Nanette e io ci fissammo. Per un momento ebbi la sensazione che non volesse scendere, che desiderasse proseguire per sempre il viaggio, far durare l’incanto. Di sicuro, io lo desideravo. La fissai.
— Devi proprio andare?
Le sue palpebre svolazzarono come farfalle purpuree. — Scherzi? Ho un appuntamento al Sol Sorgente. Alle otto in punto.
— Il solito posto.
Lei annuì. Penso che volesse toccarmi, invece girò sui tacchi e si allontanò nel corridoio.
Non potevo lasciarla andare così.
— Nanette! — chiamai.
Si voltò, sulla porta. Corsi da lei, frugandomi in tasca.
— Voglio darti un regalo di nozze. — Era sull’ultimo scalino. — È la mia vecchia tessera della biblioteca di New York. Lo so che è un regalo stupido, ma non ho altro. Forse un giorno andrai a New York e allora potrai fingere di essere me e prendere un libro in prestito.
Lei stava scuotendo la testa e respingendo la mia mano quando l’autista disse: — Prendila, Nanette. È la cosa più preziosa che ha.
Lo sguardo di Nanette sorvolò la mia testa e si fermò sull’autista. Il motore rombava sotto di noi. Mi tolse la tessera di mano e l’infilò nella stessa tasca della lettera di Walt Pintero. La guardai allontanarsi.
Dietro di me risuonò la voce dell’autista: — Hai ricevuto qualche lettera da quando ti sei trasferita in Pennsylvania?
— No — dissi, fissando Nanette.
— Non ti piace ricevere posta?
— Sicuro.
— Le servirà il tuo indirizzo.
— Nanette! — chiamai. — Nanette! Torna qui!
Si fermò, ma non si voltò. Semplicemente sembrò afflosciarsi. In cuor suo era già al Sol Sorgente. Non voleva tornare, però lo fece, fissandomi accigliata.
Da dietro le mie spalle, una biro mi scivolò fra le dita.
— Nanette, devi scrivermi. Da quando sono qui non ho ricevuto una sola lettera, e ricevere lettere mi piace perfino più che leggere libri. — Strinsi i pugni e mi curvai per mostrare quant’ero sincera. — Mi scriverai, per piacere-ti-prego?
Lei restò là e basta, fissandomi nauseata.
— Ti darò il mio indirizzo — proseguii. — Dammi la tessera.
Obbedì, ma quella che mi diede non era la mia vecchia tessera della biblioteca. Era della stessa misura e della stessa forma, ma era nuova di zecca, blu e senza alcuna scritta.
— Dov’è la mia tessera? — strillai.
Nanette si frugò nelle tasche, ma non trovò altro che la lettera di Walt Pintero.
— È impossibile che tu l’abbia già persa!
Ero sconvolta.
— Ci aspettano alla prossima fermata — mi ricordò l’autista.
Guardai storto Nanette e cominciai a scrivere sul cartoncino vuoto.
Lei me lo strappò di mano. — Niente cognome.
— Va bene, va bene.
Lo riacciuffai, scrissi a stampatello nome e indirizzo e glielo restituii.
— Posso andare, ora? — chiese sarcastica all’autista.
Non attese la risposta.
Dall’ultimo gradino del bibliobus la guardai percorrere Dorcas Road. Aspettai finché ritenni che fosse al limite di portata della mia voce, poi misi le mani a coppa intorno alla bocca e urlai più forte che potevo: — Mendez!
Nanette sollevò di scatto le mani alle orecchie, ma sapevo che era troppo tardi.