Appena ripartimmo dissi all’autista: — Ci ha dirottate per davvero?
Lei sorrise. — Era quello che voleva credere. Ma non penso che abbiamo mai corso un serio pericolo.
— E il rasoio? Non ha avuto paura?
— Il rasoio non era per noi.
La fissai. Qualcosa mi diceva di non fare la domanda successiva.
— Per chi, allora?
— Per l’unica persona alla quale potrebbe mai fare del male.
A stento riuscii a balbettare: — Se stessa?
L’autista annuì. — Mi ha mostrato le cicatrici sui polsi. Temo che non scherzasse. Ecco perché le ho dato spago.
Mi ressi al sedile del guidatore, osservando ciuffi di fieno volare dall’autocarro che ci precedeva.
— Chi è Nanette? — dissi dopo un po’. — Qual è il suo cognome? Da dove viene?
L’autista scosse la testa. — La vera domanda è: “Dove sta andando?” Ha bisogno d’un futuro.
Improvvisamente la malinconia svanì.
— Il suo fidanzato! Walt Pintero! S’incontrano stasera alle otto. Si sposeranno.
M’immaginai Nanette, da qualche parte su Dorcas Road, il sacchetto di cuoio che saltellava mentre lei correva al Sol Sorgente, il solito posto, dritto fra le braccia di Walt Pintero.
L’autista sbuffò. — Non contarci.
Dal telefono del bibliobus chiamò mia madre per dirle dov’ero. Mi offrì la sua aranciata. Le chiesi come faceva a sapere che la tessera della biblioteca era la mia cosa più preziosa.
— Un’intuizione fortunata — rispose.
Durante la pausa per il pranzo mi riaccompagnò a casa.