Detesto guidare in città. Il traffico è lento, le strade sono invase di pirati che ignorano il codice della strada e sono costretto a tenere sempre i finestrini chiusi per colpa dello smog. In particolare nell’ora di punta.
Ho detto chiaramente a Derek di evitare orari impossibili, perché io vengo da fuori e non voglio stare in auto per ore.
Ieri alle due sarebbe stato perfetto, sarei comunque stato in città per una seduta della Camera, ma niente da fare, aveva fissato un appuntamento con una cliente un attimo prima che lo chiamassi.
E quindi eccomi, infognato nel traffico di mezzogiorno a contare i passanti nell’attesa che quelli davanti a me si decidano a muoversi.
Quando arrivo allo studio, Derek sta leggendo il «Times».
«Ashford! Entra, accomodati! Era un po’ che ti aspettavo!».
«Vuoi scherzare? Sono stato bloccato almeno quaranta minuti. La prossima volta vieni tu a Denby Hall!».
«A proposito di Denby, tutto a posto? Tua madre?»
«Più o meno, tutto come al solito. Anche mia madre, insopportabile come al solito».
Derek conosce mia madre e non può trattenersi dal fare una risata. «Il tempo passa ma lei non cambia!».
«Già», concordo. «Se non altro sta pensando di andarsene a Bath per un paio di mesi, per la mezza stagione».
«A Bath? In una spa? Bellissimo!».
«Certo che no. Mia madre non andrebbe in una spa aperta al pubblico nemmeno dietro minacce. No, figurati! Starà a Upper Swainswick, la nostra tenuta nel Somerset».
Derek sembra confuso. «Tenuta a Bath?»
«Sì, Derek. È appena tre miglia fuori dal centro, edificio georgiano, quattro acri di parco, ricordi?».
Derek sembra assalito dal panico e si china concentratissimo a scartabellare tra una pila di documenti sulla scrivania. «Come hai detto che si chiama?»
«Bleech House», gli ricordo. Ma è suonato, oggi?
«Bleech House… Bleech House…», ripete tra sé e sé come un mantra, poi, dopo qualche minuto, osservando un documento, corruga la fronte. «Bleech House? A Upper Swainswick?»
«È quello che ho detto poco fa», confermo.
«Ashford, sei sicuro che tua madre abbia specificamente detto che andrà a Bath nella vostra tenuta?»
«Non potrebbe essere altrimenti…». Non capisco cosa stia farneticando.
«Il motivo per cui ti ho convocato è la tua situazione economica. Quando hai incontrato l’ultima volta il tuo consulente finanziario? È passato molto tempo?».
Il suo tono inizia a preoccuparmi, tanto che la mia voce si fa incerta nel rispondergli. «L’ultima volta che ho parlato con Smith? Sei mesi fa, quando è morto mio padre. Avevo intenzione di rivederlo tra un paio di mesi per gli aggiornamenti».
Il volto di Derek si tende in un’espressione allarmata. «Tra due mesi è troppo tardi. Ashford, mi rendo conto che l’aver delegato a me e Smith la gestione dei tuoi beni ti esoneri dal dovertene preoccupare in prima persona, ma devo raccomandarti di essere più sollecito negli incontri periodici». Derek fa una pausa per poi riprendere con tono ancora più grave. «Smith e io ci conosciamo dai tempi di Oxford e spesso ci consultiamo a vicenda riguardo alle questioni lavorative. Mi ha mandato un report comunicandomi che la situazione gli sta sfuggendo di mano e di essere in grave difficoltà con i tuoi conti. Bisogna trovare un accordo con la banca».
«Conti in difficoltà? Di cosa stai parlando? Sei mesi fa i miei conti non erano in difficoltà!».
«Le cose sono cambiate», Derek mi guarda stranito. «Possibile che non li controlli mai?!».
«Io non controllo! Pago Smith per farlo! E pago te per la gestione dei miei immobili!», mi difendo. «Smith mi dice quanto posso spendere e al resto pensa lui. Adesso mi puoi dire qual è il problema?»
«Ecco, quando tuo padre è morto sei diventato duca di Burlingham, hai ereditato titoli, possedimenti e tutto il resto. Inoltre le azioni in cui tuo padre aveva investito quasi l’intero capitale sono andate a picco negli ultimi mesi dato che le società che le hanno emesse sono in grave crisi. Ora, in qualità di tuo procuratore, ho dovuto agire in via cautelare nel tuo interesse proponendo alla banca la tenuta di Bath a garanzia del piano di rientro del tuo scoperto».
«Vorrai scherzare, spero», chiedo incredulo.
«Purtroppo no, il conto è in rosso».
Guardo sempre più attonito le cifre precedute dal meno. «Ma che fine hanno fatto gli altri soldi? Mio padre non può aver investito tutto!».
«Tutti i tuoi beni generano spese: le tasse, la manutenzione, i consulenti, il personale, senza contare il tuo stile di vita abbastanza dispendioso… La banca ti ha concesso i pagamenti a debito, ma ora ti chiede di rientrare».
«Stiamo parlando di tre milioni di sterline!», protesto.
