Come abbiamo già detto, ci troviamo inseriti in una cultura che fa di tutto per renderci insicuri e insoddisfatti, predisponendoci così ad acquistare quel nuovo prodotto dimagrante o a seguire quella dieta di moda.
Inoltre questo stesso sistema, mentre ci fa sentire inadeguati, spesso ci propone anche cibo di scarsissima qualità, abbondante, appetibile, super raffinato e sempre disponibile. Ci tenta e ci invita a consumarlo, per poi farci sentire in colpa e mancanti per averlo fatto.
Poche cose, in vita mia, mi hanno lasciata a bocca aperta dallo stupore e dall’indignazione, e quasi sempre c’entrava il cibo. Una è stata dovuta alla scoperta di che cosa sono gli ultraprocessati.
Occorre fare una premessa: secondo l’Organizzazione mondiale della sanità il 71% della mortalità globale è causato da malattie non trasmissibili, come quelle cardiovascolari, il cancro, il diabete e i disturbi respiratori cronici. Tutte patologie accomunate dal fatto di essere associate al nostro stile di vita contemporaneo.
Il modello esistenziale odierno comprende, com’è ovvio, anche il nostro modo di mangiare, e non è un mistero che il consumo eccessivo di ingredienti come sale, zucchero e grassi (definiti da Sabrina Giannini la «santa trinità per l’industria alimentare» nel suo libro La rivoluzione nel piatto, che tutti dovrebbero leggere) abbia il potere di trasformare un individuo sano in una persona con problemi di peso o di pressione alta, iperglicemia e malattie cardiovascolari. Ma in effetti, si scopre, non è questione di quanto sale, olio o zucchero mettiamo consapevolmente nel piatto. Il problema nasce principalmente da quanto mangiamo di queste sostanze nascoste negli alimenti confezionati che acquistiamo.
Lo ritengo un problema centrale, purtroppo tuttora affrontato con sufficienza, come se si trattasse di un grattacapo qualsiasi, mentre è un’urgenza pressante. Ne sono divenuta consapevole durante una delle lezioni più interessanti a cui abbia mai assistito. Ero a Barcellona, a un corso di alimentazione naturale tenuto dalla dottoressa Marta Verges, una delle dietiste e divulgatrici migliori che conosca. Fino ad allora avevo pensato che alcune dinamiche fossero ben lontane dal mio mondo e credevo di non averci nulla a che vedere. Ahimè, la realtà era ben diversa. Valgono in tutti i Paesi, compreso il nostro.
Per dirla con la giornalista Paola Maugeri, «Siamo la società più alimentata e meno nutrita della storia». Infatti ci sovralimentiamo con prodotti che non sono salutari per noi. Nelle società opulente non soffriamo la fame, ma ci facciamo del male nel modo opposto.
Questo concetto merita un’analisi.
Quando è stata l’ultima volta che sei andato a fare la spesa in un supermercato? Probabilmente meno di una settimana fa. In quella occasione hai avuto modo di incontrare centinaia e centinaia di ultraprocessati, ovvero tutte quelle preparazioni industriali, superlavorate e addizionate con svariate sostanze chimiche, che al momento dell’acquisto ci paiono perfettamente commestibili, e certamente lo sono, ma al tempo stesso sono a tutti gli effetti prodotti da laboratorio. Sto parlando di merendine, caramelle e dolciumi, salse, bevande zuccherate, bevande energetiche, succhi di frutta, dolci da forno, pane raffinato confezionato, pizze pronte, biscotti, cereali raffinati per la colazione, snack, barrette energetiche, barrette sostitutive del pasto, cibi precotti, insaccati, gelati industriali…
Se poi sei andato in farmacia, probabilmente li hai visti anche lì, sotto forma di barrette energetiche o sostituti del pasto per raggiungere il peso forma. Se hai fatto un salto in un bar, ne ha incontrati ancora, sotto forma di patatine, succhi di frutta, bevande e snack vari dalle confezioni accattivanti.
Ma non sono gli unici posti dove li hai notati: anche a scuola o in ospedale puoi farne una bella scorta grazie ai fornitissimi distributori automatici, e vieni costantemente aggiornato sulle novità attraverso cartelloni pubblicitari, spot in TV o influencer su Instagram, che ti mostrano come avere un corpo perfetto bevendo dei gustosissimi shake alla fragola, al cioccolato o alla vaniglia, sintetici.
