In un centro culturale milanese si è svolta ieri una discussione su questo «vitalissimo problema»: «Come avvincere il lettore e lo spettatore». Avvincere, si badi, non convincere. Erano invitati, e non so se fossero tutti presenti, psicologi, pedagoghi, un fisiologo, un cibernetico, un rettore universitario, il direttore del Piccolo Teatro, un ecclesiastico, un esperto di pubblicità, il direttore della scuola di giornalismo e dei mezzi audiovisivi dell’Università Cattolica, un giornalista ed altri personaggi. Non so come si sia svolto questo colloquio a molte voci, ma suppongo che tutti o quasi tutti gli oratori abbiano rilevato l’enorme importanza che ha oggi l’arte di darla a bere al pubblico.
Si noti la distinzione, oggi quasi superata, tra il lettore e lo spettatore. Può sembrare molto diverso il caso di chi legge un libro standosene a letto e il caso di chi deve recarsi in un certo luogo per vibrare sincronicamente con altre mille persone sedute accanto a lui. Ma la diversità è quasi annullata dal fatto che oggi la solitudine di massa ha reso vana ogni differenza tra il dentro e il fuori. Comunque il vitalissimo problema di avvincere il pubblico è quello di vendere sempre più e sempre meglio la merce culturale servendosi dei mezzi di suggestione diretti o indiretti scoperti dalla tecnica moderna.
E che male ci sarebbe se la merce fosse di ottima qualità? L’uso dei mezzi audiovisivi non è in se stesso né buono né cattivo; tutto sta nell’impiego che se ne fa. A simile obiezione hanno già risposto molti; e fra questi Günther Anders in un libro che raccomando (L’uomo è antiquato, pubblicato dal Saggiatore). Senza sottoscrivere tutte le sue catastrofiche conclusioni, ricorderò che i mezzi che annullano la scelta e la decisione individuale non possono essere giudicati neutrali e indifferenti ai loro contenuti. L’opinione o l’opera d’arte ridotta a merce non può esser buona perché è ricevuta e non richiesta, è trovata per mero accidente e non nasce da intuizione personale. L’arte che s’intrude nel vostro domicilio, il capolavoro che giunge per pacco postale perché l’editore «ha scelto per voi», lo spettacolo che non si può fischiare per non essere iscritti tra i fossili e i parrucconi, tutto questo non può aver pregi obiettivi o smarrisce le sue qualità per il fatto che è una costrizione e non una scoperta. Quando l’uomo delega a un cervello collettivo (la propaganda diretta o subliminare) la sua facoltà di pensare è ridicolo supporre che il cervello individuale possa sceverare il buono dal cattivo.
Si aggiunga che i nuovi mezzi di suggestione – molto complessi e in gran parte monopolizzati – sono diretti da tecnici del gusto e della opinione, e che una simile merce non si vende se non muta le penne ad ogni mutar del vento. Meno disastroso del citato Anders, sono d’accordo con lui nel negare che nei mezzi meccanici e nel bourrage des crânes l’arte «buona» e il pensiero «giusto» possano trovare veicoli efficaci; ma oso sperare che nuovi ritrovati distruggano i precedenti e che un giorno lontano possa accrescersi il numero di coloro che non posseggono la radio e la televisione, che frequentano poco o nulla il cinema, che sono ben decisi a non ingerire la trippa di Husserl, l’arte autre e la schizofrenia dei docenti di estetica. Come i governi futuri potranno utilizzare o tollerare uomini che osino pensare con la propria testa? Forse sequestrandoli in parchi nazionali, come i superstiti bisonti? È un problema che per ora non si pone ed è già eccessivamente ottimistico pensare che i nostri discendenti possano rendersene conto.
24 novembre 1963