«A voler essere precisi, la scopertura in banca è di cinquecentomila sterline, il resto è la possibile perdita che potrebbe derivare da un eventuale default degli investimenti fatti a suo tempo da tuo padre. La banca, non mi chiedere come, ma sappi che è plausibile, potrebbe essere venuta a conoscenza della situazione precaria del tuo portafoglio titoli e per questo motivo ti chiede di rientrare immediatamente dal fido di cassa minacciandone la revoca e intentando azione legale nei tuoi confronti o in alternativa di prestare loro idonee garanzie».
«Dannazione!», impreco trattenendomi dal battere il pugno sul tavolo.
«Per questo, quando mi dicevi che tua madre sarebbe andata a Bath, ho capito che tra te e Smith non c’era stato uno scambio d’informazioni. Tra i tuoi possedimenti, la tenuta di Bath credo sia quella più opportuna da usare come garanzia».
Scatto in avanti sulla sedia come lo schienale bruciasse. «Non è possibile! A mia madre verrebbe un infarto se sapesse che siamo al verde!».
«Allora Denby Hall», ribatte Derek lapidario.
Ora non ho dubbi sul fatto che il mio avvocato sia impazzito. «Denby? Ma è la residenza storica di famiglia! Non se ne parla!».
«Ashford, ti servono soldi e ti servono subito», rincara lui. «Dovresti iniziare a valutare la vendita di qualcuna delle tue proprietà, altrimenti davanti alla tua insolvenza, la banca potrebbe procedere legalmente fino ad arrivare a un possibile pignoramento».
«Derek, mi serve tempo».
«Devi andare in banca a parlare con il funzionario», seguita lui.
«Ci penserò, tu però mi devi trovare una soluzione», sono le mie ultime parole prima di uscire dallo studio.
Volevo fare un salto al club per vedere chi ci fosse in giro, a sentire le ultime novità, ma mi è passata la voglia.
Sono indigente. Io, dodicesimo duca di Burlingham, mi ritrovo con i creditori alla porta di casa!
Con che faccia mi dovrei presentare in giro?
Se mi chiedono “Ciao Parker, come va?”, non posso rispondere “Una meraviglia, sono al verde!”.
Per non parlare del fatto che non posso permettermi nemmeno di offrire un giro di whisky ai miei amici. Bella scena farmi tagliare la carta di credito in pubblico. No, deve esserci un errore! Deve esserci una soluzione!
Guido premendo sull’acceleratore più del dovuto per uscire da Londra il prima possibile, come se il mio problema fosse legato alla città e volessi lasciarmelo alle spalle con una manciata di miglia.
Quando rientro a Denby Hall fatico a trovare un domestico che mi apra i cancelli.
Perché questa maledetta casa pullula di gente che quando serve non c’è mai? Si può sapere dove vanno a finire i miei soldi, se devo scendere dall’auto e aprirmi i cancelli da solo?
D’accordo, mi sono fatto delle domande stupide. Basta arrivare al portone per accorgermi che mia madre ha chiamato a raccolta tutti, dagli stallieri alle cameriere, passando per le cuoche, l’autista e il giardiniere.
«Buongiorno, Sua Grazia, bentornato», mi saluta Lance, il maggiordomo, intento a trasportare quello che sembra l’intero mobilio dell’ala est.
«Lance? Mi puoi spiegare cosa sta succedendo qui?», chiedo travolto dal turbinare dei domestici indaffarati.
«Ordini della duchessa».
«Naturalmente, ma perché?», insisto io.
«Per portarli a Bath», risponde Lance sempre restando sul vago.
Sento il ticchettio familiare dei tacchi sul marmo dei gradini d’ingresso. «È necessario rivedere la disposizione dei mobili e dell’arredo. Sia a Bath che qui», afferma una voce femminile dal tono dispotico, proprio alle mie spalle.
Mi volto e vedo mia madre sotto l’arco del portone, le braccia incrociate, che mi guarda con aria di sfida.
«Perché mai sarebbe necessario?» le chiedo.
«Sei il nuovo duca di Burlingham, per cui ho disposto che siano rinnovate tutte le tappezzerie e la biancheria per la casa con le tue iniziali sotto lo stemma. Va da sé che il cambiamento coinvolge anche gli interni».
«Non ho mai chiesto niente di tutto ciò», obietto io.
«Io sì. Ho già chiamato l’architetto; verrà domani e inizieremo a studiare insieme il rinnovamento di Denby Hall. Poi tra due giorni andrò a Bath e farò la stessa cosa con Bleech House e…».
«Non puoi andare a Bath!», la interrompo allarmato.
«Cosa?», lei mi guarda come se avessi parlato al contrario.
«Ferma tutto, non puoi andare a Bath».
Dio, fa’ qualcosa! Paralizzala, fulminala, ma non farla andare a Bath!
Lei invece non sembra prendermi sul serio. «Non ho mai sentito una sciocchezza più grossa».
E adesso cosa m’invento? «Non puoi! Attendiamo ospiti, ho bisogno che tu sia qui per aiutarmi a riceverli in modo adeguato!».
«Puoi riceverli con Portia, fareste un figurone…».