Ma guardiamoli più da vicino per conoscerli meglio: quali ingredienti compongono un ultraprocessato? Per la maggior parte sono farine bianche raffinate (molto lontane nelle loro qualità nutritive dal grano intero da cui provengono), zuccheri concentrati e raffinati, sciroppi estratti da piante (che poco hanno a che fare con il frutto o la verdura da cui derivano) e grassi saturi o anche grassi vegetali idrogenati. E in più un’infinità di additivi sotto forma di aromi, coloranti, conservanti, antiossidanti, acidificanti, dolcificanti, addensanti e così via. Per colmare le carenze che derivano dall’esiguità delle materie prime presenti, spesso vengono addizionate artificialmente alcune sostanze «benefiche», come accade negli innumerevoli biscotti e cereali per la colazione arricchiti con calcio, ferro, vitamina D, C o fibre.
Ma alimenti così confezionati rimangono comunque incompleti e malsani, perché quelle quantità soprannaturali di zuccheri semplici, grassi, sali, additivi e dolcificanti vengono proposte in concentrazioni che non si trovano mai negli alimenti in natura, ovvero in quelli concepiti per nutrirci e preservare la nostra salute.
In breve, è praticamente impossibile nutrirci adeguatamente se la nostra dieta si basa su prodotti ultraprocessati, anziché su materie prime presenti in natura.
Oltre a chiamarli ultra-processati possiamo anche definirli:
ultradisponibili. Infatti, come abbiamo detto prima, si trovano letteralmente ovunque. Basta entrare in un qualunque bar, chiosco, minimarket, supermercato, panetteria, farmacia, erboristeria, in tutti i luoghi di svago, al cinema, nei parchi divertimento, in spiaggia, nelle palestre e perfino a scuola e negli ospedali. Ci sono sempre;
ultrarapidi. Non è un caso che in una società sempre più veloce e impegnata avere un prodotto pronto all’uso sia molto attraente. Tutti gli ultraprocessati infatti non necessitano di particolari preparativi da parte nostra per essere consumati, motivo di più per cui sono molto amati;
ultrapromossi. In proporzione le pubblicità riguardanti alimenti naturali (frutta, verdura…) sono molto meno di quelle dei prodotti industriali ultraprocessati. Non c’è da stupirsene;
ultraeconomici. Gli ultraprocessati normalmente costano meno di alimenti «senza etichetta», freschi o non lavorati. Ma chiediamoci: com’è possibile che alimenti che non subiscono trattamenti, come per esempio la frutta secca o i semi oleosi, siano più cari di una merendina che ha bisogno di decine di passaggi industriali per essere realizzata?
E ora arriva la parte che preferisco: gli ultraprocessati sono ultrapalatabili. Sapevi che esistono vere e proprie professioni e aziende che si occupano, proprio come un «piccolo chimico», di sperimentare e assicurare che il prodotto trasformato sia altamente appetibile? Queste aziende sono nate a partire dagli anni Sessanta con l’obiettivo di rendere alcuni alimenti irresistibilmente buoni (che non è lo stesso di sani), e ci riescono attraverso una particolare combinazione di sale, zucchero, grassi, additivi e aromi. Insomma, il prodotto ultraprocessato riceve tutta una serie di attenzioni e lavorazioni paragonabili – non esagero – a quelle dedicate a un telefono cellulare o a un televisore. L’obiettivo è assicurare un prodotto «perfetto».
L’ultrapalatabilità di questi alimenti è l’«ultra» che più mi spaventa, perché ha lo scopo di stimolare i nostri centri cerebrali di ricompensa per motivarci a scegliere i prodotti ultraprocessati e a inibire i nostri meccanismi naturali di sazietà per spingerci a mangiarne sempre di più. Ma c’è dell’altro. Il consumo di ultraprocessati altera il nostro palato, in poche parole, i nostri gusti. A mano a mano ci abituano a un grado di dolcezza e sapidità estremo. Ci allontanano dall’apprezzare i sapori autentici del cibo vero, come verdure o cereali.
Capita maggiormente con i bambini, perché chi si abitua sin dall’infanzia a certi gusti e a certi stimoli può cadere in una sorta di dipendenza verso sapori superdolci e supersalati, rifiutandone altri più genuini e naturali. In sostanza, viene causato un vero e proprio cambiamento nella percezione del dolce e del salato nella popolazione.
La questione essenziale è questa: non soltanto questi prodotti ci allontanano sempre di più dal nostro stato naturale, ma sono dannosi per la nostra salute.
Zucchero e sale, per esempio, non vengono utilizzati dalle industrie solo per dolcificare e salare, ma per coprire i sapori sgradevoli che il cibo assume dopo innumerevoli processi di raffinazione e dopo aver perso micronutrienti fondamentali come le vitamine.
Additivi come i conservanti o i coloranti alimentari sono usati per camuffare colori poco attraenti come il marroncino della carne cotta, che invece deve apparire rosata, per esempio in un bel prosciutto cotto.
In altre parole: il cibo supertrasformato, che ha perso sapore, consistenza e nutrienti, viene addizionato e lavorato a tal punto da farci credere che sia buono e addirittura da farcelo preferire a una mela o a un panino con il pomodoro.
