CAPITOLO 8

LA RADIO DOPO LA RADIO: DALLE RADIO PIRATA AGLI ESPERIMENTI SU INTERNET

Cosa succede alla radio nell’era di internet? L’aspetto interattivo e in streaming definisce forse anche l’esperienza dell’ascolto online? Anziché discutere di radio digitale, con i contenuti veicolati dal cavo internet anziché via etere, la questione è se l’enorme quantità di materiale audio online possa essere considerato «radio» in qualche modo. Esisterà ancora il medium radiofonico tra qualche decennio? Più di qualcuno ha un attaccamento emotivo e nostalgico per la circolazione dei contenuti tramite quel formato, ma quanto conta ciò alla fin fine? Conviene forse riposizionare il termine «radiofonia» come «esperienza sociale in audio»? Perché non considerare il futuro della radio in relazione a Skype, come uno scambio audio in stile peer-to-peer? Oppure come un enorme ambiente di sharing, basato sulle raccomandazioni e il passaparola sulle ultime produzioni più interessanti? Oppure la radio è per definizione un canale da uno-a-molti? Non è così, almeno stando alle analisi teoriche di Brecht e considerando gli iniziali esperimenti con i sistemi bidirezionali. Ci sono sempre stati i programmi di replica e le telefonate in diretta. Anziché speculare sul futuro, questo saggio descrive e riflette sulla transizione dall’analogico al digitale e poi all’ambito online, sulle orme delle radio pirata di Amsterdam.

8.1. Le radio libere di Amsterdam

La cultura radiofonica olandese ha sempre avuto i suoi lati controversi. L’Olanda vanta una ricca storia di emittenti pirata, da Radio Mokum degli squatter nei primi anni Settanta e dalle radio commerciali sulle navi, come Radio Veronica che trasmetteva dalla costa del Mare del Nord, alle radio libere di taglio multiculturale, indie pop e techno-sound, che trasmettevano dagli squat1 negli anni Ottanta-Novanta, quando erano attive anche numerose stazioni più o meno commerciali dedite alla dance e al pop. Pur se queste emittenti locali rifiorivano un po’ ovunque, da Rotterdam e L’Aia a Nijmegen e Groningen, la mia analisi si limita alla situazione di Amsterdam per ragioni biografiche. Uno dei vari punti di partenza è Radio De Vrije Keyser, che iniziò a trasmettere all’alba degli anni Ottanta dalle barricate dello storico palazzo De Groote Keyser2. Dopo una fase di attivismo politico, la De Vrije Keyser stimolò la nascita di un’ampia serie di radio libere, tutte caratterizzate dalla convinta intenzione di sperimentare nuovi stili e formati musicali.

Discutere il futuro della radiofonia olandese in quanto tale può subito farsi un’impresa ardua. Come tutto il resto, i modelli commerciali, giuridici e politici sono ormai superati, e, per tutta risposta, chi trasmette tramite i podcast online canta vittoria sui canali pubblici. Gli entusiasti della radio online proclamano la «morte della radio» come un momento di liberazione3 – eccoci finalmente alla democratizzazione del medium. La realtà istituzionale è però diversa. Non c’è alcuna rivoluzione, né deregulation delle frequenze e neppure radicali trasformazioni nel finanziamento delle trasmissioni pubbliche. Nonostante la crisi generale, tutto sembra procedere come sempre. I ragionevoli dibattiti pubblici sull’ascesa di internet e il suo impatto sulla radiofonia si limitano a sintetizzare i pro e i contro, per poi tornare al solito trantran. Chiunque abbia accesso a internet ascolta già un mare di stazioni radio. Cosa vogliamo di più?

La trasmissione di segnali pre-esistenti tramite altri canali non stimola certo l’immaginazione. Ristrutturarla è una via senza uscita. Artisti e geek parimenti coinvolti nella radio via internet sono meno interessati all’aspetto della diretta offerto da Twitter e Facebook, preferendo concentrarsi piuttosto sullo spettro del tempo allungato di questo medium sferico. Nonostante l’allarmismo sulla sua inevitabile scomparsa, la promessa della radiofonia come un’audio-estasi rimane comunque attraente. Immaginiamo le onde radio che fluttuano nel cielo cittadino, continuando a rimbalzare e a danzare. Un’immagine potente, ma come tradurla nelle metafore dei new media? Negli scorsi decenni quest’energia ha acceso la miccia di una ricca ecologia di emittenti libere oggi virtualmente estinte. Cosa vuol dire poter navigare a livello individuale da un ambiente sonoro all’altro? La radio non ha bisogno di amici, bensì di nuove strutture sociali per consentire ai prossimi appassionati di trasmettere in piena libertà. Ma com’è la radio dopo la radio?

