Andreas
Quando entro nella sala riunioni, quella che uso di solito per le grandi occasioni, tutti i miei dipendenti di alto rango sono già seduti attorno al tavolo.
È rotondo, come quello di Re Artù, in modo tale che io riesca a guardarli tutti negli occhi.
Ricevo molti cenni di saluto, mentre mi affretto a prendere posto e a dare il via allo show.
«Buongiorno a tutti!» esclamo con un tono cordiale. «Mi dispiace avervi scomodati a venire qui oggi, ma ciò che devo dire, purtroppo, coinvolgerà tutti voi».
Li guardo tutti, uno a uno, mentre la porta della stanza si apre per lasciare entrare due uomini in borghese che solo io so essere della guardia di finanza.
Mi salutano con un cenno e si accomodano accanto alla porta d’ingresso, senza rivolgere la parola a nessuno.
«Bene, ora che siamo tutti, posso iniziare a raccontarvi cosa sta succedendo proprio sotto il nostro naso, qui, alla Pitti…»
Gli uomini di fronte a me, compreso Afferti, che continua a osservare Elettra che, non trovando posto a sedere, si è accostata al muro in fondo alla sala, mi fissano sconcertati.
«Vedo un certo sbigottimento nei vostri occhi e di ciò mi dispiace, ma presto sarò chiaro con tutti. La donna che siede accanto a me e che fino ad oggi ha lavorato nel reparto marketing, Erika Ghirelli, è in realtà una consulente esterna che ho voluto qui per dirimere un problema dell’azienda. Vedete, qualche mese fa mi sono reso conto che qualcuno ci stava derubando…»
E il mormorio di prima diventa un brusio fortissimo, che sono costretto a bloccare con una mano. «Perciò, con l’aiuto di Fulvio Tancredi» che poi indico come per presentarlo a chi non lo conoscesse. «e della mia assistente Violetta, che conoscete tutti, ho pensato ad un piano per capire chi fosse, prima che quest’ultimo rubasse ogni centesimo dal conto dell’azienda e mi costringesse a fare tagli al personale, cosa che non avrei fatto comunque, avrei piuttosto rinunciato al mio stipendio!»
«Avrei fatto lo stesso anche io», esclama Pancrazio annuendo. «E, senza dubbio, non sarei stato il solo!»
Molti dei miei dipendenti assentono convinti, poi tornano a guardarmi per sapere il resto.
«Così ho provveduto a creare un nuovo conto primario, lasciando invariato quello precedente. Fulvio mi ha aiutato con la parte burocratica e ha fornito a Erika i dati necessari a seguire chiunque stesse derubando la Pitti. Ci abbiamo messo un po’, perché l’IP del ladro si spostava come un pazzo in giro per il mondo, ma alla fine Erika l’ha beccato… E, mi duole dirlo, ma siede fra voi!»
«E chi è?» sbotta Rubio Angoli, manager dell’hotel della catena Pitti a Siena. «Chi?»
«Diccelo Andreas, dicci chi stava rubando dalle sue stesse tasche!» aggiunge Giulio Presti, che gestisce da anni l’hotel a Prato.
«Cazzo, sul serio ragazzo, fai il nome di questo bastardo!» ribadisce Angelo Materia, il direttore dell’hotel di Lucca.
«Vuoi dirlo tu?» esclamo rivolgendomi con tutto il corpo verso Michele Afferti.
Il mio gesto non passa inosservato, perché praticamente gli occhi di tutta la sala si rivolgono verso di lui, che non accenna a parlare, perciò continuo con la mia arringa, mentre Violetta mi guarda orgogliosa.
«Allora sarò io a fare gli onori di casa…» dico con voce ferma, mentre gli agenti in borghese camminano fino a ritrovarsi dietro Afferti. «Vi stavo parlando del vecchio conto, vero? Bene, la nostra Erika, che in realtà è una ex hacker dell’esercito italiano, ha seguito i soldi e immaginate lo sconcerto quando abbiamo scoperto che arrivavano proprio qui, e per qui, badate bene, non intendo Firenze, intendo in questo Hotel. Sotto al mio naso, capite?»
Elettra fa per muoversi e io la fulmino. «Te ne vai i già? Non ascolti la parte in cui scopro che arrivavano a te, che sei invischiata in questa storia perché sei la figlia di Michele?»
Sussurri sgomenti provengono da ogni parte della sala.
«Vorrei capire, però, il perché!» esclamo con la voce un filo più alta. «Il come è piuttosto chiaro, è il movente che mi manca! Cosa pensavate di ottenere?»
Zaffiro batte sul tavolo, arrabbiato. «E quella riunione in cui dicevi di essere preoccupato, eh, Afferti? Era tutta una montatura?»
«Dio, c’era da aspettarselo da una serpe come te, Lorenzo aveva ragione!» dichiara Pancrazio, beccandosi cenni d’assenso da ogni dove.
