Luigi

Luigi desidera assicurare a suo figlio tutto quello che a lui è stato negato: collegi rinomati, università prestigiose, la vita in grandi città come Roma o Napoli, una carriera importante, forse in politica. Suo figlio donerà lustro e fama al nome della famiglia molto più di quanto sia riuscito a lui. Tutte le sue sostanze saranno impiegate per raggiungere lo scopo.

Non è ricco, checché ne pensi la gente del paese. La famiglia è molto decaduta, a Luigi è stato concesso poco e malvolentieri, e quel poco, anzi, pochissimo, non dalla famiglia ma da Leonardo. Per fortuna il suo incarico statale gli frutta uno stipendio dignitoso e, soprattutto, concentra un cospicuo potere nelle sue mani, grazie al quale gli è possibile allacciare contatti con persone che contano. Quando verrà il momento, userà queste conoscenze per agevolare il figlio.

Non intende trarre altro vantaggio dalla sua posizione, sebbene gli sarebbe facilissimo arricchirsi. Se gestisse gli appalti in modo disonesto, accumulerebbe spaventose quantità di denaro. Ma, come spiega al fratello Leonardo, possiede un suo personale codice etico, che gli consente di mettere gli occhi addosso alla moglie di un altro e pensare che sia suo diritto portargliela via, ma gli proibisce di essere comprato come fosse un capo di bestiame: offenderebbe il suo amor proprio, ferirebbe il suo orgoglio e soprattutto lo priverebbe del suo valore più prezioso, la dignità, la stima di se stesso. Inoltre, lo renderebbe ricattabile e macchierebbe la sua reputazione: ora che è padre di un maschio, il nome che porta non è più solo suo ma anche del figlio, il quale deve poterlo pronunziare a testa alta e con fierezza. Lo turba solo il dubbio, per quanto paradossale, che questa sua intransigenza rallenti, piuttosto che favorire, l’impegno a favore della sua terra. Vorrebbe usare il potere di cui dispone per trasformarla dalle fondamenta, per inserirla finalmente nei percorsi della storia e del progresso, a favore di tutti.

Ma è difficile perché quello in cui vive è un mondo chiuso, sospettoso e refrattario a qualsiasi novità, verso le quali tutti, ricchi e poveri, signori e cafoni, vecchi e giovani guardano con sospetto e oppongono strenue resistenze, i primi perché temono di perdere i propri privilegi, i secondi perché non ne intuiscono i vantaggi. A volte, anzi, i suoi più fieri oppositori sono proprio quei poveri in nome dei quali si batte, che si lasciano manipolare, ricattare, abbindolare da coloro che li opprimono da secoli. E lui forse non possiede la fermezza, la tenacia e le capacità necessarie per spiegare loro l’errore che commettono o per imporre il suo punto di vista, confidando che un giorno si renderanno conto che aveva ragione e gli saranno grati. Sarebbe necessario possedere altruismo e generosità per questo tipo di impegno sociale, i sentimenti che animano suo fratello Leonardo e che lo rendono tanto apprezzato dalla gente. Lui, invece, è sempre stato, ed è rimasto, di fondo, uno scettico, disinteressato alle vicende umane. Possiede senso di giustizia, è vero, ma non la nobiltà d’animo e il trasporto verso i suoi simili – l’amore per il prossimo, direbbe Leonardo – che occorrono per combattere intransigenti battaglie a favore dei più diseredati.

Di lì a pochi giorni lo attende una prova difficilissima, sulla quale davvero si giocherà il futuro della sua terra, della sua comunità e delle giovani generazioni: il tracciato della ferrovia.

Una sua vittoria si tradurrebbe in una impareggiabile opportunità di progresso per tutti. Ma se prevarranno i gretti interessi dei singoli e l’ottusità collettiva, verrà gettata al vento la più irripetibile delle occasioni per compiere una rivoluzione epocale, preludio alla modernizzazione e a un più ampio benessere sociale.