Iniziai parecchio tempo fa a scrivere testi sulla radio. Dopo una crisi di proporzioni esistenziali nell’estate del 1987, essendo disoccupato da quattro anni e ignorando ogni prospettiva economica futura, decisi di seguire il destino e di auto-proclamarmi «teorico dei media». Come intellettuale e attivista senza impegni fissi, interessato primariamente a scrivere e pubblicare, acquistai il mio primo PC (un clone MS-DOS con processore Intel 8086) e mi coinvolsi nella scena delle radio libere di Amsterdam nel movimento (in remissione) degli squatter4. Prese nel loro insieme, Radio De Vrije Keyser, Radio 100, Radio Papatoe (all’inizio chiamata Radio Death) e qualche programma (etnico) sparso tra il canale legale via cavo SALTO e le frequenze AM/FM, formavano un quadro solido ma assai variegato che contava circa 120-150 animatori e conduttori. Tutti costoro ascoltavano i programmi altrui e contribuivano a rifinire il medium. In altre parole, raggiunta la massa critica, emergeva una dinamica auto-referenziale che si andava trasformandosi in una cultura radiofonica integrata.

Decisi poi di lanciare il mio programma su Radio 100, chiamato Adilkno Portrait Gallery, dove figure radicali e indipendenti parlavano per un’ora intera, senza alcuna domanda a interromperle. L’obiettivo esplicito era quello di offrire un taglio pedagogico: riguadagnare la confidenza negli interventi pubblici su questioni legate a storia e teoria e superare l’era buia e sinistra dell’anti-intellettualismo post-punk. L’appello all’azione («basta pensare, datti da fare») aveva portato all’attivismo cieco e all’irriflessiva prosecuzione dei movimenti sociali quali femminismo radicale, squatting, anti-militarismo, anti-nucleare e diritti gay. Trattandosi di uno dei pochi programmi basati solo sul parlato, non m’interessava se fossero appropriate o meno le trasmissioni su temi quali Bataille e altri intellettuali francesi, la storia del fascismo tedesco, la teoria dell’architettura olandese, oppure l’archeologia «fuori controllo» dell’Indonesia. Al pari dei miei colleghi che animavano le radio pirata, andavo esplorando i limiti dello scenario mediatico. In particolare, i miei incontri con Toek, Reinout e Chris del gruppo DFM (DeForMation) furono catturati in una serie di interviste radio. Nel 1990, passai a Patapoe, ancora più radicale e oscura, dove presi a frequentare gruppi underground come STORT e personalità audio quali Evangelina, Agent B. e Wolf.

8.2. L’avvento dei media sovrani e indipendenti

Pur se già da un po’ si usavano i computer per elaborare l’audio, fu verso il 1990 che la scena radiofonica di Amsterdam prese a collegare il PC al telefono, onde trasferire i file tramite il software delle BBS (Bulletin Board System). La missione primaria dei new media era chiara fin dall’inizio: far scoppiare il sistema dei mass-media centralizzato e controllato in un «scenario dove rifiorivano 1001 antenne». Gli animatori delle radio locali andavano disfacendosi dell’idea stessa di un pubblico, per imbarcarsi con gioia nella missione futurista di esplorare le frontiere dell’universo sonoro.

Le mie prime riflessioni sulla teoria della radio furono raccolte nel saggio del 1992 The Theory of Mixing, pubblicato sulla rivista Mediamatic5. Nello stesso anno misi poi insieme una raccolta di testi sul tema, tradotta in tedesco con il titolo Listen or Die!, il primo libro che portava il mio nome come autore. In quei saggi spiegavo come i riarrangiamenti e il remixing dal vivo fossero caratteristici dell’ambiente radiofonico di Amsterdam. Questa tecnica era ben più radicale dei metodi di missaggio usati dai DJ nei club locali. Anziché sfumare lentamente un brano nell’altro e intensificare il suono con un ritmo elettronico, la scuola del radio-mixing di Amsterdam accentuava la frattura, i graffi e il rumoroso contrasto tra stili musicali diversi: immaginiamo Giuseppe Verdi che sfumava nei Crass. Il suono di Amsterdam si estendeva oltre le sfumature sonore, puntava a mescolare flussi d’informazione; la sua forza stava nell’aspetto «dal vivo» e non nell’attrezzatura professionale o nell’approccio giornalistico.

