Quest’oggi alla locanda di Giuanne si è fermato un giovane.
È alto, molto snello, ha gli occhi color nocciola, un viso dai lineamenti delicati al quale neppure i baffi, di un bel castano dorato, riescono a conferire un’aria più dura. È vestito con cura, giacca, panciotto e camicia bianca. Si vede che è un signore. Saveria lo osserva senza farsi notare, mentre è seduto al tavolo, in attesa del pranzo. Lo sguardo di quell’uomo le sembra così morbido e gentile che pare accarezzare tutto quello su cui si posa.
Com’è bello, pensa lei.
Le sembra che incarni tutti i suoi sogni di ragazza.
Va in cucina, toglie il grembiule sporco e ne mette uno candido, lo lega cercando di celare il più possibile la pancia della terza gravidanza, che ormai è ben visibile. Getta un’occhiata di sfuggita in uno specchio: la protuberanza si nota come prima, anche di più. Lei è scarmigliata, rossa in viso. Si vede orribile: una strega. Come presentarsi in queste condizioni a una persona così distinta? Porta i palmi delle mani sulle guance, in un inutile tentativo di placare il rossore della fatica, poi sui capelli, cercando di ravviarli. Ma sono sporchi, non li lava da diversi giorni, non ha avuto tempo. Afferra un nastro e li lega stretti in una coda.
Avverte una contrazione nel ventre, giù in basso: questo bambino nascerà prima del tempo. Non ci sarebbe niente di strano, con tutto il correre che fa, da mattina a sera. Si siede un istante, sperando che passi.
Ora però deve recarsi dall’ospite, lo ha già fatto aspettare troppo, il marito la rimprovererebbe, le rammenterebbe che i clienti, specie quelli distinti come quel signore, vengono prima di tutto. Si alza con fatica e sorride fra sé del suo goffo tentativo di rendersi presentabile per il bel giovane. Cosa pensava di ottenere? Mimetizzare il suo ventre gonfio? Darsi una parvenza di presentabilità, una patina di avvenenza? La bellezza le è sfuggita tra le dita senza che se ne accorgesse, in pochi anni, da quando si è condannata con le sue mani alla tortura di quel matrimonio, per colpa della sua debolezza, della sua inettitudine.
Cosa importa se ha solo vent’anni? Fra tre mesi, forse prima, diventerà madre di tre figli e la sua vita subirà un nuovo, drastico peggioramento.
“Che stupida che sono” dice a se stessa.
E, per punirsi del suo ridicolo tentativo di cedere alla vanità, si strappa la fascia dai capelli e non si ravvia neppure le ciocche folte e disordinate che piovono sul viso e sulle spalle senza controllo.
Giuanne, che si trovava fuori del locale a chiacchierare come sempre con i pochi sfaccendati del paese, si precipita a sua volta nella locanda, non appena gli viene rivelato chi sia il giovane avventore.
Finge di rimproverare la moglie.
«Perché non mi hai detto che c’era un ospite di tanto riguardo? Perché non mi hai chiamato subito?»
Saveria lo guarda sorpresa, vorrebbe replicare ma lui ammicca: è tutta una commedia, la rassicura, non preoccuparti. Poi va a ossequiare l’ospite con un cerimonioso inchino, impacciato dal ventre spropositato.
«Vossignoria, io sono Giuanne. È un grande onore la Vostra presenza nel mio albergo: se Vi degnate di accettare, quest’oggi sarete mio ospite.»
L’ospite si sforza di dissimulare il ribrezzo che, istintivamente, gli suscita quell’essere repellente nell’aspetto e nei modi.
«Vi ringrazio,» si schermisce «ma sono costretto a rifiutare la vostra cortesissima offerta, altrimenti mi sentirei in obbligo e non potrei continuare a venire. E invece è possibile che io debba utilizzare i servizi della vostra locanda per qualche tempo. Quindi preferisco sentirmi libero.»
Ma Giuanne insiste.
«Solo per questa volta, se non è un’offesa per Vossignoria.»
«Mi chiamo Luigi. Non Vossignoria.»
«Don Luigi, allora. Vi ringrazio per la cortesia.»
Durante tutto il pranzo Giuanne gli saltella intorno ossequioso, ingombrante, rosso in viso. Non si rende conto che don Luigi è persona riservata e farebbe volentieri a meno di quel fastidioso volteggiare, di quella untuosa deferenza.
Saveria, in agguato dietro l’angolo della porta, studia a lungo l’ospite.
Consuma il suo pasto con calma e distinzione, la bocca chiusa, il busto diritto, le mani appena poggiate sul tavolo. Usa coltello e forchetta con naturalezza, si pulisce spesso le labbra con l’angolo del tovagliolo.
Com’è diverso da suo marito. Com’è diverso da tutti gli uomini che lei ha conosciuto. Avvicinarsi a lui per servirlo la pone in un profondo disagio, la fa sentire goffa, inappropriata, insicura.