Dovrà mostrare tempra ed energia. Procurarsi argomenti ferrei.

E, anche possedendone, non si sente affatto di essere ottimista.

L’aula del comune in cui si tiene l’assemblea è gremita.

Il fumo dei sigari e delle sigarette genera una cappa di nebbia che neppure le finestre aperte sono in grado di dissipare.

Don Luigi, in rappresentanza del governo, attraverso mappe e tracciati, illustra il tragitto più opportuno che, a parere degli ingegneri e in base alle caratteristiche del territorio, la ferrovia dovrebbe seguire per giungere in paese.

I proprietari più importanti, a cominciare dal fratello Filippo, non appena intuiscono che, per collocare la stazione a ridosso del centro abitato, sarà necessario espropriare alcuni terreni di loro proprietà, prima ancora che l’esposizione si concluda, iniziano a protestare in modo animoso.

«Il mio terreno non si tocca» protestano. «Se volete la ferrovia, fatevela, ma non a casa mia. A me neppure interessa, figurarsi. Non voglio dover pagare io per qualcosa che poi utilizzano tutti. Si esproprino coloro che sono interessati ad avere la ferrovia sotto casa, se ne esistono.»

«Questa affermazione è priva di senso» prova a farli ragionare Luigi, che si avventura in una lunga e argomentata difesa di quell’innovazione, che lui definisce storica, epocale, per spezzare l’isolamento e favorire i giovani, da cogliere in quel momento oppure persa per sempre.

«Ma perché cambiare ciò che è andato bene per secoli?» domandano i proprietari. «La ferrovia porterà in paese sconosciuti, malintenzionati, delinquenti che ci ruberanno il bestiame e si intrufoleranno nelle nostre case. E per ottenere questi bei vantaggi, uno ci deve anche rimettere del suo, regalare allo stato proprietà che le famiglie hanno faticato ad accumulare?»

«Perché non guardate un poco più avanti?» domanda don Luigi sforzandosi di non reagire, di mantenere pacato il tono della voce. «Riflettete sugli immensi vantaggi sociali ed economici che ne ricaverete voi per primi. Possibilità di far viaggiare i vostri figli e le vostre merci, ad esempio. Napoli e Roma raggiungibili in poche ore. Vi pare poco?»

«Per quello, c’è il calesse» rispondono, lo sguardo arcigno.

«Il calesse!? Fra una ventina d’anni, anzi meno, sarà solo un pezzo da museo» replica incredulo il Segretario, usando, senza saperlo, le stesse parole che un tempo aveva usato Giuanne. «Perché non andate in giro per il mondo, invece di starvene sempre qui rinchiusi fra queste montagne? Il treno sta arrivando dovunque e chi si lascia sfuggire oggi l’occasione, fra qualche anno vedrà morire il proprio paese. E quelle terre che oggi difendete con tanta cecità, perderanno ogni valore e resteranno incolte perché nessun giovane vorrà più continuare a vivere in un posto tagliato fuori dal mondo.»

I signori si guardano scettici. Il Segretario mente. Dove potrebbero mai andare, i braccianti, si domandano in silenzio, visto che non hanno neppure di che sfamare la famiglia? Dovunque vadano, staranno peggio che qui, dove sono nati.

La discussione prosegue, si accende ancora di più. Gli argomenti del Segretario non persuadono, non fanno breccia. Lo scetticismo non viene neppure scalfito, l’aggressività si accresce, aizzata dalla solidarietà del gruppo.