Diversamente dal limite di tempo imposto dai brani su CD, l’animatore radiofonico libero crea un proprio spazio temporale. Soprattutto i programmi notturni avevano un’estensione senza fine. Chi gestiva il mixer creava universi sonori personali che spaziavano all’infinito in ogni direzione, dondolandosi in un oceano di tempo libero. Le ricerche sugli scenari radiofonici radicali portarono infine alla teoria dei «media sovrani», non più concentrati a trasmettere la Verità né messaggi politici di contro-informazione6. Anziché informare, illuminare o intrattenere, questi media sovrani si lanciavano in un viaggio tutto proprio – conduttori indipendenti, liberi da qualsiasi pubblico o gruppo mirato, anticipando la Lunga Coda di Chris Anderson7. La parzialità del mixing sta a significare la transizione dai media alternativi, che sperano ancora di poter riempire un vuoto nel repertorio esistente, ai media del tutto indipendenti dal potenziale pubblico. Superando l’accesso e la democratizzazione dei media, si passa a sperimentare il territorio inesplorato della libertà radiofonica.

Verso la fine degli anni Novanta, il movimento delle radio libere di Amsterdam chiudeva il suo periodo migliore. Tra il 1995 e il 2001 il Paese sperimentò una crescita economica mai vista da vari decenni, sotto il governo di una colazione «viola» composta dai laburisti e dai liberal conservatori. Le riforme neo-liberiste stavano conquistando il Paese. Per pura coincidenza o meno, questo periodo fu contrassegnato anche dall’esplosione commerciale di internet. Il mercato immobiliare olandese prese il volo e la disoccupazione (giovanile) finalmente iniziò a calare. Di conseguenza, ciò comportò la diminuzione di quanti vivevano tranquillamente con i sussidi statali e la rapida scomparsa delle abitazioni vuote. Una ricerca dello studioso britannico Lynn Owens illustra il declino del movimento locale degli squatter verso la fine di questa fase, quando tutte e tre le sue stazioni radio vennero sfrattate8. Soltanto Radio Patapoe riuscì a trasferirsi in un’altra località e poi ad andare nuovamente in onda, pur se con un segnale assai ridotto.

Non si può certo accusare gli animatori radiofonici di Amsterdam di feticismo mono-mediatico. Per loro la radio era uno strumento, non un medium nostalgico. Già all’inizio degli anni Ottanta si erano avvicinati a gruppi hacker come Hacktic per condividere file audio tramite le BBS. Passarono poi a sperimentare con la radio più internet, dopo l’arrivo di Real Player nel 1996, applicazione che consentiva l’ascolto online della programmazione radiofonica. Laddove gli ascoltatori prima dovevano collegarsi da nodo a nodo con costi assai elevati, quel software inaugurava l’epoca dello «streaming». La rete pubblica olandese VPRO Digital fu tra le prime a utilizzare RealAudio. Uno dei primi «webcast» radiofonici ebbe luogo nel gennaio 1996, durante il festival dei media tattici denominato «Next Five Minutes 2», quando una squadra temporanea di conduttori, costituita da Radio 100, Patapoe e Vrije Keyser, curò delle trasmissioni dal vivo dal Paradiso e dal De Balie, rilanciandone una parte in streaming tramite un server RealAudio, una tecnologia introdotta l’anno precedente. In quell’evento, come ricorda Josephine Bosma: «Usammo un server dedicato la cui capacità era limitata a cinque ascoltatori alla volta».

Grazie al sostegno del centro polivalente De Balie, del provider xs4all e del ritrovo De Waag, questa tecnologia divenne parte di una campagna di solidarietà per trasferire su internet l’emittente serba Radio B92. Nel dicembre 1996, con l’assistenza tecnica di xs4all, B92 diede vita al provider OpenNet a Belgrado, come misura precauzionale nel caso Milošević avesse ordinato la chiusura dell’emittente terrestre. La campagna globale «Aiutiamo B92» raggiunse l’apice durante la guerra del Kosovo e i bombardamenti della NATO sulla Serbia nel marzogiugno 1999. Il quartier generale venne organizzato nell’attico del De Balie, mentre un trasmettitore piazzato sul tetto del Waag, nel quartiere di Nieuwmarkt, ritrasmetteva i programmi radio da Belgrado sul cielo di Amsterdam. In quegli anni, erano pochi i computer in grado di ricevere lo streaming, con i modem a 14.4K bps (bits per second) lenti e instabili, fin quando, all’inizio degli anni Duemila, presero a diffondersi le linee ADSL e computer più veloci. Un ulteriore ostacolo era la limitata capacità dei server streaming: se un’emittente online riusciva a raggiungere poche centinaia di ascoltatori in contemporanea, era un fatto eccezionale. Comunque sia, B92 venne difatti chiusa più volte da Milošević e fu il ponte via internet a consentirne la ritrasmissione del segnale in tutta la Serbia e oltremare.

