia prosegue elegante, chiara e stranamente famigliare.
Più vado avanti, più mi rendo conto che qualcosa non va.
O meglio, va anche troppo.
Mattia e Francesca, dopo un finto tradimento ordito da una pazza che voleva dividerli, sono finalmente insieme. Lui ha capito che lei è l’amore della sua vita e per dirglielo ha deciso di portarla in un hotel.
Un hotel con la spa.
E ora sono in acqua, eccitati e bisognosi l’uno dell’altra.
Ma non è la scena in sé che mi fa pensare, è quello che si stanno dicendo.
«Capo!» grida Violetta entrando nel mio ufficio e facendomi prendere un colpo.
Mi porto una mano al cuore che rimbomba così tanto che riesco a sentirlo fino alle orecchie e le scocco un’occhiataccia. «Violetta, santo cielo! Per poco non mi uccidi, eppure sai che in famiglia soffriamo di cuore…»
Lei rimane per un attimo basita, perché forse, questa, è la prima volta che faccio una pseudo battuta sulla morte di mio padre, poi mi sorride: «Macchè! Guarda che lo so che stavi leggendo quel malloppone!» indica il manoscritto sul tavolo. «Ed è solo per quello che non mi hai sentita arrivare…»
«Ah, bene! Perché sei qui?»
«Perché sono tutti nella sala grande al piano amministrativo, Erika è pronta e manchi solo tu per iniziare».
Mi alzo in piedi, lascio lì il romanzo di Manuela e vado incontro al momento che cambierà, senza alcun dubbio, le sorti dell’azienda.