Il problema è l’eccesso
Attenzione: gli ultraprocessati non sono tossici. Mettendo in guardia dal consumo smodato non intendo demonizzarli in assoluto. Ma è importante sapere che, se consumati abitualmente, non promuovono il mantenimento della nostra salute. E ricordiamoci: sebbene questi alimenti siano arricchiti di determinati nutrienti, o anche se decidiamo di assumere in parallelo un integratore multivitaminico, ciò non annulla comunque gli effetti negativi e i danni collaterali che ha sul nostro organismo il consumo regolare di zuccheri aggiunti, sale in eccesso e grassi di scarsa qualità.
La verità è che in questo caso serve a poco anche fare tanta attività fisica svolta per «bruciare» ciò che abbiamo mangiato. L’unica soluzione è impedire loro di diventare protagonisti della nostra alimentazione quotidiana. Se decidiamo di consumarli, deve avvenire occasionalmente. Senza paura, ma volontariamente e consapevolmente.
Per riuscire ad avere un quadro generale degli ultraprocessati, permettimi di spendere due parole anche sulle strategie pubblicitarie usate dell’industria alimentare per stimolarci all’acquisto. Noi consumatori al momento della spesa siamo attratti prima di tutto dalle immagini, e dunque dalle confezioni dei prodotti. Un ottimo modo per farti credere che una torta al limone confezionata sia genuina come fatta in casa è disegnare sulla confezione un bel limone e magari delle uova fresche con un paesaggio campestre sullo sfondo, quasi a ricordare la semplicità dei vecchi tempi che ormai non esistono più. Poi però vai a leggere l’etichetta e scopri che il limone non c’è, ma è stato sostituito da un aroma artificiale, e che le uova non sono biologiche ma provengono, con tutta probabilità, da un allevamento intensivo in cui le povere galline non hanno mai visto la luce del sole e sono state cresciute a suon di mangime e antibiotici.
Non a caso una delle lezioni più importanti nei nostri corsi è dedicata alla lettura delle etichette, e non mi riferisco tanto a quelle che riportano i valori nutrizionali, ma agli ingredienti, l’unico effettivo strumento che abbiamo per sapere che cosa c’è all’interno di un dato prodotto.
Tuttavia, leggere l’etichetta spesso non è così semplice e immediato: l’industria alimentare talvolta gioca anche lì, per confondere il consumatore che, con gli occhiali sulla punta del naso, cerca di interpretare quelle scritte minuscole sulla confezione. In che modo? Cambiando nome agli ingredienti: così, per esempio, lo zucchero non è solo zucchero ma diventa glucosio, sciroppo, destrosio, fruttosio, sorbitolo, melassa, malto, maltosio, destrine eccetera.
Devi inoltre sapere che l’ordine di comparizione degli ingredienti sull’etichetta è definito dalla quantità presente all’interno del prodotto. Una tecnica ampiamente usata dunque dai produttori è quella di includere separatamente diversi tipi dello stesso ingrediente. Prendiamo di nuovo come esempio lo zucchero e i suoi «sinonimi». Elencandoli separatamente, si riduce la quantità di ciascuno, facendo apparire questo ingrediente più in basso nell’elenco e non al primo posto, e in questo modo si evita di spaventare il consumatore. Però in sostanza la quantità di zucchero presente è molto superiore a quanto si scorge a un’occhiata superficiale.
I prodotti «light»
Se poi entriamo nel mondo dei «prodotti light», anche qui c’è molto da dire. In generale, può essere etichettato come «light» un prodotto che contiene almeno il 30% di calorie in meno rispetto allo stesso nella versione classica, quindi «non light». Cioè, per definizione, un alimento light è stato alterato per ridurre artificialmente le calorie. Il modo per farlo passa di solito tramite la rimozione di ingredienti naturali e la loro sostituzione con altri più discutibili. Generalmente l’elemento naturale che scompare è il grasso. Eliminandolo dal cibo, si modificano i sapori e la consistenza. Per restituire parte di quelle caratteristiche vengono aggiunti vari tipi di addensanti: gomma di guar, carragenina, gomma di xantano o amidi. In breve, si sostituisce il grasso naturale con un «ripieno di carboidrati».
I prodotti light sono un cavallo di battaglia dell’industria alimentare, perché normalmente hanno prezzi più alti, eppure costano meno ai produttori. Infatti spesso sono stati diluiti in acqua e addensati con amidi a basso costo.
Infine, non facciamoci ingannare dagli slogan. Sulla confezione, diciture del tipo «solo ingredienti naturali», «ricetta tradizionale» eccetera non sono regolamentate in alcun modo e dunque non significano niente. Sono mera strategia di marketing. Diffidiamo dei colori accattivanti delle confezioni, delle immagini e degli slogan riportati in bella vista. La lista degli ingredienti è l’unica che può dirci la verità, perché regolamentata per legge.