8.3. La scomparsa della radiofonia libera

Simbolicamente, il sipario calò sulle radio libere di Amsterdam con la scomparsa del tecnico Rob van Limburg nel luglio 2003. Secondo Mauzz, quel ragazzo ben piazzato era l’unico disposto a salire sui pali oscillanti delle radio legali e illegali senza alcuna paura del vuoto, per installare, riparare o sostituire le antenne. In quel periodo, Radio 100 perse il suo spazio dopo la riassegnazione delle frequenze, e lo stesso accadde due volte a De Vrije Keyser. Poi l’antenna di Radio 100 venne abbattuta da un uragano. De Vrije Keyser fu piegata da un analogo destino quando l’emittente commerciale 100% NL ne occupò la frequenza appena scelta – interferenze che si manifestavano nonostante il patto generale di non disturbare mai le frequenze altrui. Le conseguenze di non condividere i medesimi valori degli altri attori, in aggiunta alla mancanza di competenze tecniche, si rivelarono devastanti. Mauzz: «L’antenna andava sempre riposizionata per una nuova frequenza, e sembra che nessuno del piccolo gruppo di volontari avesse le capacità e il coraggio di compiere quelle imprese dopo tutte le avversità affrontate». La scomparsa di questa peculiare cultura della radio coincise con l’arrivo del populismo di destra dopo l’11 settembre, legato agli omicidi del candidato al Parlamento Pim Fortuyn e del regista Theo van Gogh, insieme all’ascesa dei politici anti-Islam e anti-immigrazione Rita Verdonk, Ayaan Hirsi Ali e Geert Wilders.

Nel 2010 la musica era divenuta uno stile di vita, perdendo ogni legame con la controcultura. L’atmosfera si era fatta nostalgica, non soltanto per ogni tipo di musica prodotta negli ultimi 50 anni, ma anche per il suono genuino del vinile e per simili esperienze analogiche. Era forse giunto il momento della rinascita della radio? Francois Laureys – ideatore di De Vrije Keyser e Radio 100, oggi impiegato a L’Aia presso la IICD, organizzazione che implementa progetti info-tech in Africa – ritiene che, pur con tante persone creative che oggi usano l’audio e la radio per esprimersi, è improbabile che un movimento collettivo possa risorgere da solo. «All’inizio degli anni Ottanta, fu la scarsità degli strumenti di comunicazione a costringerci a collaborare e ad auto-organizzarci. Le emittenti di Amserdam che decisero di non confluire in Radio 100, come invece fecero WHS, Rabotnik, DFM, Radio Got e RVZ, vennero fatte fuori dalle indagini giudiziarie».

Oggigiorno chiunque può produrre dei podcast e lanciare la propria radio praticamente a costo zero. Per creare una community, tuttavia, c’è comunque bisogno di spazi fisici dove ritrovarsi, come uno studio, un ufficio o un bar. Josephine Bosma, ex conduttrice di Radio Former Patapoe e critica d’arte digitale, si dice d’accordo:

Con la chiusura del locale Proeflokaal Marconi, poi divenuto Tesla, scomparve un luogo d’incontro per chi faceva e per chi ascoltava la radio, uno spazio che fungeva da trait d’union. A un tratto, la radio tornò a essere invisibile: venne a mancare quel legame diretto con il pubblico. Quando la radio via cavo divenne lo standard, ancor prima delle web-radio e dei file MP3 da scaricare, la gente dimenticò come si faceva a cercare una stazione sulle comuni frequenze radio. È difficile per il cittadino medio capire che il via cavo o il digitale danno vita a uno scenario mediatico di tipo completamente nuovo. Senza la scomparsa del legame diretto con gli ascoltatori, quei cambiamenti tecnici non avrebbero trasformato il panorama in maniera altrettanto drastica.

Lo stesso può dirsi per le feste della domenica sera durante gli anni Novanta al Patapoe Bar, in uno squat nei pressi dello Zeedijk, storica via nel cuore di Amsterdam. Erano questi gli eventi che tenevano insieme Radio Patapoe.

Il mondo delle radio libere non è certo nostalgico per natura. Lavoriamo tutti per l’Archivio Universale. Eppure non è difficile notare come la passione, per così dire, sia sfumata dall’eccitante miscuglio e dal vociare dal vivo sulle onde radio libere, verso il vuoto, verso lo strabiliante potenziale della distribuzione globale offerto da internet e gli annessi rituali sociali dell’attività in rete. La cultura delle radio libere di Amsterdam intorno al 1989 era una situazione decisamente locale: un regalo unidirezionale agli abitanti della città, nello spirito di Jean Baudrillard, senza chiedere nulla in cambio. Sonorità dorate per il grande Nulla che nessuno ha ordinato. Quel che rimane è una scatola di audiocassette e una cartellina di file digitali. Una situazione che non conta granché, perché la radio è un medium evanescente, transitorio. Spiega Josephine Bosma:

Cos’è rimasto? Con l’avvento dei media digitali, la radio si è trasformata in un’esperienza più individuale. Evito deliberatamente il termine frammentata, perché lo ritengo troppo negativo e troppo basato sulle tradizionali strutture di potere e la lotta nei loro confronti. Sulla scena di Amsterdam, fare radio è sempre stata un’attività individuale e liberal. Il motivo per cui non voglio parlare di un’esperienza frammentaria è che per me la radio non riguarda l’uso della voce di qualcuno per raggiungere la gente o per mobilitare le grandi masse. Si tratta piuttosto di uno «scenario mediatico» che contiene e preserva la multiformità. In tal senso, nulla è cambiato. Oggi il pubblico non è più vasto, bensì più sparso in giro. Dobbiamo assicurarci di avere ancora ascoltatori, nuovi «animatori radio» e un «pubblico» sempre nuovo9.

