Poco fa, mentre ero a letto e dormivo profondamente, nel primo sonno, sono stato svegliato dal terremoto.
Succede spesso, perché questa è una zona sismica. Certe volte non mi sveglio neppure completamente, ma anche nel sonno, o nel dormiveglia, continuo a sentire le vibrazioni che arrivano fin quassù in superficie dagli smottamenti sotterranei di faglia, che fanno tremare il letto su cui sono disteso, i muri della casa, della stanza, i pochi mobili che ci sono dentro, tutto il piccolo borgo disabitato dove vivo, ma anche la superficie della terra, gli alberi, gli animali nei buchi scavati in profondità, quelli notturni che si spostano silenziosamente in cerca di preda, e forse anche quelli che volano nel cielo scrutando con i loro occhi rotondi la terra buia in cerca di qualcosa che vive, e forse da lassù sentono tremare anche il cielo.
Qualche volta, quando le scosse sono più forti, mi alzo dal letto, esco a piedi nudi e cammino nel piccolo borgo che trema, fino a uno slargo a poca distanza dalla mia casa. Mi guardo intorno per vedere se le case diroccate sono ancora in piedi o se sono crollate. Di mattina, quando c’è di nuovo la luce, vedo delle tegole rotte qua e là, in mezzo alle stradine di pietra, cadute dai tetti sfondati di qualche rudere. Giro per la mia piccola casa osservando i muri, per vedere se ci sono crepe, perché mi sembra impossibile che non sia successo nulla nella sua struttura sottoposta a una serie così numerosa di scosse. Salgo sul tetto con la scala a pioli, rimetto a posto le tegole che si sono mosse, per il terremoto o per il raspare di tutti quegli uccelli e quegli animali a quattro zampe che penetrano di notte nell’intercapedine tra il soffitto della mia stanza e il tetto, e che sento camminare sulla mia testa quando sono nel dormiveglia o sto con gli occhi spalancati nel buio.
Altre volte non mi alzo neppure, quando sono nel primo sonno e non riesco a svegliarmi completamente. Avverto appena le scosse del terremoto che si susseguono le une alle altre, la vertigine, il senso di nausea e la leggera perdita di conoscenza che provocano nel mio corpo che continua a stare coricato così, tra la veglia e il sonno, mentre tutto vibra intorno a me, e nelle zone profonde grandi masse buie e pareti di terra e di marmo precipitano le une contro le altre.
Stanotte mi sono alzato. Ho controllato che nei muri e vicino alle porte non si fossero aperte delle crepe. Sono sceso a vedere anche nella piccola cantina che c’è sotto un voltone, dove tengo la legna. Poi sono venuto qui, con una coperta sulle spalle perché di notte fa freddo anche se siamo in estate, seduto su questa seggiola di ferro dalle gambe sottili che sprofondano sempre più nel terreno, di fronte alla bassa balaustra di pietra che dà sullo strapiombo. Prima di uscire di casa ho preso un vecchio binocolo che mi sono portato fin qui ma che non uso mai, perché non c’è niente da vedere, solo questa distesa impenetrabile di schiuma vegetale che ricopre il mondo a perdita d’occhio.
Lo punto su quella lucina. Manovro la rotella un po’ spanata, per mettere a fuoco, perché la lucina sembra allargarsi e restringersi, come se la vedessi dall’altra parte di una superficie d’acqua. Ma non riesco a vedere bene, forse è per il passaggio delle mie ciglia sopra la lente, forse perché sui miei occhi ancora pieni di sonno c’è quel velo liquido che deforma i contorni e fa deflagrare le luci. Non si capisce cos’è quella lucina, meno ancora che a guardarla a occhio nudo. Non si capisce se è una luce che filtra da una finestra oppure un lampione basso, appeso a un cavo. Eppure sembra crescere sempre più di intensità, sembra palpitare.
“Che cosa sarà quella lucina?” mi domando ancora. “Perché in certi momenti appare più grande, più intensa, e subito dopo sembra rimpicciolirsi fino a scomparire? Che sia qualcosa d’altro? Che sia una qualche parvenza luminosa causata da attività magnetiche di origine tellurica?”
Non si sente un suono, non un verso di animale notturno, della terra, dell’aria. Devono starsene tutti immobili chissà dove, impietriti, dopo che il terremoto ha fatto vibrare la terra e il cielo sotto le loro zampe e le loro ali.
“Devo andare là...” mi dico ancora, continuando a guardare quella lucina con la coperta sulle spalle. “Ci sarà pure qualche strada, qualche stradina per arrivare lassù!”