«No! Sono ospiti mooolto importanti, devi riceverli tu».
«E chi sarebbero mai? In sei mesi non ci ha mai fatto visita nessuno!», ribatte stizzita.
Nota dolente che inacidisce mia madre ogni giorno che passa: sono duca da mesi e non abbiamo ancora avuto visite illustri.
Cerco di temporeggiare. «Non te lo posso dire, è un segreto».
Mia madre alza gli occhi al cielo, sempre più spazientita. «E quando arriverebbero, si può sapere?»
«No! Sorpresa! Non lo so nemmeno io. Potrebbero arrivare da un momento all’altro, per questo mi servi qui».
Il viso di mia madre si trasfigura, con gli occhi sgranati come se le fosse apparsa la Madonna. «È la regina! Viene la regina! Con tutta la famiglia reale! È per questo che non puoi dirlo, vero? È top secret!».
Che cosa ho fatto? A questo punto non mi resta che stare al gioco. Se con questa me la cavo, sono Dio. «Ehm… Già, ma fa’ come se non ti avessi detto nulla».
«Ascoltatemi tutti, fermatevi e rimettete tutto in ordine. Abbiamo una visita reale da pianificare. Margaret, con me!», urla mia madre rientrando con passo risoluto alla volta del suo studio seguita a ruota dalla sua dama di compagnia e la sua muta di corgi in sovrappeso. Odio quei cani.
Sì, mia madre ha anche una dama di compagnia, ma a lei piace chiamarla “segretaria particolare”, perché, pur con tutti i suoi limiti, si rende conto che parlare di dame di compagnia nel ventunesimo secolo è ridicolo.
Inutile, non riesco ad arginare una delle sue follie senza fargliene venire in mente una peggiore.
Se non altro, ho messo un freno alle migliaia di sterline che stava per spendere.
Ora però ho questioni più urgenti da affrontare.
Metto sottosopra lo studio di mio padre cercando disperatamente di ricostruire la mia situazione economica per capire come è successo questo disastro. Non c’è niente. Niente di niente. Solo cartacce inutili, vecchi documenti ammuffiti, qualche scontrino, ma niente di utile. Anche lui si è sempre appoggiato a Smith, il nostro consulente finanziario, e qui non c’è nulla.
Solo ora mi rendo conto di quanto ho fatto male a delegare ad altri qualcosa di così delicato. Pensavo che se mio padre si era fidato, allora potevo farlo anche io. Ho pensato malissimo. No, da oggi mi ci metto io dietro questa scrivania, non ne voglio più sapere di consulenti.
Mentre gattono tra mucchi di fogli ingialliti sparsi sul pavimento, Lance mi sorprende alle spalle facendomi sobbalzare.
«Sua Grazia, chiedo scusa. Ho visto la luce accesa e ho pensato che qualcuno l’avesse dimenticata, non immaginavo di interrompere il suo lavoro. Sono le due di notte passate, ormai».
«Figurati Lance», dico abbandonandomi con la schiena contro la parete e i gomiti appoggiati alle ginocchia.
«Ha l’aria stanca, se posso permettermi».
«Lo sono… Lance, mio padre non ti aveva mai parlato dei suoi investimenti?»
«Suo padre si confidava spesso con me, ma non dei suoi affari finanziari. Qualcosa non va?»
«Niente che valga la pena discutere».
«Posso suggerirle una dormita rinfrancante? Ha l’aria stressata, da quando è rientrato da Londra».
Annuisco e lo congedo. Mi soffermo ancora un po’, domandandomi come diavolo sia potuto succedere a mio padre, morigerato e oculato, di farsi infinocchiare con un investimento disastroso.
E di lasciarmi al verde. Con mia madre che mi alita sul collo!
Ritorno alla scrivania per spremermi le meningi, devo inventarmi un piano B.
Potrei aprire i nostri castelli ai turisti. Al pensiero, ho un colpo al cuore: la famiglia Parker, da quando detiene il ducato di Burlingham, ha sempre fatto vanto di non aver dovuto trasformare le proprie tenute in attrazioni turistiche per ciccioni con sandali di gomma, come la maggior parte dei nobili decaduti sono stati costretti a fare per racimolare il budget necessario a riparare il tetto o la caldaia.
Faccio due calcoli per valutare questa strategia, ma anche se funzionasse, ci vorrebbe troppo tempo: per mettere insieme i soldi che devo alla banca più gli interessi dovrei istituire visite guidate per almeno sei anni. Davvero troppo tempo.
Accartoccio un foglio scarabocchiato e lo lancio dall’altra parte dello studio a colpire la boiserie intagliata.
Mentre attraverso la galleria dei ritratti per arrivare alla mia stanza, sento il peso degli sguardi dei miei antenati su di me. Tutti severi, seriosi, che mi guardano dall’alto in basso e mi giudicano. Lo so cosa pensano: che io, come duca di Burlingham, sia davvero inadeguato. Rischio di far decadere il nome della famiglia Parker.
La prossima volta devo ricordarmi di passare dalla galleria delle armi! È un giro più lungo, ma almeno evito le facce incazzate dei miei cari estinti.
E stanotte non dormirò un accidente.