Per Bosma, fare radio era un’attività espressiva, come l’arte, non di comunicazione. Questa tendenza all’auto-espressione persiste, soprattutto per Radio Patapoe, che trasmette a tutt’oggi pur se con un bacino d’ascolto ridotto e lo streaming dal vivo su internet. Aggiunge Bosma:

Non gli importa nulla se gli ascoltatori sono diminuiti, gli basta andare avanti. Patapoe produce ancora lo stesso tipo di programmi, e non perché non sappiano fare altro, ma perché questo è il loro modo di fare radio: come un diario o una creazione artistica. Oggi considero la vecchia situazione (con un raggio d’ascolto e un pubblico più ampio) come una specie di raccolta di «blog radiofonici» avant la lettre, un portale in quanto tale10.

8.4. Radio online come bivacco da campo

La situazione è diversa per l’emittente De Vrije Keyser, di taglio politico e gestita da un gruppo di attivisti11. Scrive Mauzz: «De Vrije Keyser è stata in primo luogo una fonte di informazione alternativa per gli attivisti e per il movimento degli squatter. Quest’attività è proseguita su siti web quali squat.net, kraken-post.nl, kraakforum.tk e soprattutto indymedia.nl». Secondo Lizet, coinvolto nelle produzioni di De Vrije Keyser fin dal 1986, oggi sono cresciute le opportunità di fare radio. «Grazie a internet, non è più così necessario lavorare all’interno di un collettivo. I progetti basati sulle radio AM/FM prendono corpo in modo sporadico, con una diversa impronta e spesso per un pubblico più ridotto, come succede con Radio Rietveld»12. Lizet mette a fuoco un trend diverso: abbandonare lo studio e fare trasmissioni dal vivo in loco, per esempio, durante l’annuale festival anarchico di Pinksterlanddagen.

Anche altri collettivi d’informazione hanno ripreso questo metodo, tra cui Mobile Radio, Ascii esquat.net, e vari gruppi ad hoc composti da giovani appassionati, provenienti da ogni parte del Paese e interessati a trasmettere notizie, musica e sonorità varie. Usando la radio e internet, hanno prodotto programmi «dal vivo» e «su richiesta». Le trasmissioni offrivano una sorta di sintesi sugli avvenimenti della giornata.

Bosma fa notare che la programmazione di De Vrije Keyser viene veicolata da Radio M2M (Migrant to Migrant), un progetto nel contesto dei media tattici emerso dalle manifestazioni di protesta dopo il devastante incendio all’ala carceraria dell’aeroporto Schiphol di Amsterdam, quando nell’ottobre 2005 morirono 11 immigrati in attesa di essere deportati. M2M trasmette sul server Streamtime.org, usato anche nel 2004 per lo streaming dal vivo di un programma dal museo di Halabja in Iraq13. M2M è il perfetto esempio dei media indipendenti, pur se con un taglio situazionista. I programmi sono una raccolta di jam session (dal vivo). M2M iniziò con un’iniziativa ristretta per dare spazio ai sopravvissuti all’incendio di Schiphol, sul filone di quella che l’animatore Jo van der Spek definisce «radio bivacco».

Il motto è: «trasmettiamo l’evento così com’è». Il formato dell’intervista statica è passé. Tutto sta nella conversazione, nel dialogo e nella cacofonia. M2M esplora con convinzione i limiti di quel che è ancora possibile definire come radiofonia. I programmi vengono meglio descritti come una sorta di spionaggio – origliamo su certe situazioni accendendo il registratore e attivando lo streaming dal vivo.

Ma è davvero il caso di trasmettere tutto ciò sul web? Cosa dovremmo farne di queste chiacchiere informali? Il medium paterno che parla unicamente all’orecchio remissivo, sorvegliato in modo meticoloso dal governo e dal Partito, prova a introdursi nella vita quotidiana. Dice Van der Spek: «La forza dello streaming dal vivo è quella di dare visibilità agli ambienti intimi che poi trasmettono al mondo».

