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Non mi aspettavo che Meredith mi chiamasse, ma quando il telefono squillò più tardi, la sera di Natale, sperai che fosse Charlie. Lui sembrava stanco, la voce era un po’ attutita. Disse solo il mio nome, quando risposi.

«Lei sta ascoltando?» chiesi.

«No. È sotto la doccia. Non sa che ti sto chiamando.»

Ero nel mio lettino vecchio e stretto, in un sacco a pelo, perché per qualche stupida ragione avevo portato il piumone e le lenzuola a casa di Charlie e Meredith, anche se sapevo che non sarebbero andati bene per l’altro letto. Il telefono era freddo contro il mio orecchio, ma si scaldò velocemente. Mi rannicchiai nel calore che il mio respiro creava sotto le coperte.

«Allora dovresti riappendere» dissi.

Un attimo di silenzio. «Tesla, mi dispiace tantissimo.»

«Per cosa, esattamente?» Non stavo cercando di essere acida. Stavo cercando di capire.

«Non lo so. Per quello che ha detto lei, immagino. Non è quello che sento io. Lo sai questo.»

«Ha importanza, se è quello che sente lei?»

Volevo che mi rispondesse di sì, che ne aveva, ma Charlie si limitò a sospirare. «Lei... ha prenotato il viaggio. Ha preso l’hotel e gli ski-pass e tutto.»

Deglutii un nodo alla gola che aveva le dimensioni del mio pugno. «Bene. Tu vai. Dovresti divertirti.»

«Voglio che tu venga.»

«Non posso, Charlie.»

Lui emise un gemito basso. «Posso cancellarlo.»

«Potresti» dissi, stanca e con il cuore dolorante. «Ma non lo farai.»

«Non è neppure una settimana» disse. «Partiamo domani. Torniamo la sera prima di capodanno. Quello possiamo passarlo insieme, Tesla. Prendiamoci questa piccola pausa e mettiamo ordine nelle nostre menti. Tutto questo si sistemerà. Okay?»

Aveva un tono di supplica.

«Okay» risposi, ma sapevo, come doveva saperlo lui, anche se non lo avrebbe ammesso, che niente si sarebbe sistemato.