Supponiamo di trovare in commercio una scatola di cereali raffinati e zuccherati rivolta al pubblico femminile. Immagina che provino a venderti la scatola dicendo: «È un prodotto ultraprocessato, poco salutare, pieno di zuccheri aggiunti e grassi trans, ma sulla scatola abbiamo disegnato la sagoma di una donna snella e attraente in modo che acquistandolo tu possa sperimentare la leggera ma precisa illusione che, mangiandone ogni giorno, il tuo corpo finalmente cambierà a tal punto che le persone noteranno te e la tua bellezza, e tu ti sentirai amata, ammirata e desiderata una volta per tutte». Chi comprerebbe mai questo prodotto? È meglio non far sapere che è meno salutare e super raffinato, meglio mantenere il consumatore all’oscuro e puntare tutto sulla silhouette della confezione. E allora, chiediamoci: chi sceglie questi prodotti lo fa per mangiare bene o per sentirsi felice con se stesso?
Io stessa ho consumato questi prodotti a lungo, e l’ho fatto perché una scatola di cereali come quella che ho appena descritto appaga, prima di tutto, il desiderio di ciascuno di noi di stare bene, ovvero felicità, autostima, status e bellezza.
Sappiamo che sull’immagine del prodotto industriale «più controllato», e più alla moda rispetto a quello non altrettanto curato e un po’ imperfetto, è stato costruito un impero; ma gli ultraprocessati sono nati solo pochi decenni fa e il nostro complesso organismo impiegherà secoli per adattarsi alla loro digestione ricorrente.
È come se in un’auto progettata per consumare benzina decidessi di inserire acqua: smetterebbe di funzionare. La stessa cosa succede con il nostro corpo, progettato per consumare cibi quanto possibile vicini alla natura: se nutrito con alimenti artificiali, non può funzionare correttamente.
Un cambio culturale
Non dimentichiamoci che ci sono voluti decenni e (purtroppo) molte vittime prima che il fumo fosse considerato cancerogeno (fino agli anni Settanta le sigarette erano pubblicizzate in televisione e venivano fatte fumare da medici e belle ragazze per incentivarne l’uso) o che diventasse obbligatorio specificare sull’etichetta il tipo di olio usato (olio di palma e simili). E solo di recente, dopo aver passato in rassegna ottocento studi epidemiologici eseguiti in ogni continente, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) ha inserito le carni processate, come salumi, salsicce e würstel, tra i cancerogeni certi (il cosiddetto gruppo 1, che comprende anche l’amianto, l’alcol etilico e il fumo) e le carni rosse nel gruppo 2, ovvero tra le sostanze probabilmente cancerogene per l’uomo.
Dal primo giorno della nostra attività online come Elefanteveg abbiamo affermato che «parlare di cibo non significa solo parlare di cibo»: nel percorso che porta il seme dalla terra al frutto e al piatto sono coinvolte moltissime dinamiche politiche e sociali.
So che molti preferiscono non vedere: «Certe cose è meglio non saperle, vivi meglio». Eppure oggi scrivo queste righe perché le conoscenze che ho maturato negli ultimi anni mi hanno migliorato la vita. Sapere ti libera e ti permette di scegliere consapevolmente. E se non scegli tu, lo farà qualcun altro per te.
Quando acquistiamo gli ultraprocessati non siamo spinti dall’amore di noi stessi o dall’impegno a prenderci cura del nostro corpo e a investire nella vera salute. Nessuno ci ha insegnato che queste fossero esigenze prioritarie. L’urgenza a cui siamo stati esposti fin da bambini è invece quella di essere fisicamente attraenti e di incasellarci perfettamente negli standard attuali.
Dunque occorre cambiare completamente paradigma e fare una scelta. Acquistare a partire dall’amore e non dall’odio, dalla vergogna e dall’insoddisfazione. Anche in questo caso, dopo aver sperimentato sulla mia pelle e dopo aver seguito centinaia di studenti, ho trovato che la soluzione è l’amore.
Che cosa possiamo fare per mangiare più sano, naturale e meno ultraprocessati?
- Acquista più ingredienti e meno prodotti finiti;
- mettiti a leggere le etichette degli alimenti ed evita quei prodotti di cui non comprendi la lista degli ingredienti;
- abituati gradualmente ai sapori più genuini e naturali cucinando di più a casa, riducendo la quantità di zucchero e di sale nelle tue preparazioni;
- prima di acquistare un prodotto chiediti perché lo stai facendo: ti ha attirato la confezione? Uno slogan? La pubblicità in TV? Lo desideri realmente?
- scegli alimenti che sono in grado di nutrirti, e non solo di riempirti lo stomaco;
- quando consumi gli ultraprocessati, fallo con serenità, ma con consapevolezza.