Nei workshop tenuti da M2M, non c’è nessuna apparecchiatura radiofonica. Chiarisce Van der Spek:

La gente ha già con sé gli apparecchi di registrazione, cioè i cellulari. Non servono altri investimenti. Tutto sta nell’imparare a usarli. Oggi la maggior parte dei telefoni mobili consente di registrare, nei posti più strani, ovunque ci si trovi. Scopriamo le potenzialità dell’hardware che ci portiamo dietro. Per esempio, una volta ho registrato l’audio del mio arresto. È successo a Schiphol Plaza. E adesso la gente può ascoltarlo sui loro cellulari, su internet oppure come podcast scaricabile.

Per M2M il materiale fondamentale non è la musica bensì il parlato multilingua e cosmopolita di quanti vivono ai margini della società. Mini-registratori MP3 da portare ovunque diventano l’apparecchiatura di documentazione. Possiamo ascoltare gli immigrati detenuti mentre telefonano dalle loro celle. M2M paga per le telefonate e le trasmette da località pubbliche in città; per esempio, gli artisti ospitati alla Het Blauwe Huis su IJBurg curavano un radio café ogni venerdì sera. Evento poi gestito dal Wereldhuis su Nieuwe Herengracht, dopo essere stato prodotto anche nello spazio sociale temporaneo Scub, di fianco alla stazione centrale di Amsterdam.

8.5. La radiofonia pirata diventa globale

La scomparsa di luoghi in cui ritrovarsi e la mancanza di eventi di ampie proporzioni da poter trasmettere causò un ulteriore problema: il blocco del passaggio di conoscenze sulle tecniche radiofoniche. Spiega Bosma:

Sono sempre meno le persone che sanno quanto sia semplice fare radio o creare sonorità, portando così a un minor livello di creatività e innovazione. La modernizzazione interessa altri campi, quali, per esempio, la danza e la tecnologia. È qui che la gente si mette a smanettare. Nella scena radiofonica di Amsterdam è sempre esistito un forte legame con la musica alternativa e con etichette come Staalplaat. Worm, piattaforma di Rotterdam dedicata a musica e new media, cura un programma su Patapoe. Eppure in questi ambiti il racconto parlato non ha quasi nessuno spazio, che si tratti di giornalismo o di letteratura. Una situazione che va cambiata.

A giudicare dalla posta degli appassionati, Patapoe vanta ancora un proprio pubblico, ma è sparso in giro per il mondo e classificato come nicchia. Il punto non è la tecnologia, che può essere sempre sistemata. Nei precedenti periodi di repressione c’erano le audiocassette, passate da una persona all’altra (oggi l’equivalente sono i podcast e i file MP3 raccolti su una chiavetta USB). E a fronte dell’ampia disponibilità di spazio d’archivio e della larghezza di banda, il nesso che manca è la community. Bosma propone di trasformare questo quadro. «È possibile integrare gli eventi di ampia portata, le situazioni stimolanti e la produzione radio. Ma può funzionare soltanto se c’è una forte motivazione alle spalle. Occorre mettere a punto una nuova filosofia radiofonica. Non sono molto propensa a promuovere la radio in quanto tale, isolata dagli altri media. È un approccio ormai superato». In quest’epoca di scarsi movimenti sociali, con poco tempo dedicato alle manifestazioni di protesta e il passaggio a mezzi organizzativi in ambito virtuale, la radio, già bollata nel settore dei «media minori», potrebbe darsi da fare per reinventarsi. Non ci si siede più sul divano per ascoltare la radio o guardare la TV; siamo presi dai tweet e dal multitasking. I media sono mobili e continuamente interconnessi. Va tenuto conto di queste nuove condizioni perché possa svilupparsi un’attiva community di animatori e ascoltatori di programmi radio. Secondo Anja Kanngieser, ricercatrice e produttrice radiofonica di origini australiane, la filosofia della radio deve incorporare nuovi modi di considerare le geografie radiofoniche e i nuovi spazi relazionali dove realizzare i programmi:

La maniera di produrli e con chi, insieme alle nuove geografie sonore, sono elementi legati al modo e al luogo in cui ascoltiamo tali programmi. Si tratta di una scelta politica come anche di una riconfigurazione sociale, perché stimola la comprensione delle relazioni alla base della radio come medium di comunicazione e di affetto. Tale riconfigurazione riguarda anche le intersezioni al crocevia tra l’immaginario e i desideri relativi alla radio come forma, e le tecnologie materiali e le forme di governance riguardo le trasmissioni, lo streaming e i podcast, tutte intersezioni critiche per comprendere i flussi e i riflessi del fare radio in modo indipendente14.