Il giovane invece le si rivolge direttamente, la guarda negli occhi, senza apparente imbarazzo.
Dio, com’è bello.
Non sembra nemmeno vero, tanto è bello.
Si sente avvampare. Abbassa gli occhi, incapace di restituire lo sguardo, di comportarsi con naturalezza, scossa da un fremito in ogni fibra del corpo.
Le sembra di percepire quello sguardo sul viso, sulla pelle, sulle guance, come un tocco leggero, lo sfiorare di un guanto di velluto o del petalo di una rosa.
Il cuore le martella in petto, un diffuso rossore le chiazza il viso.
Sfrega più volte i palmi delle mani sul grembiule. Si domanda se abbia addosso un odore sgradevole, di cucina o di sudore e si mantiene a distanza.
Le pare che la pancia sporga in misura spropositata, che la renda goffa, orribile, deforme.
Don Luigi attende che Giuanne si allontani per occuparsi di un nuovo avventore e poi informa Saveria che, se possibile, intende prenotare una camera in albergo e trasferirvisi per qualche tempo.
«Dormirò qui e consumerò anche i pasti. Insomma, sarò un ospite fisso. Al momento, non sono in grado di prevedere quanto a lungo. Spero di non arrecare disturbo ma non saprei dove altro alloggiare. Manco dal paese da molti anni e non possiedo una casa… nel senso che sto facendo sistemare un piccolo appartamento nel palazzo della mia famiglia, quello che chiamano la Casa Grande. Fino a quando i lavori non saranno terminati, preferisco alloggiare in albergo, visto che il paese ha la fortuna di possederne uno, e non disturbare i miei fratelli. Loro hanno moglie e figli, io sono scapolo e con le famiglie numerose non vado troppo d’accordo.»
Poi si accorge che quella considerazione può suonare inopportuna a una donna che ha due figli aggrappati alle ginocchia e uno in arrivo.
Così giovane.
Saveria non riesce a replicare, non le sovviene neppure una banale espressione di circostanza, tanto è intimidita. Trema, arrossisce, abbassa gli occhi sul ventre. Per fortuna il marito ha udito una parte del discorso e interviene, si profonde in ringraziamenti esagerati e la toglie dall’impaccio.
«Che onore, don Luigi! Questa è casa vostra e potete restarci tutto il tempo che vi fa comodo. Saveria, prepara la stanza migliore per don Luigi… è già pronta? Ah, benissimo… benissimo» e prosegue ancora per un pezzo il suo vuoto cicaleccio.
Dopo che don Luigi si è congedato, Giuanne – gli occhi che brillano di gioia – prende fra l’indice e il medio della mano la guancia della moglie e la stringe in un gesto che vuole essere di trionfo.
«Devi essere fiera di tuo marito. Negli affari, non sbaglio mai. E anche questa volta ho visto giusto. Tra poco, di clienti come lui ne avremo a frotte.»
Saveria non lo ascolta nemmeno. Infastidita dal tocco della mano, volta il viso e si allontana.
Alla sera, mentre mette a letto i bambini, si scopre, con sua sorpresa, a fantasticare, a sognare a occhi aperti, come le capitava da ragazza, quando si rifugiava in quella dimensione rarefatta e immateriale per estraniarsi dalla realtà che la faceva soffrire, con le sue miserie, la povertà, i litigi, la matrigna, le recriminazioni continue.
I sogni non tradiscono mai, la loro trama può essere modificata mille volte secondo l’estro personale e alla fine si concludono sempre con il trionfo del bene e dell’amore sulle avversità e sui malvagi.
Che rimpianto, non saper leggere. Avrebbe divorato chissà quanti romanzi e vissuto mille vite e mille avventure.
Raggomitolata nel letto, ringrazia Dio perché il marito, da qualche tempo, dorme da solo, nel piccolo ripostiglio a piano terra. Ora che lei è così grossa, sostiene, non vuole cadere in tentazione e rischiare di fare male al bambino. E lei alimenta a bella posta la teoria del ventre che duole, per incoraggiarlo in quella decisione. La ragione vera però è un’altra: a causa del suo peso, Giuanne respira con un sibilo che somiglia a un rantolo e fatica molto a salire tre piani di scale.
Lei non alza un dito per persuaderlo a ridurre la quantità di cibo che ingurgita, anzi gli prepara piatti succulenti, di fronte ai quali il marito non sa frenare la sua voracità. È troppo prezioso il privilegio di dormire da sola e perdersi nelle sue fantasie, delle quali, da quella sera, è protagonista un giovane alto, snello, distinto, con occhi di un morbido colore nocciola, il quale, come sempre accade nei sogni, si innamora perdutamente di lei.
Si addormenta sorridendo, come, a volte, le accadeva da ragazza.