«Pensate solo a voi stessi» commenta don Luigi, amareggiato. «Non vi stanno a cuore le sorti della comunità intera. O almeno, vi illudete di difendere i vostri interessi, ma siete miopi…»

«Quei poveri, che sembra vi stiano tanto a cuore,» lo rintuzzano i proprietari «non la pensano in modo affatto diverso da noi. Se, invece di mostrarvi sempre così altezzoso, credendovi chissà chi, vi foste presa la briga di girare per il paese e domandare alla gente, signor Segretario, forse ne sareste già informato. Soprattutto i barrocciai, che campano trasportando merci e persone con il loro carretto, temono che l’avvento del treno tolga loro il lavoro, perché tutti useranno il nuovo mezzo e nessuno avrà più necessità del carro. Hanno torto? No, che non ce l’hanno. Il treno sottrarrebbe lavoro a tanta gente. Ci avete pensato?»

«È vero il contrario. Nasceranno nuove opportunità…»

La discussione prosegue sempre più accanita, le posizioni si irrigidiscono e gli animi si accendono ulteriormente.

A un certo punto, di fronte all’ostinazione di Luigi, qualcuno, in modo neppure troppo velato, adombra il dubbio che la passione con cui difende una tesi inaccettabile dipenda da un suo interesse personale.

«Mi faccia capire, signor Segretario» domanda il farmacista Gigliotti con fare mellifluo e insinuante. «Lei cosa ci guadagna a schierarsi contro la volontà dei cittadini di questo paese? Ne trae forse un utile personale? Gli industriali della siderurgia le offrono delle prebende?»

Disgustoso.

Luigi non replica, limitandosi a raccogliere le sue carte e a chiudere l’assemblea.

«Il mio dovere l’ho compiuto. Quali vantaggi offra questa operazione l’ho spiegato con molta chiarezza e non ho nulla da rimproverarmi. Li capirebbe anche un imbecille. Ora tocca a voi.»

Lo trattengono, giungono velate scuse, l’accusatore ritratta ma senza retrocedere del tutto.

«È un fatto però, don Luigi, che lei non viene toccato dall’esproprio. Ne converrà.»

Si è fatto molto tardi. La discussione è durata ore senza neppure scalfire il muro di opposizione.

Don Luigi è spossato, deluso e demotivato, ormai solo desideroso di abbandonare l’assemblea ma i proprietari insistono per cercare una soluzione di compromesso, con lo scopo di salvare la faccia e non sentirsi accusare in futuro di aver impedito loro l’arrivo della ferrovia in paese.

Alla fine, si profila una possibilità sulla quale tutti sembrano convergere.

«Prendere o lasciare» affermano i proprietari. «Altrimenti per noi il discorso è chiuso. Ma la responsabilità del fallimento ricadrà sulle sue spalle, signor Segretario, non sulle nostre.»

Di fronte alla minaccia di uscire del tutto sconfitto, Luigi firma l’accordo per una soluzione di compromesso: la ferrovia giungerà in paese ma la stazione verrà costruita a tre chilometri dal centro abitato, in un punto in cui nessuno dei notabili possiede terre ma solo la povera gente, i cui interessi sono sacrificabili perché avvezza da sempre ad accettare le decisioni dall’alto chinando la testa.

«Visto, signor Segretario, che, alla fine, abbiamo trovato un modus operandi che accontenta tutti?» gli fa rilevare con un sorrisetto ironico il farmacista Gigliotti. «Il suo compito, come rappresentante del governo, è di mediare tra i diversi interessi, non imporre il suo punto di vista» chiosa con sussiego.

Luigi rinuncia a spiegare che quella soluzione, lungi dal risolvere il problema, ne crea uno nuovo: di quale utilità può essere per il paese una ferrovia lontana tre chilometri? Come verrà coperta quella distanza?

Chissà quante volte i giovani delle generazioni successive protesteranno e malediranno lui per quella scelta miope. Nessuno ricorderà più il suo impegno per piegare le resistenze dei potenti ma solo che non è stato in grado di imporre le decisioni opportune, a vantaggio di tutti. Persa la battaglia della ferrovia, vorrebbe almeno vincere quella delle strade, senza le quali non sradicherà mai quella terra dalle sue rocce e dal suo fatalismo.

Ma, per le stesse ragioni, anche questa rischia di tramutarsi in una lotta sterile.