Il gruppo DFM (DeForMation) occupa una posto particolare nel panorama radiofonico di Amsterdam. Sul quotidiano olandese Trouw, il critico musicale e DJ Stan Rijven scrive:

Non solo questa è stata una delle prime emittenti olandesi a trasmettere sul web, ma è anche l’ultima discendente della scena delle radio alternative prominente negli anni Ottanta. DFM ripropone la forza di quel che la radio può offrire: illusione teatrale per le orecchie. Esattamente quel che la radiofonia pubblica non è riuscita a fare per anni15.

Toek, produttore radiofonico fin dai primi anni Novanta, è il motore propulsore di DFM. Dopo aver lavorato per anni per Radio 100, è riuscito a trasformare il sito web di DFM in una rete globale di ascoltatori e produttori sonori, collegati via chat room durante le trasmissioni dal vivo sul web. È la stessa community a donare piccole somme di denaro per garantire l’indipendenza (economica) del progetto. Niente sussidi statali o attività commerciali.

L’artista mediatico Mauzz sottolinea come la tradizionale programmazione in FM non sia scomparsa del tutto:

Forse ti è sfuggito il fatto che nella regione occidentale dell’Olanda, oltre a Patapoe, è attiva un’altra emittente: Dance Radio 992, che trasmette saltuariamente su FM 99.2 (limitrofa alla frequenza di 99.3 abbandonata da Radio 100 perché, nell’asta per la ridistribuzione delle frequenze per le emittenti commerciali, a SALTO è stata assegnata la 99.4). Parlo regolarmente in chat con quelli che la gestiscono. Non è una storia commerciale, solo passione pura. Usano tecnologie davvero ingegnose, come dei potenti «trasmettitori usa e getta» cinesi, per trasmettere dai posti più strani, come un traliccio della corrente nel bel mezzo di Zeedijk! Lo studio rimanda il segnale su internet, cosa non rischiosa, mentre i trasmettitori possono essere attivati e disattivati in remoto16.

Mauzz ha anche scoperto una nicchia in cui la radio sembra rinnovarsi: l’ambiente online in 3D Second Life (SL):

Persone e situazioni improbabili offrono streaming e trasmissioni dal vivo in MP3, da casa, da qualche café o da un party per un gruppo di persone che condividono un certo spazio su Second Life. Ogni settore di SL può avere un proprio streaming di MP3. È inoltre possibile acquistare dei «lettori radio» virtuali (codice inserito in oggetti 3D) e usarli per sintonizzarsi su un numero infinito di emittenti, oltre ad aggiungervi quelle personali preferite. Ci sono anche dei lettori radio open source, in distribuzione gratuita, usati dagli utenti per imparare a vicenda come fare radio in streaming. L’ambito dal vivo è alquanto significativo, rispetto alle esperienze condivise e all’interazione degli ascoltatori con DJ e altri produttori radiofonici. Queste interazioni su SL non sono soltanto di natura verbale, ma anche non-verbali e visuali.

DFM, per esempio, è assai attiva su Second Life. Mauzz ha seguito quest’ultima per oltre due anni, collezionando parecchie produzioni non-commerciali dal vivo:

Ci sono diversi server per lo streaming di MP3 che consentono agli utenti di pagare con la moneta locale, i Linden Dollars. Nascono nuovi gruppi musicali con membri sparsi per il mondo, come la Virtual Live Band e la sperimentale Avatar Orchestra Metaverse, con cui ho collaborato un paio di volte. Per esempio, riescono a creare strumenti virtuali in 3D da usare insieme al pubblico virtuale per sessioni improvvisate dal vivo17.

Second Life è anche una piattaforma per l’attivismo, come dimostra il collettivo Second Life Left Unity, che ricorre a eventi virtuali per attirare l’attenzione su problemi globali. Il festival-maratona «Teknival» ha attirato un folto pubblico e ha visto diversi DJ trasmettere musica techno-alternativa per 66 ore ininterrotte da sei palchi, tenendo al contempo dibattiti sulla questione palestinese.

Tutta quest’attività non è dovuta soltanto al progresso del medium radiofonico. Simili produzioni tecno-politiche sono gli effetti speciali dell’avanzamento del software, dell’hardware, dell’ampiezza di banda e della spettacolare diminuzione delle tariffe telefoniche, un insieme che ci consente di passare dall’era del missaggio audio a quella del missaggio mediatico. Alla fin fine, per Jo van der Spek la radio rappresenta tutto ciò che è possibile fare con l’audio in un ambiente dal vivo. La radio invita a inattese fratture nei comuni flussi di musica e informazione.

