La natura come maestra

Ci trovavamo sulle colline senesi, ospiti in un casale tipico toscano. In quella mattina di settembre del 2018 faceva un caldo tremendo. L’uomo dalla corporatura atletica, con i capelli lunghi, la pelle abbronzata e un cappellino blu ci indicò la strada verso l’orto che stava curando ormai da mesi.

«Attenti ai gradini. Ecco figlioli, per di qua, siamo arrivati.»

Ci trovammo improvvisamente davanti a un terreno che non corrispondeva affatto all’idea corrente di un orto. Assomigliava di più a un campo selvatico. Le piante erano tantissime e sparse, c’erano fiori vicino alle insalate, la lavanda cresceva accanto a piante di zucchine e gli insetti svolazzavano ovunque. Alessia, che era abituata all’orto ordinato e prevedibile coltivato dai suoi nonni, rimase sconcertata.

Dopo aver notato le nostre facce perplesse, l’uomo ci tolse tutti i dubbi: «Non avete mai visto un giardino sinergico, vero? Vedete, qui tutto cresce in modo apparentemente casuale, non in riga come nelle coltivazioni intensive. Ma è tutt’altro che casuale! Tutto è piantato seguendo le leggi naturali. L’agricoltura sinergica si basa sul principio che mentre la terra fa crescere le piante, esse creano suolo fertile attraverso i propri residui organici, la loro attività chimica, i microrganismi, i batteri, i funghi e i lombrichi. La natura fa già tanto bene da sola che, osservandola, se ne possono trarre poche semplici regole da applicare nell’orto sinergico. Per esempio, i pomodori crescono rigogliosi e privi di parassiti se alternati a prezzemolo e sedano, e circondati dal fiore tagete. Gli spinaci amano crescere vicini alle patate, per l’azoto che rilasciano naturalmente; l’insalata è protetta dai parassiti se cresce vicino a porri, aglio e cipolle, e così via».

Per noi fu una novità: in un orto sinergico accanto alle verdure sbocciano i fiori, crescono piante officinali ed erbe aromatiche. E gli insetti, attratti da tanto colore e profumo, volano indisturbati impollinando tutte le piante che lo necessitano.

I prodotti ottenuti con l’agricoltura sinergica sono diversi per qualità, per sapore, per energia contenuta. Sono più resistenti agli agenti patogeni, poiché attraverso questo metodo di coltivazione viene restituito alla terra, in termini energetici, più di quanto si prende, e vengono attivati i meccanismi di autofertilità del suolo. Quindi non è necessario muovere ogni anno la terra, concimarla e avvelenarla con pesticidi.

«Per capire meglio come funziona quest’orto, pensate a un bosco. Se passeggi tra la vegetazione noti subito che il suolo è ricco di piante ed è coperto di foglie, è soffice. Nessuno ara la terra. La flora nasce dove meglio cresce, in ordine sparso, e il terreno è ricco di tutte le sostanze necessarie a qualsiasi fiore o vegetale. Il bosco è la casa di milioni di insetti e microorganismi che convivono in armonia. La natura è così: da lontano può sembrare casuale, ma tende sempre all’equilibrio.»

Era vero, tutto in quell’orto sembrava seguire i ritmi naturali, e nel caos apparente regnava un’armonia la cui comprensione sembra sfuggire ai nostri tempi.

Terminata la visita, mangiammo un’insalata con i prodotti appena colti. Era un piatto coloratissimo, con lattuga, cicoria, zucchine, ravanelli, pomodori e fiori: solo a guardarlo mi sentii nutrito. La accompagnammo con la tipica schiacciata toscana, fatta con grano e olio extravergine locale. Poteva esistere qualcosa di più perfetto?

Quel pranzo fu un’ulteriore conferma del fatto che nel cibo c’è a tutti gli effetti energia, e che durante ogni pasto l’uomo si trova in un intimo scambio con la natura e con gli altri esseri che sono entrati in contatto con quel cibo. Ogni volta che mangiamo, in qualche modo l’ambiente esterno entra in noi e diventa parte di noi, costruendo i nostri tessuti, gli organi, le cellule. E questo non può non influenzarci a tutti i livelli. Quando mangiamo, l’esterno diventa materialmente noi.

Quella giornata al giardino sinergico fu altamente formativa per noi, perché ci aprì gli occhi su come le cose possano essere fatte diversamente. Se solo ci fermassimo ad ascoltare maggiormente quello che Madre Natura ci insegna, probabilmente avremmo risolto molti problemi dell’uomo moderno. La rispetteremmo e le renderemmo onore, e nello stesso tempo rispetteremmo e onoreremmo di più anche noi stessi.

Dopo quell’esperienza, Alessia e io decidemmo di ridurre al minimo gli alimenti industriali nella nostra alimentazione. Avevamo visto con gli occhi e sentito con il palato quanto la natura faccia bene le cose e quanto noi, invece, tendiamo a pasticciare e a complicare tutto. Quel pranzo, quell’insalata, per noi fu un esempio lampante di come una comunicazione positiva sia così forte e utile, in grado di cambiare le cose.