E è proprio mentre lui dice quella frase, citando mio padre, che Afferti si alza in piedi. «Ah, Lorenzo! Avrebbe dovuto lasciare tutto a me! Tutto! Io ero il più adatto a continuare il suo lavoro… Io! Solo io! Mancava così poco, così poco»
«Ma cosa dici!» grida Violetta affrontandolo. «La Pitti è di Andreas, è suo figlio! E sta facendo un ottimo lavoro da quand’è morto Lorenzo!»
Michele ride sguaiatamente. «Se avessi saputo del fottuto testamento, l’avrei chiamata prima l’ambulanza…»
Elettra grida e io lo fisso sconcertato.
«L’ambulanza? Cosa c’entri tu, non capisco…»
«Tanto vale che te lo dica: ero là, quel giorno»
E in un attimo tutto si fa chiaro: lui c’era e avrebbe potuto salvarlo, invece l’ha lasciato a terra, nel salotto, a morire.
«Perché?»
«Avevamo iniziato assieme e gli ho chiesto di avere più potere decisionale, ma lui con quelle sue idee strampalate di uguaglianza e libertà d’intesa fra i dipendenti, ha detto che se qualcuno avrebbe avuto, dopo di lui, il potere di cambiare le cose quello saresti stato tu…»
«Oh mio Dio», sussurra Violetta, afferrando la mia mano destra che ha preso a tremare assieme a tutto il resto del mio corpo.
«Ho urlato che non era giusto, perché io ero più capace di te e di chiunque altro, cazzo! L’ho spinto, abbiamo litigato e poi Lorenzo si è portato la mano al petto», si ferma nel racconto e sorride, come un pazzo felice di finire sulla sedia elettrica. «Aiutami, mi ha detto e io ho risposto che la sua morte avrebbe aiutato me».
Mi divincolo dalla presa di Violetta e in un attimo sono davanti a Michele, lo prendo per la camicia bianca e mentre quella stronza di Elettra mi supplica di non fargli del male, lo colpisco con un pugno sul viso.
L’impatto fra la mia mano e la sua faccia è così violento che il suono rimbomba nella sala fra lo sconcerto generale.
«Mio padre stava morendo, porca puttana, e tu l’hai lasciato lì. Mia madre l’ha trovato a terra, Michele, immobile, con la schiuma alla bocca… Non so se si sarebbe salvato, ma se l’ambulanza fosse arrivata prima, forse avrebbe avuto una speranza!»
«Io avevo bisogno di speranza! Io! A fare il lacchè per anni per sgobbare prima sotto di lui e poi sotto di te? Un uomo del mio calibro…»
«Un bastardo», asserisce adirato Angoli. «Ecco cosa sei! Non hai mai capito di avere tutto il potere di cui stai parlando? Sai come siamo arrivati a mettere una spa nel mio hotel? L’ho chiesta io, Michele e Lorenzo me l’ha permesso, finanziandola! Dio, l’hai ammazzato con le tue mani!»
«No, non è così», borbotta Afferti, preso in contropiede. «Lui vi faceva pensare di essere liberi, ma...»
«Mio padre non ha mai voluto essere un capo dittatore, Michele. Lui era quello che metteva i soldi quando mancavano, che correva qua e là a risolvere i problemi o a festeggiare i successi… Mio padre era mille volte meglio di te e sarò fortunato se riuscirò ad eguagliarlo!»
«Sei sulla buona strada ragazzo…» dichiara Giulio Presti. «Sei pieno di idee e hai risolto un grave problema proprio oggi».
Lascio la presa sul collo di Afferti e mi rivolgo ai finanzieri in borghese. «Lo lascio a voi, anzi: li lascio a voi».
Il più alto dei due, un ragazzone moro in giacca e cravatta, tira fuori il suo tesserino e poi con voce autoritaria, annuncia: «Michele Afferti e Elettra Paterno, vi dichiaro in arresto per frode, appropriazione indebita, falso in bilancio e, viste le sue ultime dichiarazioni, anche per omissione di soccorso! Tutto ciò che avete detto e direte da adesso in poi verrà usato contro di voi in tribunale. Se non avrete modo di procurarvi un avvocato, vi verrà fornito d’ufficio», e mentre continua a elencare i diritti, l’altro si avvicina ad Elettra per mettere, anche a lei, le manette.
Quando i finanzieri li portano via, riesco finalmente a tirare un sospiro di sollievo che coincide quasi con l’arrivo di un messaggio sul mio cellulare.
È di Manuela.
Un piccolo fiocco rosa.
«Dio, è femmina!» esclamo ad alta voce, prendendo di nuovo l’attenzione di tutti.
«Femmina?» prorompe Violetta. «Chi è femmina…»
«La figlia della donna che amo»
«Cosa?» dicono assieme Giulio e Rubio.
«Chi?» asserisce nello stesso istante Angelo, mentre Pancrazio mi fissa come se mi fosse spuntato un terzo occhio.
«Scusate, non posso spiegarvi nulla adesso! Devo correre a rimediare a questo pasticcio, altrimenti me ne pentirò per sempre!»
Esco dalla sala come una furia diretto al mio ufficio, perché se voglio capirci qualcosa devo finire di leggere quel romanzo.
E se Manuela fosse…