Sorprendentemente, certe combinazioni tecnologiche restano inesplorate, in particolare l’uso di Skype e di altri servizi telefonici gratuiti. Skype può diventare un canale d’ascolto gratuito per chi contribuisce a certi programmi. Si può creare una rete di corrispondenti che usano Skype e attivano così conversazioni tra quattro o cinque località diverse sparse nel mondo, situazione meglio descrivibile come una micro-radio da molti a molti. Questo segnale può essere trasmesso in streaming online oppure nell’etere classico. Pochi sanno che il servizio audio di Linden Lab (proprietari di Second Life) è secondo per grandezza del settore. È giunto il momento di aggiornare anche le nostre percezioni sulla telefonia collettiva. Gli smartphone vengono definiti «dispositivi testimoni» per quel poco di più della fotocamera incorporata che consente di caricare immagini e video su Flickr oppure You-Tube. Proviamo a immaginare l’uso tattico degli smartphone integrato con la radiofonia libera. Potremmo occupare così quelle frequenze AM e FM presto destinate a essere abbandonate. Non siamo ancora a questo punto, e chissà se, come e quando le trasmissioni radio digitali riusciranno a imporsi e cosa accadrà allora, ma quando le tecnologie finiscono nel dimenticatoio rimane un ampio spettro vuoto da riscoprire.

Note

1. Il termine indica l’atto concreto di invasione di terreni o edifici inutilizzati, di proprietà publica e/o non meglio stabilita, da parte di singoli o nuclei familiari, così come di gruppi organizzati, per fini abitativi o per altro uso. L’occupazione degli immobili quale momento di conflitto sociale con l’annessa nascita dell’omonimo movimento cultural-politico, risale ai primi anni Settanta in Germania e poi in Europa – inclusa, per esempio, la nota Christiania, community di circa 900 persone fondata nel 1971 in una zona militare abbandonata di Copenahgen, e tutt’ora variamente operativa. Il movimento dello squatting rimane comunque attivo in varie città europee, come i tanti spazi sociali autogestiti presenti anche in Italia.

2. Si veda: www.vrijekeyser.nl.

3. Dick Rijken, Radio is dood, lang leve audio (La radio è morta lunga vita alla radio). «Perché parliamo di radio quando in realtà non lo è?» Anziché incorporare i podcast in una (più ampia) analisi della radio, Dick Rijken lo definisce un audio intelligente. «Chi ascolta può scegliere il programma preferito e ascoltarlo quando e dove meglio crede». Si veda: www.denieuwereporter.nl/2006/06/radio-is-doodlang-leve-audio (in olandese).

4. L’anno cruciale del 1987, quando il locale movimento degli squatter si disintegrò in maniera drammatica, è descritto nel libro di Adilkno, Cracking the Movement, New York, Autonomedia, 1994.

5. Si veda: www.mediamatic.net/page/5750/nl.

6. I primi riferimenti a queste pratiche sono reperibili in Bilwet, Bewegingsleer, Amsterdam, Uitgeverij Ravijn, 1990 (tradotto in inglese come Adilkno, Cracking the Movement). Eric Kluitenberg analizza ulteriormente il tema nel capitolo «Media Without an Audience» («Media senza pubblico»), nel suo volume Delusive Spaces: Essays on Culture, Media and Technology, Rotterdam, INC/NAi, 2008. Per approfondimenti sul passaggio dalla radio allo streaming, si veda il capitolo «Principles of Streaming Sovereignty» («Principi per lo streaming sovrano») in Geert Lovink, My First Recession: Critical Internet Culture in Transition, Rotterdam, V2/NAi, 2003.

7. Il succo della tesi di Chris Anderson è che l’insieme delle tante, piccole aziende e dei singoli produttori con introiti ridotti, copre un ambito economico ben più ampio, paragonabile finanche a quello dei giganti del settore. Si veda: www.thelongtail.com.

8. Lynn Owens, Cracking under Pressure, Amsterdam, Amsterdam University Press, 2008.

9. Intervista via email, settembre 2009.

10. Ibid.

11. Si veda: www.vrijekeyser.nl.

12. Si veda: www.myspace.com/rietveldradio. Un altro esempio è l’iniziativa Amsterdam Oltranzista, che dal 2007 si presenta come un’emittente radio temporaneamente autonoma. «Abbiamo organizzato un piccolo studio, condividiamo informazioni su come gestire una radio in proprio grazie a software libero e hardware riciclato ed economico, vogliamo promuovere situazioni interessanti e spingerne la diffusione nell’etere». Si veda: www.radioltranzista.net.

13. Per ulteriori dettagli, si veda: http://streamtime.org/index.php?blogId=1&op=Template&show=mission.

14. Scambio email con Anja Kanngieser, 24 gennaio 2011.

15. Stan Rijven, «DFM brengt avontuur terug in de digitale ether» («DFM reintroduce l’avventura sulle onde radiofoniche digitali»), Trouw, 12 settembre 2009. Per ulteriori informazioni sullo streaming 24 ore su 24 di DFM, si veda: www.dfm.nu.

16. Si vedano le immagini sul loro sito web: http://danceradio992.cz.

17. Si veda: www.avatarorchestra.org.