Sapevamo bene e da tempo che gli alimenti industriali non sono vantaggiosi per la salute, eppure sperimentare un pranzo totalmente biologico, naturale e a chilometro zero (tutto l’opposto di quegli alimenti industriali) ci è risultato più efficace di qualsiasi altro stimolo per darci la spinta definitiva ad abbandonarli.

L’alimentazione naturale ci ha conquistati perché ce ne siamo innamorati, non perché era «l’ultima spiaggia» o una mera alternativa all’alimentazione standard.

Renderci conto di quale grande impatto tutto questo avesse avuto sulle nostre vite ci diede una carica in più per il nostro progetto Elefanteveg: se avessimo mostrato quanto è semplice e buono mangiare vegetale, le persone, forse, provandoci, se ne sarebbero innamorate e avrebbero scelto di mangiare sempre di più in questo modo. L’amore ha funzionato per noi, e quindi abbiamo pensato che avrebbe potuto farlo anche per gli altri.

Mi rendo conto che la natura è sempre stata la più grande maestra nel nostro percorso di crescita personale e professionale, e vale la pena che io spenda qualche riga in proposito.

Qualche tempo fa un amico mi raccontava di non essere ancora riuscito a trovare un pomeriggio per stare all’aria aperta e prendere un po’ di sole. Si lamentava del suo colorito, che definiva spento, e dava la colpa al fatto di restare sempre al chiuso, in ufficio, sotto i neon. Questo mi ha dato da riflettere sul fatto che noi abitanti dei Paesi occidentali trascorriamo ben poco tempo all’aria aperta (dall’1 al 5%, secondo qualche ricerca scientifica).

Ti sei mai chiesto quanto stai in mezzo alla natura? Hai mai pensato che ciò potrebbe influire sul tuo stato di benessere?

Per me forse è facile. Sono nato in un paesino di campagna e quando trascorro troppo tempo in città sento «la chiamata» del bosco, della montagna o del mare, e le rispondo volentieri. Ma forse non per tutti è così. Molti nascono lontano dai campi, dalle libellule, dagli uccelli e dalle formiche. Il cemento dalla finestra pare un panorama normale e va bene così, probabilmente anche per questo ci siamo evoluti come società. Tuttavia non possiamo negare che, da qualunque posto arriviamo, il contatto con la natura ci fa bene, ci nutre, aiuta l’umore e la salute.

A preoccuparmi non è tanto dove siamo nati o dove viviamo (se in campagna o in città), ma piuttosto il nostro stile di vita, così frenetico, veloce e volto quasi esclusivamente alla produttività. Mi spaventa, perché ci impedisce di godere della connessione con la nostra madre Terra, con la nostra vera natura.

Il profumo del terriccio, le piogge, i fiumi e gli alberi non sono più importanti. Gli appuntamenti di lavoro, i social, l’uso smodato della tecnologia portano a un’automatica perdita di contatto con la natura; non la conosciamo più, non empatizziamo con essa e questo ci fa credere di avere il diritto di maltrattarla.

Spero, però, che tutti noi facciamo un passo indietro, prendendoci del tempo per tornare alla natura e riconnetterci con lei, che tanto sa ed è maestra.

Quello che la natura ci insegna, fondamentalmente, è quanto la vita sia bella e sacra. Ti basta camminare in un bosco o osservare un fiume per capirlo. L’albero s’innalza, perde le foglie e non se ne rattrista, sa che rinascerà. I fiori sbocciano, donano i loro colori e profumi meravigliosi, ognuno è fatto a modo suo e ha un suo senso di esistere così com’è. L’acqua del fiume non sbaglia, anche se lontana chilometri e chilometri raggiungerà il mare.

Se le guardi da vicino, le piante ti parlano della loro saggezza ancestrale, e l’attività vitale è continua e onnipresente nella natura. Ovunque posi lo sguardo, c’è una vita che nasce e una che muore. Quando trascorri un po’ di tempo immerso nella natura comprendi che le appartieni, che tutti siamo uno e non c’è separazione. Senti la naturalità del tuo respiro, del battito del tuo cuore, tutto è al suo posto.

Entrando in connessione con madre Terra tutto cambia: trovi motivi per stupirti ogni giorno davanti alla meraviglia della natura, completamente gratuita, che non ti chiede niente, che è sempre pronta a dare.

Cambiando il mio rapporto con la natura, ho notato che come per magia mutava anche il mio rapporto con il cibo, con il mio corpo e con la vita intera.

È come se osservando l’armonia delle piante e degli animali mi fossi sentito dire: «Non vedi come sono felici loro, seguendo la propria natura? Perché tu ti sforzi tanto di compiacere gli altri e complichi le cose, quando invece tutto ciò che serve è essere quello che sei?» Oggi posso affermare che è stato anche grazie a questo risveglio e a questo dialogo intimo con la natura che sono riuscito a lasciare il mio posto di lavoro fisso e sicuro, per correre verso una vita diversa, sicuramente più incerta, ma che sentivo più autentica e mia. Ho capito che, come ha scritto il filosofo Alan Watts, «non sei arrivato sul mondo, sei venuto fuori da dentro di lui. Come un’onda dell’oceano. Qui non sei uno straniero, questa è casa tua».